Ricerca in Darfur: Perché Tanti Studi Senza Approvazione Etica? Vi Spiego Tutto!
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ complesso, ma super affascinante, nel mondo della ricerca umanitaria, e più precisamente in una regione martoriata da conflitti come il Darfur, nel Sudan occidentale. Vi siete mai chiesti cosa succede quando la necessità di raccogliere dati per aiutare le popolazioni si scontra con le procedure, a volte un po’ farraginose, dell’approvazione etica? Beh, è proprio di questo che parleremo.
Recentemente mi sono imbattuto in uno studio qualitativo molto interessante che ha cercato di capire perché non tutte le ricerche condotte durante il conflitto armato in Darfur, tra il 2004 e il 2012, avessero ottenuto la necessaria approvazione etica. E i risultati, ve lo dico subito, fanno riflettere parecchio.
Un Contesto Difficile: Il Darfur
Prima di addentrarci nel vivo, due parole sul Darfur. Parliamo di una regione che dal 2003 è teatro di un conflitto sanguinoso che ha causato centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e un bisogno immenso di assistenza umanitaria. Organizzazioni non governative (ONG) internazionali e agenzie ONU sono state in prima linea per fornire aiuti vitali: cibo, riparo, cure mediche. Immaginatevi la scena: un’emergenza continua, con sfide enormi legate all’accesso alle aree più colpite, alla sicurezza del personale e alla gestione delle risorse. In questo scenario, la ricerca gioca un ruolo cruciale: aiuta a identificare i bisogni specifici della popolazione, a valutare l’efficacia degli aiuti e a migliorare gli interventi futuri.
La Sorpresa: Pochi Studi con il “Bollino Etico”
Una precedente revisione sistematica aveva già messo in luce un dato allarmante: su 68 studi pubblicamente disponibili condotti su esseri umani in Darfur tra il 2004 e il 2012, solo il 13,2% riportava di aver ottenuto un’approvazione etica, e appena il 42,6% menzionava il consenso informato dei partecipanti. Ancora peggio, su 138 rapporti analizzati dal Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED), nessuno menzionava l’approvazione etica e solo il 12,3% il consenso informato. Numeri che, ammettiamolo, lasciano un po’ interdetti.
Da qui, lo studio qualitativo di cui vi parlo oggi, che ha coinvolto 38 partecipanti tra rappresentanti di ONG nazionali e internazionali, agenzie ONU e organi di governance umanitaria e di ricerca sudanesi, per capire il perché di queste mancanze.
Perché Saltare l’Approvazione Etica? Le Ragioni Emerse
Dalle interviste e dai focus group sono emersi cinque temi principali che ci aiutano a dipanare la matassa. Eccoli qua:
1. “Ma è Davvero Ricerca?” Definizioni Incoerenti
Sembra banale, ma non lo è. Molti operatori umanitari, soprattutto quelli delle ONG, esitavano a definire le loro attività di raccolta dati come “ricerca”. Parlavano piuttosto di “valutazioni rapide iniziali”, più legate alla necessità di fornire una risposta immediata all’emergenza. Un rappresentante di un’ONG internazionale ha detto chiaramente: “Nella nostra organizzazione c’è ricerca, ma non nella missione in Sudan. Per le valutazioni rapide iniziali, si tratta più di fornire una risposta rapida – emergenza.” E alla domanda se considerassero queste attività ricerca, la risposta è stata un secco “No”.
Dall’altra parte, gli organi di governance della ricerca insistevano sull’importanza di attenersi a definizioni standard, come quelle dell’OMS, che includono un’ampia gamma di studi con coinvolgimento umano. Insomma, un bel corto circuito comunicativo!

2. “Ma Sì, è a Basso Rischio!” Percezioni di Rischio Ridotto
Altro punto interessante: la percezione del rischio. Mentre gli enti governativi tendevano a considerare tutti gli studi come intrinsecamente rischiosi, molti rappresentanti delle ONG vedevano le loro indagini umanitarie come attività a basso rischio, specialmente se non prevedevano prelievi di campioni biologici e non si aspettavano danni diretti ai partecipanti. Qualcuno ha persino suggerito che, in assenza di danno e campioni biologici, si potesse fare a meno della revisione etica. Un approccio, diciamocelo, un po’ troppo disinvolto rispetto alla cautela degli organi di controllo.
3. “C’è Urgenza, Non Possiamo Aspettare!” L’Emergenza Come Giustificazione
Qui tocchiamo un nervo scoperto. Le ONG sottolineavano la natura critica del loro lavoro, usando termini come “emergenza” e “risposta rapida” per evidenziare la necessità di un’azione immediata. La preoccupazione era che le lunghe procedure per l’approvazione etica potessero ostacolare la capacità di fornire assistenza tempestiva. “Ogni campo profughi per noi significa operazione d’emergenza,” mi hanno detto. E poi, le frustrazioni per i ritardi burocratici: “In Sudan, abbiamo procedure ‘tartarughesche’, realisticamente. Il periodo di due mesi per ottenere la ratifica per lavorare in Darfur è lungo al punto che ciò che voglio studiare potrebbe essere già cambiato.”
Di contro, i rappresentanti degli organi di governance contestavano questa urgenza, sostenendo che la situazione in Darfur non giustificasse più misure di emergenza e che la revisione etica non avrebbe interrotto gli aiuti. Un rappresentante ONU ha aggiunto che la revisione etica poteva procedere parallelamente ai preparativi tecnici e logistici, e che sacrificare gli standard etici in nome dell’urgenza non era accettabile. Un bel dilemma tra rapidità d’azione e correttezza procedurale.
4. “Ce l’Hanno Già Approvato Altri (o Quasi)!” Approvazione Precedente di Studi o Strumenti
Molti rappresentanti delle ONG hanno evidenziato la stretta collaborazione con i ministeri partner come una forma di approvazione implicita che, a loro dire, poteva sostituire la revisione etica formale da parte del Comitato Etico Nazionale di Ricerca (NREC). Le loro argomentazioni?
- Gli enti governativi esaminavano regolarmente gli strumenti di raccolta dati: se questi erano approvati, perché un’ulteriore revisione?
- Molti dipartimenti governativi lavoravano a stretto contatto con le organizzazioni sul campo: se loro non erano ferrati sulle procedure di governance della ricerca, come pretenderlo dalle ONG?
- Le considerazioni etiche erano già state affrontate e salvaguardate attraverso il monitoraggio continuo da parte di questi enti governativi.
Inoltre, alcuni sostenevano che l’uso di strumenti di raccolta dati standardizzati (es. questionari) implicasse una revisione e approvazione già avvenuta altrove. “Lo strumento (l’indagine) utilizzava uno strumento di raccolta dati standardizzato, che aveva già considerato queste questioni etiche ed è utilizzato […] da altre missioni di ONG, quindi non ci sono […] problemi etici sollevati durante le nostre valutazioni,” ha affermato un rappresentante INGO.
5. “Non Sapevamo Ci Fosse un Comitato!” Mancanza di Conoscenza delle Procedure di Revisione Etica
Ebbene sì, una delle ragioni più citate è stata la semplice mancanza di conoscenza dell’esistenza del Comitato Etico Nazionale di Ricerca (NREC) e delle linee guida etiche nazionali. Questa lacuna è stata riconosciuta sia dai rappresentanti degli organi di governance della ricerca (RGB) sia dalle ONG. Gli RGB hanno ammesso una possibile carenza nelle loro attività di sensibilizzazione. “È possibile […] che non ne siano genuinamente a conoscenza (del NREC), è forse una delle nostre mancanze. Non abbiamo fatto abbastanza advocacy.”
Tuttavia, gli stessi RGB hanno anche suggerito che le ONG potrebbero aver evitato di proposito di cercare l’approvazione etica, quasi a voler usare i ritardi come scusa per non aver nemmeno iniziato il processo. Una visione un po’ più critica, che solleva interrogativi sulla reale volontà di alcune organizzazioni di sottoporsi a questo tipo di scrutinio.

Limiti dello Studio e Riflessioni
È importante dire che questo studio, pur pionieristico, ha i suoi limiti: il divario temporale tra il periodo analizzato (2004-2012) e la conduzione dello studio (completato nel 2018), la specificità del contesto del Darfur, una minore rappresentanza delle INGO (forse per la delicatezza dell’argomento, dato che in passato il regime sudanese ne aveva espulse diverse) e possibili bias nelle risposte dei partecipanti.
Nonostante ciò, le riflessioni che emergono sono potentissime. Esiste una tensione evidente tra i principi umanitari (umanità, imparzialità, neutralità) e le procedure formali della ricerca etica. I codici di condotta umanitari esistenti si concentrano sugli interventi generali, ma mancano di guide specifiche per le questioni etiche legate alla ricerca (autonomia, confidenzialità, privacy).
Cosa Possiamo Imparare? Raccomandazioni per il Futuro
Lo studio non si ferma all’analisi, ma propone anche delle vie d’uscita, delle raccomandazioni concrete per rafforzare la supervisione etica della ricerca durante i conflitti armati:
- Collaborazione internazionale e governi locali: Sviluppare e far rispettare quadri normativi per la ricerca in contesti umanitari.
- Linee guida chiare per la ricerca d’emergenza: Basate su prove empiriche e coinvolgimento delle comunità locali, che definiscano la ricerca in contesti di emergenza e includano criteri di valutazione del rischio.
- Integrazione dell’etica fin dall’inizio: Le agenzie umanitarie, le istituzioni di ricerca e gli stakeholder locali devono collaborare per integrare le considerazioni etiche nella pianificazione e implementazione della ricerca.
- Pre-approvazione di strumenti e protocolli: Per quelli comunemente usati in contesti di emergenza, con possibilità di modifiche rapide.
- Armonizzazione tra governance della ricerca e umanitaria.
- Formazione etica per gli operatori umanitari.
- Comitati etici specializzati per zone di conflitto: Con competenze specifiche e processi di revisione rapidi.
Insomma, la strada per garantire che ogni ricerca, anche quella condotta nelle condizioni più estreme, rispetti pienamente i diritti e il benessere dei partecipanti è ancora lunga. Ma studi come questo ci aiutano a capire meglio gli ostacoli e, soprattutto, a immaginare soluzioni concrete. La ricerca in contesti umanitari è troppo importante per non essere fatta nel modo più etico possibile. Non trovate?
Fonte: Springer
