Farmaci in Uganda: Tra sprechi e carenze, ecco perché la redistribuzione non funziona (e come rimediare)
Avete presente quella sensazione frustrante quando sentite parlare di farmaci che scadono e vengono buttati in un posto, mentre a pochi chilometri di distanza c’è gente che ne avrebbe un disperato bisogno? Ecco, questo è un problema serio, specialmente in contesti con risorse limitate. Per fortuna, esiste una soluzione logica: la redistribuzione dei farmaci. In pratica, si tratta di spostare le medicine in eccesso da una struttura sanitaria che ne ha troppe (magari perché vicine alla scadenza o ricevute per errore) a un’altra che invece ne è sprovvista. Sembra semplice, no?
In Uganda, il Ministero della Salute ha capito l’importanza di questa strategia e già nel 2012 ha lanciato delle linee guida nazionali, poi aggiornate nel 2018, proprio per gestire al meglio questo processo e ridurre gli sprechi. L’obiettivo è nobile: evitare che farmaci essenziali, a volte costosissimi (pensate che nel 2016 sono andati sprecati farmaci per un valore di 550.000 dollari!), finiscano nella spazzatura, con tanto di rischi ambientali legati allo smaltimento.
La dura realtà dei numeri
Ma tra il dire e il fare, come si suol dire, c’è di mezzo il mare. Nonostante le buone intenzioni e le linee guida ufficiali, l’implementazione efficace della redistribuzione in Uganda sembra essere ancora un miraggio. Ce lo conferma una ricerca recente condotta nell’Uganda occidentale, precisamente nei distretti di Hoima e Kabarole. Siamo andati a vedere cosa succede davvero sul campo, intervistando 105 operatori sanitari in 69 strutture sanitarie primarie (centri sanitari di livello II, III e IV).
I risultati, purtroppo, non sono incoraggianti. Solo il 29,5% delle strutture sanitarie visitate rispetta effettivamente le linee guida sulla redistribuzione. Avete capito bene: meno di un terzo! Questo significa che nella stragrande maggioranza dei casi, le regole pensate per ottimizzare le scorte e salvare farmaci preziosi semplicemente non vengono seguite. Un dato che fa eco a studi precedenti, come quello condotto nell’Uganda orientale, che riportava una non conformità addirittura nel 67% delle strutture.

Perché così poca aderenza? I fattori chiave
Ma perché questa difficoltà nell’applicare una strategia apparentemente così logica e vantaggiosa? Lo studio ha cercato di scavare a fondo, identificando i fattori che sembrano fare la differenza tra chi rispetta le linee guida e chi no. E qui emergono alcuni punti cruciali:
- Livello della struttura sanitaria: I centri sanitari di livello IV (HC IV), che sono più grandi e strutturati, mostrano una conformità significativamente maggiore (62,5%) rispetto ai centri di livello II (HC II). Addirittura, un HC IV ha 19 volte più probabilità di essere conforme rispetto a un HC II. Questo suggerisce che risorse, personale qualificato e sistemi organizzativi più robusti giocano un ruolo fondamentale.
- Consapevolezza delle linee guida: Sembra banale, ma sapere che esistono delle regole è il primo passo per seguirle. Le strutture dove gli operatori erano a conoscenza delle linee guida avevano 5 volte più probabilità di essere conformi.
- Conoscenza del processo: Non basta sapere che le linee guida esistono, bisogna anche capire come funziona la redistribuzione: quali sono i passaggi da seguire, chi fa cosa, quali documenti usare. Le strutture dove gli operatori dimostravano una buona conoscenza pratica del processo erano quasi 4 volte più propense a rispettare le regole.
- Disponibilità delle linee guida aggiornate: Questo è un punto dolente. Anche se molti (circa il 63%) sapevano dell’esistenza delle linee guida, solo un quarto degli intervistati ha dichiarato di avere accesso alla versione aggiornata del 2018 presso la propria struttura. Avere il documento giusto a portata di mano triplica la probabilità di conformità.
Ostacoli pratici e burocratici
Oltre a questi fattori legati alla conoscenza e all’organizzazione, gli operatori sanitari hanno segnalato una serie di difficoltà molto concrete che incontrano nella vita di tutti i giorni quando cercano (o dovrebbero cercare) di redistribuire i farmaci:
- Trasporti carenti e costosi: Questo è stato indicato come il problema principale da oltre la metà degli intervistati (51,4%). Spostare fisicamente i farmaci da una struttura all’altra richiede mezzi adeguati e risorse economiche che spesso mancano, sia a livello di singola struttura che di distretto.
- Ritardi nelle autorizzazioni: La burocrazia non aiuta. Ottenere il via libera formale per la redistribuzione può richiedere tempo, vanificando a volte l’urgenza di spostare farmaci prossimi alla scadenza (segnalato dal 9,5%).
- Scorte in eccesso anche nelle strutture riceventi: A volte capita che anche la struttura che dovrebbe ricevere i farmaci ne abbia già in abbondanza, rendendo inutile il trasferimento (segnalato dal 7,6%).

Il nodo cruciale: Informazione e Formazione
Un aspetto che emerge con forza è il gap informativo. È preoccupante che solo un quarto delle strutture abbia accesso alle linee guida aggiornate. Come si può pretendere che le regole vengano seguite se non sono facilmente consultabili nella loro versione più recente? Questo porta a pratiche incoerenti e all’applicazione di procedure potenzialmente superate.
Inoltre, la fonte di informazione più comune per gli operatori sanitari riguardo a queste procedure è risultata essere il passaparola o il consiglio dei colleghi (42,9%). Se da un lato questo dimostra l’importanza delle reti informali tra professionisti, dall’altro aumenta il rischio che circolino informazioni imprecise o non aggiornate. Solo una minoranza (circa il 24%) fa affidamento su comunicazioni ufficiali del Ministero o su formazione specifica ricevuta in struttura.
Cosa fare? Le proposte sul tavolo
Di fronte a questo quadro, cosa si può fare per migliorare la situazione? Lo studio suggerisce alcune piste interessanti:
- Potenziare la diffusione delle linee guida: Il Ministero della Salute dovrebbe intensificare gli sforzi per far conoscere le linee guida e, soprattutto, per renderle facilmente accessibili a tutti gli operatori, assicurandosi che la versione aggiornata sia disponibile ovunque. Questo potrebbe includere l’uso di piattaforme online, ma senza dimenticare chi ha difficoltà di accesso a internet.
- Sfruttare le strutture più grandi come centri di formazione: Visto che gli HC IV dimostrano una maggiore capacità organizzativa e conformità, potrebbero diventare dei veri e propri centri di mentorship per le strutture di livello inferiore (HC II e III). Possono condividere risorse, organizzare training pratici, magari anche usando piattaforme digitali per la formazione continua.
- Utilizzare le reti informali: Invece di combattere il passaparola, perché non sfruttarlo? Il Ministero potrebbe usare queste reti peer-to-peer esistenti per disseminare informazioni corrette e aggiornate, raggiungendo così più facilmente gli operatori sul campo.
- Formazione continua: Non basta leggere le linee guida una volta. È necessario integrare la formazione sulla redistribuzione dei farmaci nei programmi di educazione continua e negli incontri professionali.
- Affrontare il nodo trasporti: Anche se non esplicitamente menzionato come raccomandazione diretta nello studio, è chiaro che senza affrontare il problema logistico e dei costi dei trasporti, ogni sforzo rischia di essere vanificato. Servono fondi dedicati a questa specifica attività.
Insomma, la strada per rendere la redistribuzione dei farmaci una pratica efficace e diffusa in Uganda è ancora lunga, ma aver identificato i fattori critici e gli ostacoli principali è un passo fondamentale. Con interventi mirati sulla formazione, sull’accesso all’informazione e sul supporto logistico, si può davvero fare la differenza, riducendo gli sprechi e garantendo che i farmaci arrivino dove servono di più.
Fonte: Springer
