prime lens, 50mm, immagine simbolica di un dente molare stilizzato metà sano e brillante, metà opaco e fragile (rappresentazione MIH) con un restauro parziale visibile, sfondo neutro sfocato, illuminazione drammatica

Denti Fragili (MIH): I Restauri Ibridi Sono Davvero la Soluzione a Lungo Termine?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a noi dentisti, soprattutto a chi si occupa dei più piccoli: l’Ipomineralizzazione Molare-Incisale, meglio conosciuta come MIH. Magari ne avete sentito parlare, o forse avete notato sui denti dei vostri figli delle strane macchie bianco-giallastre o marroni, diverse dalle solite carie. Ecco, potrebbe trattarsi proprio di MIH.

Cos’è esattamente la MIH?

Immaginate lo smalto dei denti, quella corazza esterna super resistente. Nella MIH, questa corazza, specialmente sui primi molari permanenti (quelli che spuntano intorno ai 6 anni) e a volte sugli incisivi, nasce già “difettosa”. È meno mineralizzata, più porosa e quindi più fragile. Non è colpa di caramelle o scarsa igiene, è un difetto che si sviluppa durante la formazione del dente, anche se le cause esatte sono ancora un po’ un mistero. Si parla di possibili fattori pre-, peri- e post-natali, influenze genetiche, epigenetiche e ambientali.

La MIH è un problema diffuso: pensate che colpisce circa il 12.8% della popolazione mondiale, quasi 880 milioni di persone! E ogni anno si aggiungono milioni di nuovi casi.

Perché la MIH è una bella gatta da pelare?

I denti colpiti da MIH non sono solo esteticamente diversi. Portano con sé una serie di problemi:

  • Ipersensibilità: Anche solo bere acqua fredda o respirare aria può far male.
  • Fragilità: Lo smalto si rompe facilmente (post-eruptive breakdown), anche solo masticando.
  • Carie “atipiche”: La carie progredisce rapidissimamente su questo smalto poroso, portando a volte a pulpite (il classico mal di denti forte) in men che non si dica.
  • Difficoltà con l’anestesia: A causa dell’infiammazione cronica che spesso si instaura, fare l’anestesia può essere complicato, rendendo le cure più difficili e stressanti per i bambini.
  • Problemi estetici: Soprattutto se colpisce gli incisivi.

Insomma, la qualità della vita di chi ne soffre può risentirne parecchio.

Come interveniamo? La sfida del restauro

Restaurare un dente con MIH non è una passeggiata. Lo smalto fragile rende difficile l’adesione dei materiali, e il rischio di esporre la polpa (il “nervo” del dente) è più alto. Per questo, cerchiamo approcci il più conservativi possibile. Una tecnica che ci viene in aiuto è la Rimozione Selettiva della Carie (SCR – Selective Caries Removal).

In pratica, con la SCR, soprattutto nelle carie profonde, non andiamo a scavare fino all’ultimo batterio vicino alla polpa. Rimuoviamo la dentina più molle e infetta ai margini della cavità, lasciando uno strato di dentina più “coriacea” (ma comunque affetta) vicino alla polpa. Sigillando poi perfettamente il restauro, togliamo ai batteri rimasti il nutrimento, bloccando di fatto la progressione della carie e riducendo il rischio di dover devitalizzare il dente.

I materiali ibridi vetroionomerici: una speranza?

Tra i materiali che possiamo usare, ci sono i compositi, le corone metalliche prefabbricate, ma anche i materiali vetroionomerici. Questi ultimi hanno il vantaggio di essere idrofili (non temono troppo l’umidità, che in bocca non manca mai!) e di rilasciare fluoro, aiutando a rimineralizzare il dente. Però, i vetroionomeri tradizionali non sono molto resistenti meccanicamente.

Qui entrano in gioco i materiali ibridi vetroionomerici (glass hybrid). Sono un’evoluzione, pensati per essere più resistenti all’usura e più duri. Sembravano promettenti per la MIH, ma mancavano dati sulla loro durata a lungo termine. Ed è proprio qui che si inserisce lo studio di cui vi parlo oggi.

macro lens, 80mm, close-up di un molare permanente con evidenti opacità bianco-giallastre e una piccola frattura dello smalto tipiche della MIH, illuminazione controllata da studio dentistico, alta definizione

Lo studio: 6 anni sotto osservazione

Abbiamo seguito per ben sei anni un gruppo di 58 bambini (età media quasi 9 anni) con molari permanenti affetti da MIH. Su questi denti (134 in totale) abbiamo eseguito la rimozione selettiva della carie (SCR) e poi applicato restauri con materiali ibridi vetroionomerici (nello specifico, Equia Forte® della GC).

Abbiamo controllato questi restauri a 6, 12, 18, 24 mesi e infine a 72 mesi (6 anni), usando i criteri modificati USPHS (un sistema standard per valutare i restauri). Volevamo capire quanto durassero questi restauri e quali fattori influenzassero la loro sopravvivenza.

Cosa abbiamo scoperto? Luci e ombre

I risultati sono stati… interessanti. La sopravvivenza media stimata dei restauri è stata di circa 60 mesi (5 anni). Non male, direte voi. Ma scavando più a fondo, abbiamo visto delle differenze importanti.

  • Breve-medio termine (fino a 2-3 anni): La performance è stata generalmente accettabile. A 24 mesi, la probabilità di sopravvivenza era ancora alta (circa 82% per lesioni lievi, 75% per quelle severe).
  • Lungo termine (6 anni): Qui le cose cambiano. La probabilità di sopravvivenza è crollata drasticamente: solo il 24.3% per le lesioni lievi e addirittura l’11.1% per quelle severe! Un calo notevole.

Abbiamo analizzato i dati per capire cosa influenzasse questa durata. L’età del bambino o l’arcata (superiore o inferiore) non sembravano fare differenza significativa. Invece, due fattori sono risultati cruciali (e statisticamente significativi, p<0.001):

  • Gravità della lesione MIH: I restauri su denti con MIH severa duravano significativamente meno.
  • Estensione della lesione/restauro: Restauri più grandi (che coprivano da un terzo a più di due terzi del dente) fallivano prima rispetto a quelli piccoli.

Questo conferma che più il dente è compromesso dalla MIH, più è difficile che un restauro in ibrido vetroionomerico resista nel tempo alle forze della masticazione.

prime lens, 35mm, vista ravvicinata delle mani guantate di un dentista che applica un materiale restaurativo ibrido vetroionomerico (colore bianco opaco) in una cavità preparata su un molare, isolamento con rullo di cotone visibile, luce da studio dentistico, profondità di campo ridotta

Interpretiamo i risultati: cosa ci portiamo a casa?

Questo studio, il primo a seguire questi materiali e questa tecnica per 6 anni su denti MIH, ci dice chiaramente che i restauri ibridi vetroionomerici sono una soluzione valida nel breve-medio termine. Possono essere un’ottima opzione, specialmente nei bambini piccoli o poco collaboranti, dove un approccio minimamente invasivo come la SCR è preferibile per proteggere il dente da sensibilità e ulteriore distruzione, magari in attesa di un restauro più definitivo o di un’età più adatta per trattamenti complessi.

Tuttavia, non possiamo considerarli la soluzione definitiva per tutti i casi di MIH, soprattutto quelli severi ed estesi. La loro resistenza meccanica, seppur migliorata rispetto ai vetroionomeri tradizionali, non è ancora sufficiente per garantire una durata a lungo termine sotto carico occlusale su uno smalto così compromesso.

C’è anche da dire che i criteri USPHS, pensati magari più per i compositi, potrebbero essere un po’ “severi” con i vetroionomeri. Valutano aspetti come colore, tessitura superficiale, discolorazione marginale… Criteri su cui un vetroionomero, per sua natura, non può eccellere come un composito. Forse dovremmo concentrarci di più sugli esiti biologici: il dente è sensibile? C’è carie secondaria? La polpa è vitale? Da questo punto di vista, molti restauri classificati come “falliti” esteticamente, in realtà stavano ancora proteggendo il dente e mantenendolo asintomatico. Servirebbe forse un sistema di valutazione più adatto a questi materiali nell’ottica della moderna odontoiatria minimamente invasiva.

Guardando al futuro

La MIH resta una sfida importante. Questo studio sottolinea l’urgente necessità di sviluppare materiali restaurativi più performanti, specificamente pensati per le sfide strutturali e chimiche poste dai denti con MIH. Materiali che magari combinino la biocompatibilità e il rilascio di fluoro dei vetroionomeri con una resistenza meccanica e un’adesione duratura paragonabili a quelle dei compositi o delle corone.

Nel frattempo, i materiali ibridi vetroionomerici, usati con cognizione di causa (soprattutto per lesioni non troppo severe/estese) e in combinazione con tecniche conservative come la SCR, rimangono uno strumento utile nel nostro arsenale terapeutico per gestire questi denti difficili, soprattutto nei pazienti più giovani.

La ricerca deve continuare, focalizzandosi su nuovi materiali, protocolli standardizzati e forse nuovi indici di valutazione del successo che vadano oltre i criteri convenzionali. Solo così potremo migliorare davvero gli esiti a lungo termine per i tanti bambini e ragazzi che convivono con la MIH.

Fonte: Springer

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