Due orsi neri di Formosa, uno con una zampa fasciata e l'altro che mostra segni di guarigione, in un ambiente di riabilitazione che suggerisce cura e speranza. Obiettivo prime 50mm, luce naturale filtrata, profondità di campo per evidenziare gli orsi ma mostrando l'ambiente di cura.

Orsi Neri di Formosa: Come Abbiamo Dato una Seconda Vita a Due Giganti Feriti (Senza Farli Diventare Amici Nostri!)

Ciao a tutti! Oggi voglio raccontarvi una storia che mi sta particolarmente a cuore, una di quelle che ti fanno capire quanto sia incredibile il mondo animale e quanto impegno ci voglia per proteggerlo. Parliamo di orsi, ma non orsi qualsiasi: gli Orsi Neri di Formosa (Ursus thibetanus formosanus), creature magnifiche ma, ahimè, spesso in pericolo.

Immaginatevi la scena: due di questi splendidi animali, gravemente feriti. Uno, una femmina adulta, aveva perso diverse falangi della zampa anteriore sinistra e presentava una necrosi estesa sul palmo destro. L’altro, un maschio subadulto, era messo ancora peggio: ferite multiple da arma da fuoco, necrosi al polso destro, una frattura alla mandibola e una all’omero sinistro. Un quadro clinico da far tremare i polsi, ve lo assicuro!

La Sfida della Riabilitazione Selvatica

Quando ci si trova di fronte ad animali selvatici feriti, l’obiettivo primario è sempre uno: curarli e rimetterli in libertà nel loro ambiente naturale. Sembra semplice, no? Beh, non proprio. Il processo di riabilitazione può essere una fonte di stress enorme per questi animali. Pensateci: si ritrovano in un ambiente sconosciuto, circondati da umani (che non vedono certo come amici) e sottoposti a procedure mediche spesso dolorose o fastidiose. Questo stress può portare a complicazioni, infezioni secondarie e persino impedire la guarigione.

Tradizionalmente, per ridurre lo stress, si cerca di minimizzare ogni contatto: si forniscono nascondigli, si evitano rumori, odori e contatti visivi. Questo aiuta anche a non farli abituare troppo alla nostra presenza, cosa fondamentale per la loro sopravvivenza una volta rilasciati. Però, c’è un “ma”. Se l’animale è gravemente ferito e necessita di cure intensive, come fai a monitorarlo e a intervenire se se ne sta sempre nascosto? È un bel dilemma!

Un Approccio Innovativo: La Desensibilizzazione

Ed è qui che entra in gioco una tecnica che, vi confesso, all’inizio poteva sembrare controintuitiva per la fauna selvatica: la desensibilizzazione. In pratica, si tratta di abituare gradualmente l’animale agli stimoli che normalmente lo stresserebbero (come la presenza del veterinario o le procedure di medicazione) associandoli a qualcosa di positivo, come una ricompensa gustosa. L’idea non è quella di addomesticarli, sia chiaro, ma di renderli più collaborativi e meno terrorizzati durante le cure.

Perché abbiamo scelto questa strada? Perché con ferite così gravi, l’alternativa sarebbe stata la sedazione continua, con tutti i rischi che comporta, oppure cure incomplete che avrebbero compromesso la guarigione. La desensibilizzazione ci ha permesso di curare le ferite, somministrare farmaci e monitorare i progressi senza doverli “addormentare” ogni volta, riducendo lo stress e il rischio di ulteriori traumi.

Un orso nero di Formosa in un recinto di riabilitazione, appare stressato e si nasconde in un angolo. Obiettivo macro 80mm, luce controllata, alta definizione per mostrare la tensione dell'animale e i dettagli del suo pelo scuro.

Il Caso della Femmina: Paziente 1

La nostra prima paziente, la femmina adulta, è arrivata il 20 aprile 2020. Era rimasta intrappolata in un laccio d’acciaio. Dopo un primo intervento chirurgico, nonostante fosse in un recinto tranquillo, si nascondeva, rifiutava il cibo e le medicine. Le sue ferite stavano peggiorando. Un disastro! Così, l’abbiamo trasferita in una gabbia per cure intensive e abbiamo iniziato l’addestramento alla desensibilizzazione. Un operatore esperto si occupava di lei, pulendo la gabbia, offrendo cibo medicato e medicando le ferite con delicatezza, premiandola con acqua e miele quando restava calma. Sapete una cosa? Dopo soli tre giorni di questo trattamento, l’orsa ha iniziato a collaborare! Le ferite sono guarite completamente in 53 giorni e, dopo 105 giorni di riabilitazione, è stata rilasciata.

Il Giovane Maschio: Paziente 2, una Sfida Maggiore

L’11 dicembre 2020 è arrivato il secondo orso, il maschio subadulto. Le sue condizioni erano critiche: laccio al polso, proiettili, fratture. Era un caso disperato. Anche con lui abbiamo iniziato subito la desensibilizzazione. Data la frattura alla mandibola, doveva essere alimentato a mano con cibo liquefatto. Immaginate la difficoltà! Ci sono voluti quasi sei giorni prima che iniziasse a mangiare, ma la pazienza e la tecnica hanno dato i loro frutti. Le cure sono state lunghe e complesse, ma la sua collaborazione, ottenuta grazie alla desensibilizzazione, è stata fondamentale. Dopo la guarigione, è stato trasferito in un grande recinto esterno per l’addestramento pre-rilascio.

L’Importanza del “Tornare Selvatici”

Una delle preoccupazioni principali quando si usa la desensibilizzazione è che l’animale si abitui troppo all’uomo. Questo sarebbe un problema enorme una volta rilasciato, perché potrebbe avvicinarsi troppo ai centri abitati, creando conflitti. Per evitare questo, abbiamo preso delle precauzioni:

  • Solo uno o due operatori dedicati interagivano con gli orsi.
  • Durante il periodo pre-rilascio, abbiamo minimizzato i contatti.
  • Abbiamo fornito solo cibo naturale, tipico della loro dieta selvatica, per incoraggiare i comportamenti di foraggiamento.
  • Abbiamo condotto test di avversione agli umani, usando rumori forti per condizionarli a evitarci.

L’obiettivo era chiaro: dovevano tornare ad essere orsi selvatici al 100%, capaci di sopravvivere da soli e di temere l’uomo, come è giusto che sia per la loro sicurezza e la nostra.

Un veterinario offre con cautela cibo medicato a un orso nero di Formosa ferito in un recinto di terapia intensiva, l'orso inizia a mostrare segni di calma e accetta il cibo. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo per focalizzare l'interazione, luce soffusa che crea un'atmosfera di cura.

Risultati e Prospettive Future

La femmina, purtroppo, ha perso il collare GPS dopo soli due giorni dal rilascio, quindi non abbiamo dati certi sulla sua sopravvivenza a lungo termine, ma sappiamo che era guarita completamente. Il giovane maschio, invece, è stato monitorato per oltre un anno grazie al suo collare GPS! Ha stabilito un suo territorio nel suo habitat naturale e ha mostrato un chiaro comportamento di evitamento nei confronti della presenza umana. Un successo strepitoso!

Questa esperienza ci ha insegnato tantissimo. La desensibilizzazione, se usata con criterio e affiancata da un robusto programma di pre-rilascio, può fare la differenza nella riabilitazione di specie selvatiche gravemente ferite. Non solo migliora la qualità delle cure mediche, ma aiuta anche a mitigare i rischi di conflitti post-rilascio.

Certo, non è una bacchetta magica. Ogni specie è diversa, ogni individuo ha il suo carattere e l’ambiente di riabilitazione gioca un ruolo. Ci vuole personale esperto, tempo e dedizione. Ma i risultati, come quelli ottenuti con i nostri due orsi neri di Formosa, ci dicono che vale assolutamente la pena continuare su questa strada, affinando le tecniche per dare una speranza concreta a tanti animali in difficoltà.

Insomma, una storia a lieto fine che dimostra come, a volte, un approccio che sembra “gentile” possa essere incredibilmente efficace anche con i giganti più selvatici, aiutandoli a tornare a casa, nel loro mondo.

Un orso nero di Formosa riabilitato, con il pelo lucido e aspetto sano, esplora un ampio recinto esterno che simula il suo habitat naturale con alberi e vegetazione. Obiettivo teleobiettivo zoom 200mm, tracciamento del movimento, luce naturale del tardo pomeriggio che illumina la scena.

Fonte: Springer

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