Immagine concettuale di due tipi diversi di batterie al litio (una LFP di colore grigio-verde e una NMC di colore blu-nero) che si fondono simbolicamente al centro, con scintille di energia verde brillante che emanano dal punto di fusione, indicando un processo di riciclo efficiente e sostenibile. Macro lens, 60mm, high detail, controlled lighting, sfondo neutro e pulito.

Riciclo Intelligente: Due Batterie al Litio al Prezzo di Una (o Quasi!)

Ammettiamolo, siamo tutti un po’ dipendenti dai nostri aggeggi elettronici e, sempre di più, dalle auto elettriche. Ma vi siete mai chiesti cosa succede a tutte quelle batterie al litio una volta che tirano le cuoia? Contengono un sacco di materiali preziosi, i cosiddetti “materiali critici” (CRMs) come litio, cobalto, nichel e manganese, che l’Europa, ad esempio, deve importare quasi totalmente. E buttarle via non è solo uno spreco, ma anche un bel problema ambientale.

Ecco perché il riciclo è fondamentale. Però, diciamocelo, i metodi tradizionali, specialmente quelli idrometallurgici (che usano soluzioni acquose per sciogliere i metalli), spesso richiedono un sacco di prodotti chimici aggressivi e non sono proprio una passeggiata per il nostro pianeta. E poi c’è un altro inghippo: alcune batterie, come quelle al Litio-Ferro-Fosfato (LiFePO₄, o LFP), sono considerate meno “nobili” e quindi c’è meno incentivo economico a riciclarle. Un bel pasticcio, vero?

L’Idea Scintillante: Unire le Forze!

E se vi dicessi che, insieme al mio team, abbiamo esplorato un modo per affrontare questi problemi in maniera un po’ più furba? Abbiamo pensato: perché non provare a riciclare simultaneamente le batterie LFP insieme a quelle più “ricche” come le LiNixMnyCozO₂ (NMC), usando le prime per aiutare a trattare le seconde? Sembra un controsenso? Aspettate e vedrete!

Il cuore del problema nel riciclare le batterie NMC è che i metalli di transizione (nichel, cobalto, manganese) si trovano in uno stato di ossidazione un po’ “ostinato”. Per scioglierli bene durante il processo di lisciviazione (cioè, quando li mettiamo a bagno in un acido per estrarli), bisogna “ridurli”, cioè portarli a uno stato più solubile. Di solito, questo significa aggiungere agenti riducenti esterni, come l’acqua ossigenata o acidi organici, con costi e impatti ambientali annessi.

La nostra scommessa è stata: e se usassimo il ferro (Fe(II)) presente nelle batterie LFP come agente riducente “interno”? Le LFP, una volta disciolte in acido solforico, liberano ioni ferro (Fe²⁺) che sono perfetti per questo lavoro. In pratica, le LFP, da “Cenerentola” del riciclo, diventano protagoniste!

In Laboratorio: Tra Provette e “Black Mass”

Ci siamo messi camice e occhiali e abbiamo iniziato i nostri esperimenti. Abbiamo preso della “Black Mass” (BM) – che non è roba da film dell’orrore, ma la polvere scura che si ottiene tritando e pre-trattando le batterie esauste, un mix di materiali catodici, anodici e impurità – e l’abbiamo messa a “bagno” in una soluzione blanda di acido solforico (0.63 mol/L, quindi non troppo aggressivo) a una temperatura di 50°C (praticamente un bagno tiepido).

Durante il processo, abbiamo aggiunto gradualmente le batterie LFP esauste e, in alcuni casi, un piccolo aiutino sotto forma di acqua ossigenata (H₂O₂ all’1% in volume). L’idea era monitorare come e quanto litio, nichel, cobalto e manganese venissero estratti nel tempo.

Abbiamo testato questa strategia su diversi tipi di materiali:

  • NMC 532 “vergine” (cioè materiale catodico puro, mai usato).
  • NMC 532 esausto, recuperato manualmente da batterie a fine vita.
  • Varie “Black Mass” industriali, che sono un bel mix eterogeneo e rappresentano la sfida più realistica.

Il bello è che il ferro delle LFP, dopo aver fatto il suo dovere da riducente e aver aiutato a sciogliere i metalli di valore dalle NMC, tende a precipitare come fosfato di ferro (FePO₄), un composto che, guarda caso, è anche un precursore per produrre nuove batterie LFP! Un potenziale circolo virtuoso.

Laboratorio high-tech con scienziati in camice bianco che maneggiano provette e beaker contenenti liquidi colorati, con batterie al litio smontate e polvere nera (black mass) su un banco di lavoro. Macro lens, 80mm, high detail, precise focusing, controlled lighting.

I Risultati: Sorprese e Conferme

Allora, cosa abbiamo scoperto? Beh, le cose si sono fatte interessanti!

Con le NMC 532 “pulite”, senza l’aggiunta di LFP, dopo 30 minuti avevamo estratto solo il 37% circa di nichel, cobalto e manganese. Ma non appena abbiamo introdotto le LFP, boom! In soli 15 minuti, l’efficienza di lisciviazione di questi metalli è schizzata a circa l’80%, per poi arrivare al 94% dopo un’ora in compagnia delle LFP. Un goccetto di acqua ossigenata alla fine ha portato quasi tutto (circa il 98%) in soluzione. E il ferro? Gran parte è precipitato come FePO₄, lasciando la soluzione “incinta” (PLS – Pregnant Leach Solution) relativamente pulita.

Passando alle “Black Mass” industriali pre-trattate meccanicamente, quelle più realistiche, i risultati sono stati persino migliori. Qui, le impurità come l’alluminio (Al) e il rame (Cu), spesso presenti in questi materiali, hanno giocato un ruolo inaspettato: hanno catalizzato la reazione con il ferro delle LFP, potenziando ulteriormente la dissoluzione dei metalli di transizione. Siamo riusciti a ottenere una lisciviazione completa di litio, nichel, cobalto e manganese! In questo caso, l’acqua ossigenata non è stata nemmeno necessaria. Un bel risparmio!

Un caso a parte è stata la “Black Mass” pirolizzata, cioè quella che aveva subito un trattamento ad alta temperatura. Qui, sorpresa: i metalli di transizione erano già in gran parte ridotti (probabilmente grazie alla grafite presente che ad alte temperature fa da riducente) e si sono sciolti molto facilmente, anche senza l’aiuto delle LFP. Questo, però, ha creato un piccolo problema a valle: siccome il ferro delle LFP non è stato “usato” per ridurre gli altri metalli (erano già a posto!), è rimasto in gran parte disciolto nella soluzione, rendendo più complicata la sua successiva rimozione come FePO₄.

Le Sfide del Mestiere: Non è Tutto Oro Quel che Luccica

Certo, non è stato tutto rose e fiori. Una delle sfide principali, soprattutto con le Black Mass industriali, è la contaminazione dei residui di lisciviazione. Anche se il ferro precipita come FePO₄, nei residui ci siamo trovati spesso un bel po’ di grafite (fino al 74% in peso nel caso della BM pirolizzata!). La grafite viene dall’anodo delle batterie ed è difficile da separare completamente durante i pre-trattamenti. Anche alluminio e rame possono rimanere intrappolati.

Questo significa che il FePO₄ recuperato non è abbastanza puro per essere riutilizzato direttamente per fabbricare nuove batterie. Servirebbero ulteriori passaggi di purificazione, il che aggiunge complessità e costi.

Un’altra questione, come accennato, è la rimozione del ferro dalla soluzione (PLS) quando si trattano materiali pirolizzati. Se il ferro rimane come Fe²⁺ perché non ha dovuto ossidarsi a Fe³⁺ per ridurre altri metalli, la sua precipitazione alzando il pH (abbiamo provato con idrossido di sodio e idrossido di litio) è molto meno efficiente. Nel caso della BM pirolizzata, a pH 3, ben il 54% del ferro era ancora in soluzione!

Primo piano di fosfato di ferro (FePO4) precipitato, una polvere fine di colore biancastro-giallognolo, accanto a scaglie nere di grafite e piccoli frammenti metallici lucidi di alluminio e rame, a simboleggiare i residui del processo di lisciviazione. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting.

Nonostante ciò, quando la precipitazione del ferro funziona bene (come con le NMC pristine o le BM trattate meccanicamente), riusciamo a rimuoverlo quasi completamente dalla soluzione, con perdite minime (circa 0.3% in totale dopo lavaggio) di litio, cobalto, nichel e manganese, che restano pronti per essere recuperati.

Cosa ci Portiamo a Casa?

Allora, qual è il succo della storia? Beh, il nostro studio dimostra che il riciclo simultaneo di batterie LFP e NMC è una strategia promettente. Ci permette di:

  • Ridurre il consumo di agenti riducenti chimici esterni, sfruttando le LFP, un materiale di scarto con valore economico limitato, come reagente.
  • Ottenere un’efficace dissoluzione di nichel, cobalto e manganese in condizioni blande (acido solforico non troppo concentrato, temperatura moderata).
  • Offrire una soluzione sostenibile per riciclare le LFP senza doverle separare prima.

Certo, ci sono ancora degli ostacoli da superare, soprattutto per quanto riguarda la purezza dei residui (quella maledetta grafite!) e la gestione del ferro in alcuni scenari specifici. Il FePO₄ recuperato, anche se trasformato correttamente, contiene impurità e necessiterebbe di ulteriore purificazione prima di poter rinascere in una nuova batteria.

Ma hey, ogni grande viaggio inizia con un primo passo, no? E questo ci sembra un passo nella direzione giusta per un’economia più circolare e un futuro con meno sprechi e più batterie riciclate in modo intelligente. La ricerca continua, e chissà quali altre “scintille” ci riserverà il futuro del riciclo!

Fonte: Springer

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