Orsi Neri di Formosa: Come Abbiamo Dato una Seconda Vita a Due Giganti Feriti (Senza Farli Diventare Amici Nostri!)
Ciao a tutti! Oggi voglio raccontarvi una storia che mi sta particolarmente a cuore, una di quelle che ti fanno capire quanto sia incredibile il mondo animale e quanto impegno ci voglia per proteggerlo. Parliamo di orsi, ma non orsi qualsiasi: gli Orsi Neri di Formosa (Ursus thibetanus formosanus), creature magnifiche ma, ahimè, spesso in pericolo.
Immaginatevi la scena: due di questi splendidi animali, gravemente feriti. Uno, una femmina adulta, aveva perso diverse falangi della zampa anteriore sinistra e presentava una necrosi estesa sul palmo destro. L’altro, un maschio subadulto, era messo ancora peggio: ferite multiple da arma da fuoco, necrosi al polso destro, una frattura alla mandibola e una all’omero sinistro. Un quadro clinico da far tremare i polsi, ve lo assicuro!
La Sfida della Riabilitazione Selvatica
Quando ci si trova di fronte ad animali selvatici feriti, l’obiettivo primario è sempre uno: curarli e rimetterli in libertà nel loro ambiente naturale. Sembra semplice, no? Beh, non proprio. Il processo di riabilitazione può essere una fonte di stress enorme per questi animali. Pensateci: si ritrovano in un ambiente sconosciuto, circondati da umani (che non vedono certo come amici) e sottoposti a procedure mediche spesso dolorose o fastidiose. Questo stress può portare a complicazioni, infezioni secondarie e persino impedire la guarigione.
Tradizionalmente, per ridurre lo stress, si cerca di minimizzare ogni contatto: si forniscono nascondigli, si evitano rumori, odori e contatti visivi. Questo aiuta anche a non farli abituare troppo alla nostra presenza, cosa fondamentale per la loro sopravvivenza una volta rilasciati. Però, c’è un “ma”. Se l’animale è gravemente ferito e necessita di cure intensive, come fai a monitorarlo e a intervenire se se ne sta sempre nascosto? È un bel dilemma!
Un Approccio Innovativo: La Desensibilizzazione
Ed è qui che entra in gioco una tecnica che, vi confesso, all’inizio poteva sembrare controintuitiva per la fauna selvatica: la desensibilizzazione. In pratica, si tratta di abituare gradualmente l’animale agli stimoli che normalmente lo stresserebbero (come la presenza del veterinario o le procedure di medicazione) associandoli a qualcosa di positivo, come una ricompensa gustosa. L’idea non è quella di addomesticarli, sia chiaro, ma di renderli più collaborativi e meno terrorizzati durante le cure.
Perché abbiamo scelto questa strada? Perché con ferite così gravi, l’alternativa sarebbe stata la sedazione continua, con tutti i rischi che comporta, oppure cure incomplete che avrebbero compromesso la guarigione. La desensibilizzazione ci ha permesso di curare le ferite, somministrare farmaci e monitorare i progressi senza doverli “addormentare” ogni volta, riducendo lo stress e il rischio di ulteriori traumi.
Il Caso della Femmina: Paziente 1
La nostra prima paziente, la femmina adulta, è arrivata il 20 aprile 2020. Era rimasta intrappolata in un laccio d’acciaio. Dopo un primo intervento chirurgico, nonostante fosse in un recinto tranquillo, si nascondeva, rifiutava il cibo e le medicine. Le sue ferite stavano peggiorando. Un disastro! Così, l’abbiamo trasferita in una gabbia per cure intensive e abbiamo iniziato l’addestramento alla desensibilizzazione. Un operatore esperto si occupava di lei, pulendo la gabbia, offrendo cibo medicato e medicando le ferite con delicatezza, premiandola con acqua e miele quando restava calma. Sapete una cosa? Dopo soli tre giorni di questo trattamento, l’orsa ha iniziato a collaborare! Le ferite sono guarite completamente in 53 giorni e, dopo 105 giorni di riabilitazione, è stata rilasciata.
Il Giovane Maschio: Paziente 2, una Sfida Maggiore
L’11 dicembre 2020 è arrivato il secondo orso, il maschio subadulto. Le sue condizioni erano critiche: laccio al polso, proiettili, fratture. Era un caso disperato. Anche con lui abbiamo iniziato subito la desensibilizzazione. Data la frattura alla mandibola, doveva essere alimentato a mano con cibo liquefatto. Immaginate la difficoltà! Ci sono voluti quasi sei giorni prima che iniziasse a mangiare, ma la pazienza e la tecnica hanno dato i loro frutti. Le cure sono state lunghe e complesse, ma la sua collaborazione, ottenuta grazie alla desensibilizzazione, è stata fondamentale. Dopo la guarigione, è stato trasferito in un grande recinto esterno per l’addestramento pre-rilascio.
L’Importanza del “Tornare Selvatici”
Una delle preoccupazioni principali quando si usa la desensibilizzazione è che l’animale si abitui troppo all’uomo. Questo sarebbe un problema enorme una volta rilasciato, perché potrebbe avvicinarsi troppo ai centri abitati, creando conflitti. Per evitare questo, abbiamo preso delle precauzioni:
- Solo uno o due operatori dedicati interagivano con gli orsi.
- Durante il periodo pre-rilascio, abbiamo minimizzato i contatti.
- Abbiamo fornito solo cibo naturale, tipico della loro dieta selvatica, per incoraggiare i comportamenti di foraggiamento.
- Abbiamo condotto test di avversione agli umani, usando rumori forti per condizionarli a evitarci.
L’obiettivo era chiaro: dovevano tornare ad essere orsi selvatici al 100%, capaci di sopravvivere da soli e di temere l’uomo, come è giusto che sia per la loro sicurezza e la nostra.
Risultati e Prospettive Future
La femmina, purtroppo, ha perso il collare GPS dopo soli due giorni dal rilascio, quindi non abbiamo dati certi sulla sua sopravvivenza a lungo termine, ma sappiamo che era guarita completamente. Il giovane maschio, invece, è stato monitorato per oltre un anno grazie al suo collare GPS! Ha stabilito un suo territorio nel suo habitat naturale e ha mostrato un chiaro comportamento di evitamento nei confronti della presenza umana. Un successo strepitoso!
Questa esperienza ci ha insegnato tantissimo. La desensibilizzazione, se usata con criterio e affiancata da un robusto programma di pre-rilascio, può fare la differenza nella riabilitazione di specie selvatiche gravemente ferite. Non solo migliora la qualità delle cure mediche, ma aiuta anche a mitigare i rischi di conflitti post-rilascio.
Certo, non è una bacchetta magica. Ogni specie è diversa, ogni individuo ha il suo carattere e l’ambiente di riabilitazione gioca un ruolo. Ci vuole personale esperto, tempo e dedizione. Ma i risultati, come quelli ottenuti con i nostri due orsi neri di Formosa, ci dicono che vale assolutamente la pena continuare su questa strada, affinando le tecniche per dare una speranza concreta a tanti animali in difficoltà.
Insomma, una storia a lieto fine che dimostra come, a volte, un approccio che sembra “gentile” possa essere incredibilmente efficace anche con i giganti più selvatici, aiutandoli a tornare a casa, nel loro mondo.
Fonte: Springer