portrait photography, un ricercatore in un laboratorio di neuroscienze che osserva attentamente i dati cinematici del movimento di un braccio su uno schermo, con grafici e figure umane stilizzate visibili, prime lens 24mm, depth of field, duotone blu e grigio per un'atmosfera scientifica e concentrata.

Ictus e Movimento: Il Cervello Svela i Suoi Segreti con un “Botto”!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta particolarmente a cuore e che, ne sono certo, incuriosirà molti di voi. Avete presente quando un ictus colpisce e lascia il segno, soprattutto sulla capacità di muovere un braccio? È una battaglia quotidiana per tantissime persone, e noi ricercatori siamo costantemente al lavoro per capire meglio cosa succede davvero nel cervello e, soprattutto, come possiamo aiutare nel recupero.

Nel nostro recente studio, ci siamo tuffati nel mondo affascinante del recupero motorio dell’arto superiore dopo un ictus, concentrandoci su un fenomeno chiamato StartReact e su come si collega alla capacità di compiere un gesto apparentemente semplice come “raggiungere” un oggetto. Sembra banale, vero? Ma vi assicuro che dietro c’è un universo di connessioni neurali e meccanismi complessi.

Ma cos’è questo StartReact e perché ci interessa?

Immaginate di dover reagire il più velocemente possibile a un segnale visivo, tipo una luce che si accende. Ora, immaginate che, insieme alla luce, arrivi un suono forte e improvviso, un “botto” per intenderci. Cosa succede? Istintivamente, la vostra reazione motoria sarà più rapida! Questo “sprint” nel tempo di reazione è proprio l’effetto StartReact. Si pensa che questo fenomeno ci dia una misura indiretta di quanto sia “forte” o “attivo” un particolare percorso motorio nel nostro cervello, il tratto reticolospinale (RST).

Questo tratto è una sorta di “autostrada secondaria” che il nostro cervello può utilizzare per inviare comandi ai muscoli, soprattutto quando l’autostrada principale, il tratto corticospinale (CST), è stata danneggiata, come spesso accade dopo un ictus. Capire il ruolo dell’RST nel recupero è fondamentale.

L’esperimento: braccia, cubi e tecnologia all’avanguardia

Abbiamo lavorato con un gruppo di 15 pazienti, tutti uomini, che avevano avuto un ictus da almeno sei mesi e presentavano emiparesi destra (cioè una debolezza nel lato destro del corpo). Il nostro obiettivo era duplice: da un lato, indagare la relazione tra l’attività dell’RST (misurata con lo StartReact) e la capacità di raggiungere oggetti; dall’altro, testare un metodo innovativo e accessibile per analizzare il movimento.

Per la parte “movimento”, abbiamo filmato i pazienti mentre eseguivano un compito specifico dell’Action Research Arm Test (ARAT), un test standardizzato per valutare la funzionalità dell’arto superiore. Il compito era semplice: raggiungere e afferrare un piccolo cubo di legno posto su un tavolo e, se possibile, posizionarlo su una mensola più in alto. Niente di strano, se non fosse che abbiamo analizzato questi video con un software di motion tracking potentissimo e open-source chiamato DeepLabCut. Questa meraviglia tecnologica ci permette di tracciare con precisione i movimenti di specifici punti del corpo (polso, gomito, spalla) senza bisogno di appiccicare scomodi sensori sui pazienti!

Da questa analisi, abbiamo definito un nuovo indice, che abbiamo chiamato Index of Elbow Extension (IoEE). In pratica, è un numerino che ci dice quanto bene un paziente riesce a estendere il gomito durante il movimento di raggiungimento. Un IoEE più alto significa una migliore estensione, un IoEE più basso, beh, il contrario. E per essere sicuri che il nostro IoEE fosse affidabile, lo abbiamo validato confrontandolo con misurazioni 3D super precise fatte su persone sane che imitavano i movimenti dei pazienti.

Cosa abbiamo scoperto? Una correlazione sorprendente!

E qui arriva il bello! Abbiamo trovato una correlazione negativa significativa tra il nostro IoEE e l’effetto StartReact. Cosa significa in parole povere? Che i pazienti con una minore capacità di estendere il gomito (un IoEE più basso, quindi un raggiungimento più compromesso) mostravano un effetto StartReact più marcato. In pratica, chi aveva più difficoltà nel movimento sembrava avere connessioni reticolospinali più “forti” o più attive.

Potrebbe sembrare controintuitivo, no? Uno si aspetterebbe che una maggiore attività dell’RST porti a un miglior recupero. Ma la nostra ipotesi è un po’ diversa. Pensiamo che questa correlazione negativa sia una conseguenza del fatto che, quando il danno al tratto corticospinale (l’autostrada principale) è più severo, il cervello cerca di compensare “potenziando” l’RST, la nostra autostrada secondaria. Quindi, un RST più “rumoroso” (StartReact più forte) potrebbe essere un segno che il sistema sta cercando disperatamente di far fronte a un danno corticale più esteso, il che si riflette in una peggiore performance di raggiungimento.

portrait photography, un terapista della riabilitazione che assiste con delicatezza un paziente anziano durante esercizi di estensione del braccio in una clinica luminosa, prime lens 35mm, depth of field, toni caldi e rassicuranti.

È interessante notare che, in questo specifico gruppo di pazienti, non abbiamo trovato una correlazione tra lo StartReact e il punteggio totale dell’ARAT, un test clinico più generale. Questo potrebbe suggerire che l’ARAT valuta molti aspetti della funzione dell’arto superiore, non solo il raggiungimento, e che il nostro IoEE cattura qualcosa di più specifico legato proprio all’estensione del gomito.

L’RST: un amico o un nemico (a volte)?

C’è un altro aspetto da considerare. L’RST, pur essendo utile per la compensazione, non è “raffinato” come il CST. Studi precedenti, anche su modelli animali, hanno mostrato che un’iperattivazione dell’RST dopo una lesione del CST può portare a un’eccessiva attivazione dei muscoli flessori. Questo potrebbe, di fatto, ostacolare l’estensione del gomito, rendendo il movimento di raggiungimento più difficile. Quindi, quel “segnale forte” dall’RST che abbiamo misurato potrebbe anche riflettere questo “sbilanciamento” verso la flessione, che si traduce in un IoEE più basso.

Immaginate di voler stendere il braccio, ma i muscoli che lo piegano sono super attivi e remano contro: non è l’ideale! E infatti, non abbiamo trovato una correlazione tra il nostro IoEE e la spasticità al polso (misurata con la Scala di Ashworth Modificata), suggerendo che la difficoltà di estensione del gomito e la spasticità al polso potrebbero essere due problemi distinti nel recupero post-ictus.

Tecnologia accessibile per una scienza migliore

Un altro punto che mi entusiasma di questo studio è la dimostrazione che possiamo ottenere dati cinematici preziosi usando strumenti relativamente semplici ed economici. Una webcam e un software open-source come DeepLabCut possono davvero fare la differenza, specialmente in contesti clinici dove magari non ci sono fondi per attrezzature super costose e complesse. Questo apre la porta a studi su scala più ampia e a un monitoraggio più quantitativo e oggettivo dei progressi dei pazienti, magari integrando queste misure con le classiche scale di valutazione clinica.

Certo, il nostro studio ha delle limitazioni: il campione era relativamente piccolo e composto solo da uomini (perché i vestiti delle pazienti donne spesso oscuravano i punti di riferimento per il software, un dettaglio pratico ma importante!). Inoltre, non abbiamo “costretto” i pazienti a stare dritti con la schiena, quindi potevano compensare piegandosi in avanti. Tuttavia, il nostro IoEE misura specificamente l’estensione del gomito, quindi dovrebbe riflettere abbastanza bene questa capacità, indipendentemente da piccole compensazioni del tronco.

Guardando al futuro

Questo lavoro aggiunge un altro tassello al complesso puzzle del recupero motorio post-ictus. Ci dice che il tratto reticolospinale gioca un ruolo cruciale, e che la sua “iperattivazione”, misurabile con lo StartReact, potrebbe essere un’arma a doppio taglio: un tentativo di compensazione che, però, se non ben modulato, potrebbe interferire con movimenti fini come l’estensione del braccio.

La strada è ancora lunga, ma ogni scoperta ci avvicina a comprendere meglio i meccanismi di plasticità cerebrale e, speriamo, a sviluppare strategie riabilitative sempre più mirate ed efficaci. E la possibilità di usare tecnologie accessibili per monitorare questi processi è una spinta in più!

Spero che questo piccolo viaggio nel mondo della neuroscienza e della riabilitazione vi sia piaciuto. Continuate a seguirci, perché la ricerca non si ferma mai!

Fonte: Springer

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