Riso, Resilienza e Saggezza Contadina: Lezioni di Sopravvivenza dalla Thailandia
Avete mai pensato a cosa significhi davvero “resilienza”? È una di quelle parole che sentiamo spesso, soprattutto quando si parla di crisi, cambiamenti climatici o sfide economiche. Per gli accademici, ha definizioni precise, spesso legate alla capacità di un sistema di “rimbalzare” dopo uno shock. Ma cosa significa per chi la resilienza la deve mettere in pratica ogni giorno, come un agricoltore biologico nel nord-est della Thailandia? Beh, ho avuto la possibilità di approfondire proprio questo, e vi assicuro che le loro prospettive sono illuminanti e, diciamocelo, molto più concrete di tanti trattati teorici.
Partiamo da un presupposto: il concetto di resilienza è un bel rompicapo. Nato nella teoria dei sistemi, si è evoluto e diffuso in mille campi, dalla psicologia all’ecologia. Il problema è che ogni disciplina se l’è un po’ “cucinato” a modo suo. Così, se per gli studiosi di sistemi socio-ecologici la resilienza riguarda la capacità di adattamento di fronte a incertezze, spesso manca una comprensione profonda delle dinamiche sociali. Dall’altra parte, la psicologia si concentra sulla forza interiore di individui e comunità, tralasciando a volte il contesto ambientale. E in agricoltura? Qui la faccenda si complica ulteriormente, perché entrano in gioco fattori sociali, economici ed ecologici strettamente interconnessi e in continuo cambiamento. Ecco perché un approccio integrato è fondamentale.
Tradizionalmente, in agricoltura, la resilienza è vista come la capacità di apprendere in modo flessibile per far fronte all’incertezza, promuovendo la sopravvivenza attraverso la creatività, piuttosto che aderire a un approccio fisso come quello della sostenibilità (che si basa su principi come conservare risorse e minimizzare l’impatto ambientale). Nonostante i suoi benefici, applicare la resilienza non è una passeggiata. Pensate alla diversificazione: coltivare più prodotti e integrare l’allevamento aiuta a spargere i rischi, ma non tutti i sistemi agricoli si prestano facilmente. E poi c’è il sapere indigeno, le pratiche di conservazione del suolo, l’agroforestazione… tutti elementi che rafforzano la resilienza, ma che richiedono tempo e impegno. L’agricoltura biologica, con la sua enfasi su pratiche eco-compatibili e minore dipendenza da input esterni, è spesso vista come un passo avanti in questa direzione.
Il Contesto Thailandese: Una Sfida Continua
In Thailandia, l’agricoltura biologica ha preso piede dagli anni ’80, spinta dagli effetti negativi di quella convenzionale, zeppa di chimica. Movimenti di base e ONG locali hanno giocato un ruolo cruciale, creando reti di agricoltori e cooperative. Il risultato? Una crescita notevole, trainata dalla domanda interna di cibo sano e dalle opportunità sui mercati esteri. Ma non è tutto oro quello che luccica. L’adozione è stata lenta, a causa di ostacoli come la complessità delle interazioni tra aspetti economici, biologici e istituzionali. Aumentare la diversità colturale può migliorare la resistenza ai parassiti, ma magari riduce la redditività. Un bel dilemma!
Nonostante gli sforzi per promuovere la resilienza tra i circa 40.000 agricoltori biologici thailandesi, ci sono diversi intoppi. Primo, le politiche agricole tendono ancora a favorire il convenzionale. Secondo, molti piccoli agricoltori preferiscono guadagni immediati ai benefici a lungo termine della resilienza. E, cosa non da poco, c’è una scarsa consapevolezza di cosa sia davvero la resilienza. Spesso viene confusa con la “robustezza” o, in termini psicologici, con l’intelligenza emotiva. A livello politico, poi, il significato è controverso. Questa ambiguità è un problema serio: se non capisci bene un concetto, come puoi applicarlo efficacemente?
La maggior parte della ricerca sulla resilienza in agricoltura si è concentrata su indicatori e misurazioni, ma poco sull’effettiva comprensione che ne hanno gli agricoltori. Ed è qui che il nostro viaggio diventa interessante. Siamo andati a parlare direttamente con loro, 84 agricoltori biologici di riso in quattro province del nord-est della Thailandia, per capire cosa significa “resilienza” dal loro punto di vista.
Abbiamo usato interviste semi-strutturate, seguendo la metodologia della “constructivist grounded theory”, che permette di sviluppare teorie partendo dalle esperienze dirette delle persone. Abbiamo chiesto: “Hai mai sentito la parola ‘resilienza’?”, “Cosa ti viene in mente pensando alla tua azienda agricola?”. E per chi faticava con il concetto astratto, abbiamo usato metafore, come quella del bambù che si piega ma non si spezza. Le interviste, spesso svolte direttamente nei campi, sono state un’esperienza incredibile di condivisione.
Le Quattro Facce della Resilienza Contadina
Dalle loro parole, sono emerse quattro definizioni principali di resilienza, quattro pilastri su cui costruiscono la loro capacità di far fronte alle avversità.
1. Resilienza è Adattamento per Affrontare il Cambiamento
Per gli agricoltori, l’adattamento è la prima cosa che viene in mente. Significa modificare pratiche, prospettive e strutture per ottenere risultati favorevoli di fronte alle sfide. Non è un’azione singola, ma un processo che richiede conoscenza, abilità e risorse nel tempo. Un esempio? Di fronte alla siccità ricorrente, hanno introdotto varietà di riso tolleranti alla siccità, come il Tubtim Chumphae, accanto alle varietà più pregiate per il commercio e a quelle glutinose per la sicurezza alimentare. “Per essere resilienti, soprattutto con le incertezze della coltivazione biologica del riso, dobbiamo essere adattabili,” mi ha detto un agricoltore. “L’adattamento è resilienza. Dobbiamo adattarci per mantenere l’azienda. Il tempo non rimarrà lo stesso, e i consumatori cambiano.”
È interessante notare come adattamento e resilienza vengano spesso usati come sinonimi. L’adattamento è una componente della resilienza, più focalizzata su aggiustamenti immediati, mentre la resilienza ha una prospettiva più ampia e a lungo termine, includendo la capacità di trasformarsi.
2. Resilienza è Diversificazione delle Colture per Affrontare il Cambiamento
Un altro concetto chiave è la diversificazione: gestire l’azienda espandendo la gamma di attività per accedere ad alternative favorevoli. Non solo riso biologico, quindi, ma anche integrazione con l’allevamento (bovini, bufali) e la coltivazione di mais e fagioli. Questo non solo aumenta la produzione e la redditività, ma riduce la dipendenza da input sintetici e la pressione dei parassiti. Il mais resiste bene agli eventi climatici estremi ed è vendibile sul mercato interno; i fagioli, oltre a generare reddito, migliorano la salute del suolo. “Resilienza significa diversificare la produzione il più possibile,” ha spiegato un partecipante. “Se il riso biologico fallisce o rende poco negli anni cattivi, mais e bestiame possono prosperare, permettendomi di affrontare le incertezze con un reddito e un approvvigionamento alimentare stabili.”
La diversificazione è una strategia promossa in Thailandia da decenni, e gli agricoltori la conoscono bene. È cruciale distinguere i benefici a breve termine (risposta immediata alle sfide) da quelli a lungo termine (riduzione della dipendenza da una singola coltura, miglioramento della salute dell’ecosistema agricolo).
3. Resilienza è Intraprendenza (Resourcefulness) per Affrontare il Cambiamento
Qui la definizione si fa interessante. Gli agricoltori hanno associato la resilienza all’intraprendenza, alla “capacità di trovare ed eseguire alternative potenziali per far fronte al cambiamento senza danneggiare l’azienda”. Hanno sottolineato, però, che questa capacità non dipende solo dai loro sforzi, ma necessita di supporto esterno: advocacy, sussidi, input da parte di organizzazioni. “L’intraprendenza è resilienza. È uno strumento autentico per aiutare gli agricoltori biologici ad adeguare le loro pratiche e stabilire metodi innovativi di risoluzione dei problemi,” mi è stato detto.
Un esempio lampante è stata la conversione dall’agricoltura convenzionale a quella biologica. Una decisione che ha richiesto grande intraprendenza per superare i costi iniziali elevati. La collaborazione con cooperative locali per l’acquisto collettivo di input biologici, i programmi di formazione e il sostegno finanziario da parte di ONG sono stati fondamentali. “Quando ho iniziato con questo riso biologico, non sapevo da dove cominciare. Ma quegli ufficiali delle ONG sono venuti e ci hanno guidato. Ci hanno insegnato il controllo naturale dei parassiti… quella conoscenza è ciò che mantiene viva e forte la nostra azienda,” ha raccontato un agricoltore. E un altro ha aggiunto: “E non dimentichiamo i prestiti. Non saremmo stati in grado di permetterci il passaggio al biologico senza i prestiti a basso interesse della cooperativa governativa.”
4. Resilienza è Avere Risorse Finanziarie Adeguate per Affrontare il Cambiamento
Infine, ma non meno importante, la resilienza è stata definita come “avere sufficienti risorse finanziarie per far fronte a varie avversità come rischi climatici, shock sanitari, parassiti e inflazione”. Stabilità finanziaria e resilienza sono strettamente interconnesse. Risparmi adeguati forniscono la base per strategie flessibili e piani creativi. Gli agricoltori finanziariamente stabili possono permettersi investimenti in tecnologie (trattori, droni), prodotti per il controllo biologico e formazione. “Gli agricoltori biologici cercano sempre il benessere, e la stabilità finanziaria è imperativa,” ha affermato un intervistato. “È inutile discutere i benefici dell’agricoltura biologica senza menzionare la sostenibilità economica… In breve, un’agricoltura biologica resiliente del riso richiede resilienza finanziaria.”
La stabilità finanziaria influenza anche la capacità di trasformazione. Agricoltori benestanti possono investire in agroforestazione o nel ripristino di zone umide, pratiche magari non immediatamente redditizie ma benefiche per l’ambiente e capaci di aprire nuove opportunità, come l’ecoturismo. Questo non solo eleva il loro status socio-economico, ma rafforza l’identità locale e le reti sociali, vitali per costruire resilienza.
Cosa ci Portiamo a Casa?
Questo studio ha cercato di fare luce su come la resilienza viene vissuta e interpretata da chi sta in prima linea. Le quattro definizioni emerse – adattamento, diversificazione, intraprendenza e risorse finanziarie – non sono solo parole, ma strategie concrete. Sottolineano l’importanza di ottimizzare le risorse interne (come le capacità intellettuali) e il supporto esterno (stabilità finanziaria, sussidi) per navigare le sfide dei sistemi agroecologici.
È emerso anche un divario tra le definizioni degli agricoltori e quelle accademiche. Ad esempio, gli agricoltori tendono a vedere l’adattamento come un’azione singola, trascurando le interconnessioni tra processi sociali, economici ed ecologici. Tuttavia, molti componenti fondamentali della resilienza, come la biodiversità e la disponibilità di risorse, erano implicitamente presenti nel loro pensiero.
Per colmare questo divario, è cruciale che gli operatori sul campo, come i funzionari di divulgazione agricola, ricevano una formazione specifica sulle teorie della resilienza e su come comunicarle efficacemente. Bisogna partire dalle conoscenze esistenti degli agricoltori – come la diversificazione delle colture che già praticano – per introdurre concetti più avanzati, come i benefici dell’agroforestazione. E i metodi di formazione? Basta lezioni frontali! Servono esperienze pratiche, aziende dimostrative, scuole sul campo dove imparare facendo.
Certo, questo studio ha i suoi limiti, basandosi principalmente sulle percezioni degli agricoltori. Ma offre spunti preziosi. La prossima sfida sarà integrare queste prospettive “dal basso” con i quadri teorici, per sviluppare una definizione di resilienza che sia davvero utile a tutti, accademici e agricoltori, per costruire un futuro agricolo più sostenibile e, appunto, resiliente.
Fonte: Springer