Stress da Lavoro in Cattedra? La Terapia Razionale Emotiva Comportamentale Salva i Prof Universitari (e la Loro Etica)!
Ammettiamolo, chi di noi non si è mai sentito schiacciato dallo stress lavorativo? È una bestia nera che può compromettere non solo la nostra salute, ma anche la qualità del nostro lavoro. Pensate ora ai docenti universitari, figure che immaginiamo immerse tra libri e ricerche, ma che in realtà, specialmente in contesti come quello nigeriano, si trovano ad affrontare un vero e proprio campo minato di fattori stressanti. E se vi dicessi che una particolare forma di terapia, la Terapia Razionale Emotiva Comportamentale (REBT), potrebbe essere la chiave per gestire questo stress e, di conseguenza, migliorare l’etica del lavoro? Sembra quasi troppo bello per essere vero, ma uno studio recente ci ha aperto gli occhi su questa affascinante possibilità.
Ma cos’è questa REBT di cui parliamo?
Prima di tuffarci nei risultati dello studio, facciamo un piccolo passo indietro. La REBT non è una formula magica, ma un approccio psicoterapeutico molto concreto. Fa parte della grande famiglia delle Terapie Cognitivo Comportamentali (CBT) e si basa su un’idea tanto semplice quanto potente: non sono gli eventi in sé a causarci stress o malessere, ma il modo in cui interpretiamo e pensiamo a quegli eventi. In pratica, la REBT ci insegna a identificare i nostri pensieri “irrazionali” o “disfunzionali” – quelle vocine interiori che ci dicono “non ce la farò mai”, “è tutto un disastro”, “devo essere perfetto” – e a sostituirli con convinzioni più realistiche e costruttive.
C’è un modello, chiamato ABC (o talvolta ABCDE), che lo spiega benissimo:
- A (Adversity/Activating event): L’evento attivante, la situazione che ci mette alla prova (es. una scadenza stretta, una lezione difficile da preparare).
- B (Beliefs): Le nostre convinzioni, i pensieri che facciamo su quell’evento (es. “Se non finisco in tempo, sarò un fallimento”).
- C (Consequences): Le conseguenze emotive e comportamentali di quelle convinzioni (es. ansia, procrastinazione, irritabilità).
La REBT interviene principalmente sulla “B”, aiutandoci a “disputare” (D) le convinzioni irrazionali per sviluppare una nuova filosofia più efficace (E).
L’esperimento Nigeriano: Scienza e Agricoltura sotto la lente
Torniamo ora al nostro studio, focalizzato sui docenti di Scienze e Scienze Agrarie nelle università federali del sud-est della Nigeria. Un ambiente, come detto, particolarmente stressante. I ricercatori si sono chiesti: “Come se la cavano questi professori con lo stress lavorativo? E la REBT potrebbe aiutarli?”
Per rispondere, hanno messo in piedi un esperimento con tutti i crismi: un randomised controlled trial. Hanno coinvolto 186 docenti, dividendoli casualmente in due gruppi:
- Un gruppo ha partecipato a un intervento di REBT online della durata di 12 settimane.
- L’altro gruppo, quello di controllo, è stato messo in “lista d’attesa”, senza ricevere alcun intervento specifico durante quel periodo.
Per misurare lo stress, hanno utilizzato una scala validata, la Perceived Stress Scale (PSS). Hanno raccolto dati prima dell’intervento, subito dopo e, cosa importantissima, anche a distanza di tre mesi per vedere se gli effetti fossero duraturi.

Devo dire che la scelta di includere i docenti di Scienze Agrarie è stata particolarmente azzeccata. Oltre ai normali carichi di insegnamento e ricerca, questi professionisti spesso lottano per ottenere risorse, finanziamenti, tecnologie e attrezzature, il che aggiunge un ulteriore livello di pressione.
I Risultati? Sorprendenti (ma non troppo!)
Ebbene sì, i docenti che hanno partecipato al programma REBT per 12 settimane hanno mostrato un livello di stress significativamente più basso rispetto ai loro colleghi del gruppo di controllo. Parliamo di una riduzione notevole, con un “effect size” (che misura l’entità dell’effetto) molto alto, pari a circa il 76%! Questo significa che gran parte della riduzione dello stress era attribuibile proprio all’intervento REBT.
Ma la vera ciliegina sulla torta è che questi benefici si sono mantenuti anche dopo tre mesi dalla fine dell’intervento! Questo è fondamentale, perché dimostra che la REBT non è un semplice cerotto temporaneo, ma può innescare cambiamenti duraturi nel modo di affrontare le difficoltà lavorative.
Interessante notare che, prima dell’intervento, i livelli di stress medi nei due gruppi erano praticamente identici. Dopo, invece, il divario era enorme. Mentre il gruppo REBT vedeva crollare i punteggi di stress, il gruppo di controllo rimaneva sostanzialmente stabile, con livelli di stress elevati.
Cosa c’entra tutto questo con l’etica del lavoro?
Qui la faccenda si fa ancora più intrigante. L’etica del lavoro comprende principi come l’onestà, l’integrità, la responsabilità, l’empatia, il rispetto, la giustizia e l’equità. Come può la REBT influenzare questi aspetti? Lo studio suggerisce diverse implicazioni:
- Maggiore produttività: Meno stress = più produttività. Logico, no? Se un docente è meno ansioso e oberato, può dedicare energie mentali più fresche e focalizzate al suo lavoro, che sia la didattica, la ricerca o le attività amministrative. E una maggiore produttività, svolta con diligenza, è un pilastro dell’etica professionale.
- Aumento della soddisfazione lavorativa: Un docente meno stressato è un docente più felice e soddisfatto del proprio lavoro. Questo può tradursi in un minor tasso di turnover e in un ambiente accademico più positivo. La soddisfazione è legata a un impegno più sentito verso i propri doveri.
- Miglior equilibrio vita-lavoro: La REBT aiuta a gestire meglio lo stress e l’ansia, permettendo di trovare un equilibrio più sano tra vita privata e professionale. Questo è cruciale per il benessere generale e per mantenere alta la motivazione nel tempo, evitando il burnout, che può erodere l’impegno etico.
- Maggiore coinvolgimento dei dipendenti: Lavoratori meno stressati e più soddisfatti sono generalmente più coinvolti e motivati. Questo porta a un miglioramento delle performance individuali e dell’istituzione nel suo complesso. Un forte coinvolgimento è spesso sinonimo di un forte senso di responsabilità.
- Rispetto per l’autonomia e la privacy: Lo studio sottolinea anche l’importanza che le istituzioni rispettino l’autonomia dei docenti nell’accedere a questi supporti e garantiscano la privacy e la confidenzialità dei programmi. Questo è un aspetto etico fondamentale da parte del datore di lavoro.
In sostanza, la capacità della REBT di ridurre lo stress può innescare un circolo virtuoso che porta a un miglioramento generale dell’etica del lavoro, con docenti più presenti, responsabili e dediti al loro importante ruolo formativo e scientifico.

Ovviamente, non è tutto oro quello che luccica (o quasi)
Come ogni studio che si rispetti, anche questo ha i suoi “ma”. I ricercatori stessi evidenziano alcune limitazioni:
- Generalizzabilità limitata: I risultati potrebbero non essere direttamente applicabili ad altri contesti educativi o a personale non accademico.
- Misure soggettive: L’uso di questionari auto-riferiti può essere soggetto a bias.
- Misure di outcome limitate: Lo studio si è concentrato sui livelli di stress, senza magari approfondire altri aspetti come la performance lavorativa diretta o la soddisfazione in modo dettagliato.
- Cultura universitaria specifica: Il contesto culturale dell’università nigeriana potrebbe aver influenzato i risultati.
- Caratteristiche dei docenti: Fattori come età, anni di esperienza, genere non sono stati analizzati in profondità come possibili variabili moderatrici.
Queste limitazioni non sminuiscono l’importanza dei risultati, ma suggeriscono la necessità di ulteriori ricerche per confermare ed espandere queste scoperte.
Quindi, che si fa? Azione!
La conclusione è piuttosto chiara: la REBT funziona! È uno strumento potente che può davvero fare la differenza nella vita dei docenti universitari, aiutandoli a gestire lo stress e, di conseguenza, a lavorare meglio e con maggiore serenità. Le implicazioni per l’etica del lavoro sono significative: un docente che sta bene è un docente che può adempiere al meglio ai suoi compiti, con integrità e passione.
Le raccomandazioni che emergono sono quindi di buon senso:
- Le università dovrebbero considerare l’introduzione di programmi basati sulla REBT come parte delle loro iniziative per il benessere dei dipendenti.
- Formare manager, supervisori e lo stesso staff sui principi della REBT potrebbe contribuire a creare un ambiente di lavoro più positivo e supportivo.
- Incoraggiare l’accesso a servizi di counseling esterni o a programmi di assistenza ai dipendenti (EAP) che offrano supporto basato sulla REBT.
- I responsabili politici dovrebbero sviluppare politiche che promuovano il benessere dei dipendenti, includendo l’accesso a programmi di gestione dello stress come quelli basati sulla REBT.
Insomma, investire sulla salute mentale dei propri docenti non è solo una questione di “bontà”, ma una strategia intelligente per migliorare la qualità dell’istruzione, della ricerca e, non da ultimo, per coltivare un’etica del lavoro solida e duratura. E io, da semplice osservatore affascinato da queste dinamiche, non posso che sperare che queste pratiche si diffondano sempre di più!
Fonte: Springer
