Rotula Instabile? La Ricostruzione LPMP a Doppio Fascio: Un Successo Confermato Dopo 12 Anni!
Ciao a tutti, appassionati di scienza e benessere! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a chi, purtroppo, ha provato sulla propria pelle cosa significhi avere una rotula “ballerina”: l’instabilità rotulea. Sapete, quella fastidiosa sensazione che la rotula possa uscire dalla sua sede da un momento all’altro, o peggio, che lo faccia davvero. Un bel problema, che può limitare non poco la vita quotidiana e l’attività sportiva.
Ma non temete, la medicina fa passi da gigante e una tecnica chirurgica in particolare, la ricostruzione del Legamento Patello-Femorale Mediale (LPMP) a doppio fascio, si sta dimostrando un’alleata preziosa. E non lo dico tanto per dire: uno studio recente ha seguito i pazienti operati con questa metodica per ben 12 anni, e i risultati sono davvero incoraggianti!
Ma cos’è questo LPMP e perché è così importante?
Immaginate il Legamento Patello-Femorale Mediale come il principale “guinzaglio” che tiene la rotula al suo posto, impedendole di scivolare verso l’esterno. Contribuisce per circa il 50-60% alla forza stabilizzatrice mediale. Quando questo legamento si lesiona, cosa che accade nel 92% dei casi dopo una prima lussazione laterale della rotula, iniziano i guai. Pensate che quasi il 3% di tutti gli infortuni al ginocchio coinvolgono l’LPMP! Questo legamento, descritto per la prima volta nel lontano 1957, è composto da due fasci distinti: uno inferiore e uno superiore-obliquo. Entrambi agiscono come stabilizzatori statici, ma quello superiore-obliquo dà una mano anche nella stabilizzazione dinamica.
Se una prima lussazione non viene gestita a dovere, si rischia di entrare in un circolo vizioso di instabilità ricorrente, dolore cronico e, a lungo andare, artrosi patello-femorale. Addirittura, il 40% di chi subisce una singola lussazione acuta va incontro a recidive. Ecco perché intervenire in modo tempestivo e appropriato è cruciale.
La ricostruzione a doppio fascio: perché è speciale?
Quando si parla di chirurgia, ci sono diverse opzioni sul tavolo: riparazione dell’LPMP, ricostruzione, riparazione del retinacolo mediale, e altre ancora. Tuttavia, studi e osservazioni cliniche suggeriscono che la ricostruzione dell’LPMP sia la scelta preferibile per i suoi risultati clinici superiori. E qui entra in gioco la distinzione tra tecnica a singolo fascio e a doppio fascio. Sebbene entrambe siano efficaci, quella a doppio fascio sembra avere una marcia in più, portando a risultati clinici migliori, punteggi di funzionalità del ginocchio più alti e un tasso di instabilità post-operatoria inferiore. È come avere una doppia cintura di sicurezza per la vostra rotula!
Certo, ci sono fattori anatomici predisponenti come la rotula alta, la displasia trocleare, o deformità dell’asse dell’arto che possono complicare le cose e aumentare il rischio di recidive. Ma quando questi fattori non sono preponderanti, la ricostruzione isolata dell’LPMP a doppio fascio brilla.
Lo studio a 12 anni: cosa ci dice?
E veniamo al dunque: lo studio che mi ha tanto entusiasmato! Si tratta di un’analisi retrospettiva che ha preso in esame pazienti operati tra maggio 2005 e febbraio 2010, tutti con instabilità rotulea cronica, ma con un allineamento dell’arto inferiore normale e cartilagini in buono stato. L’obiettivo era vedere come se la cavassero a distanza di almeno 12 anni dall’intervento. Inizialmente erano 68, e al follow-up finale ne sono stati rivalutati 54. Un bel campione per un follow-up così lungo!
I ricercatori hanno misurato un sacco di parametri:
- La Scala di Attività di Tegner (TAS), per valutare il livello di attività fisica.
- Il punteggio di Kujala e quello di Lysholm, specifici per la funzionalità del ginocchio.
- Un esame fisico obiettivo.
- Parametri radiologici tramite TAC, come l’Angolo del Solco (SA), l’Angolo di Congruenza (CA), l’Angolo di Inclinazione Rotulea (PTA) e lo score di Osteoartrite (OACT-score).
I risultati sono stati confrontati con quelli pre-operatori e a 6 anni dall’intervento. Ebbene, tenetevi forte: il tempo medio di follow-up è stato di quasi 170 mesi, cioè più di 14 anni per alcuni!
Al controllo finale, i pazienti stavano alla grande! Il valore medio della scala TAS era 7.35, indicando un ottimo livello di attività. Il punteggio Kujala medio era di 93.81 e quello Lysholm di 92.06, entrambi significativamente migliorati rispetto ai controlli precedenti. Nessun dolore palpabile, nessun test di apprensione positivo (quel test che simula la lussazione e fa un po’ paura al paziente). L’articolarità del ginocchio era ottima, con una media di 130.7° di flessione.
E le radiografie? Parlano chiaro!
Anche dal punto di vista radiologico, le notizie sono eccellenti. Tutti i parametri (Angolo del Solco, Angolo di Congruenza, Angolo di Inclinazione Rotulea) erano sotto le soglie considerate patologiche. Questo significa che l’allineamento rotuleo e la morfologia ossea si sono mantenuti ottimali anche dopo più di un decennio. Solo quattro pazienti hanno mostrato un lievissimo restringimento dello spazio articolare (OACT-score di 2), potenzialmente legato all’età più avanzata al momento dell’intervento o a un intervallo più lungo tra le prime lussazioni e la chirurgia. Ma niente segni di artrosi patello-femorale significativa.
Il tasso di sopravvivenza dell’impianto a 12 anni è stato del 96.3%! Ci sono stati solo due casi di nuova lussazione, avvenuti a più di 10 anni dall’intervento, uno dei quali dovuto a un trauma. Un tasso di fallimento del 3.7%, che è persino leggermente inferiore a quanto riportato in altri studi.
Perché questi risultati sono così buoni? La selezione conta!
Una delle chiavi di questo successo, come sottolineano gli stessi autori, risiede nei rigorosi criteri di inclusione. Sono stati scelti pazienti con instabilità rotulea ricorrente ma con un allineamento dell’arto inferiore normale, senza displasia trocleare severa o rotula alta significativa. Questo ha permesso di eseguire una ricostruzione LPMP isolata, senza procedure concomitanti. È un po’ come dire: se il problema è “solo” il legamento lasso, e il resto dell’articolazione è ben conformato, questa tecnica dà il meglio di sé.
Altri studi, che hanno incluso pazienti con quadri anatomici più complessi (displasia trocleare, rotula alta), hanno comunque mostrato buoni risultati con la ricostruzione a doppio fascio, ma spesso associata ad altre procedure correttive. Questo studio, invece, ci dà una fotografia chiara dell’efficacia della tecnica “pura” in un gruppo di pazienti ben selezionato.
Certo, come ogni ricerca scientifica, anche questa ha delle limitazioni. Il numero di pazienti non è enorme, e non erano disponibili dati radiografici e artroscopici di base per tutti, il che ha impedito di valutare i cambiamenti longitudinali in modo completo. Inoltre, non è stata utilizzata la Risonanza Magnetica per il follow-up a lungo termine, un po’ per i costi e un po’ perché, con pazienti che stavano bene, sarebbe stato difficile garantirne l’adesione.
In conclusione: una tecnica che mantiene le promesse
Nonostante queste piccole note, lo studio colma un’importante lacuna sui dati a lungo termine della ricostruzione LPMP a doppio fascio. E il messaggio è forte e chiaro: in pazienti maturi, con un normale allineamento dell’arto inferiore e instabilità rotulea cronica, questa tecnica offre risultati affidabili e favorevoli in termini di punteggi funzionali del ginocchio, esame obiettivo e valutazioni radiografiche, mantenendo la sua efficacia anche dopo più di 12 anni.
Quindi, se la vostra rotula vi dà del filo da torcere e rientrate in questo profilo di pazienti, parlatene con il vostro ortopedico di fiducia. La ricostruzione LPMP a doppio fascio potrebbe davvero essere la soluzione per tornare a muoversi con libertà e senza paura. Una speranza concreta per dire addio all’instabilità!
Fonte: Springer