Immagine fotorealistica di una persona che indossa un visore VR (Head-Mounted Display), con un'espressione di stupore mentre osserva un ambiente virtuale che rappresenta vividamente l'inquinamento da particolato in una città. Le particelle di smog sono visualizzate come punti luminosi sospesi nell'aria. Obiettivo da ritratto 35mm, profondità di campo ridotta, illuminazione suggestiva con riflessi sulle lenti del visore.

Realtà Virtuale e Smog: Il Visore Fa Davvero la Differenza per Spingerci ad Agire?

Amici, parliamoci chiaro: l’inquinamento da particolato (PM) è una brutta bestia. Lo sappiamo tutti che fa male, che è cancerogeno (parola dell’OMS, mica mia!), e che le nostre città ne sono spesso soffocate a causa del traffico, delle industrie e di altre attività umane. Il punto è: sapere che un problema esiste è un conto, fare qualcosa di concreto per risolverlo è tutto un altro paio di maniche. E qui, vi confesso, entra in gioco qualcosa che mi affascina da sempre: la realtà virtuale (VR).

Mi sono imbattuto in uno studio recente che ha provato a capire se la VR possa darci quella “spintarella” in più per passare dalla semplice consapevolezza all’azione contro il particolato. E la domanda che si sono posti i ricercatori è intrigante: conta di più il tipo di video VR che guardiamo, o il fatto di indossare o meno un visore (quegli affari che ci mettiamo sugli occhi, gli Head-Mounted Display o HMD)? E come entrano in gioco la nostra personale tendenza a “immergerci” nelle esperienze e la sensazione di essere “realmente lì” (la cosiddetta presenza spaziale)?

Il Nocciolo della Questione: Consapevolezza vs. Azione

In posti come la Corea del Sud, da cui prende spunto parte della ricerca, la gente è super consapevole dei rischi del PM, ma poi, all’atto pratico, le misure preventive scarseggiano. È un po’ come sapere che fumare fa male ma continuare ad accendersi una sigaretta dopo l’altra. La VR, con la sua capacità di renderci visibile l’invisibile e di farci vivere esperienze immersive quasi reali, potrebbe essere la chiave per colmare questo divario. Immaginate di “vedere” le particelle di smog che fluttuano intorno a voi, di “sentire” l’aria pesante. Non sarebbe più impattante di leggere un semplice articolo?

Studi precedenti hanno già suggerito che le esperienze in VR aumentano la nostra percezione del rischio ambientale e possono portare a cambiamenti comportamentali. Chi vive un’esperienza in VR riporta una maggiore presenza spaziale, risposte emotive più forti e una maggiore intenzione di agire rispetto a chi fruisce di media tradizionali. Ma la VR non è tutta uguale. Possiamo guardare video VR su un normale schermo desktop, oppure indossare un HMD per un’immersione totale. E qui le cose si fanno interessanti.

Lo Studio: Due Esperimenti per Capirci Qualcosa di Più

I ricercatori hanno messo in piedi due esperimenti. L’obiettivo? Capire come diversi tipi di video VR (video live-action a 360 gradi e video con grafica 3D) influenzino la nostra intenzione di adottare comportamenti per mitigare il PM, sia usando un semplice desktop sia indossando un HMD. Hanno anche misurato la presenza spaziale (quanto ci sentivamo “dentro” il video) e la nostra tendenza immersiva (quanto siamo portati naturalmente a farci coinvolgere da film, giochi, ecc.).

Si sono concentrati su due tipi di comportamenti:

  • Comportamenti di mitigazione: azioni per ridurre le cause del PM (es. usare meno l’auto).
  • Comportamenti di prevenzione: azioni per minimizzare gli effetti del PM già esistente (es. indossare una mascherina).

Primo Round: La VR su Desktop (Senza Visore)

Nel primo studio, a 226 partecipanti è stato mostrato uno di tre video su un computer desktop: un video 2D tradizionale, un video VR live-action a 360 gradi (quelli in cui puoi guardarti intorno muovendo il mouse) o un video VR con grafica 3D (creato al computer, tipo videogioco). Tutti i video duravano 30 secondi e mostravano lo stesso scenario urbano inquinato.

I risultati? Un po’ una doccia fredda, devo dire. Contrariamente alle aspettative, non ci sono state differenze significative nelle intenzioni di agire (sia mitigazione che prevenzione) tra chi ha visto i video VR e chi ha visto il video 2D. Nemmeno la presenza spaziale sembrava fare da mediatore in questo contesto, né la tendenza immersiva individuale ha cambiato le carte in tavola. Insomma, guardare un video VR su desktop, senza visore, sembra non essere abbastanza potente da smuovere le coscienze più di un video normale quando si parla di particolato. Forse, senza l’immersione totale data da un HMD, l’impatto emotivo e cognitivo non è sufficiente a far scattare la molla.

Immagine macro fotorealistica di particelle di PM2.5 sospese nell'aria di una città, visibili come pulviscolo illuminato da un raggio di sole obliquo. Obiettivo macro 90mm, alta definizione, illuminazione laterale controllata per enfatizzare la texture delle particelle e lo sfondo urbano leggermente sfocato.

Questo risultato mi ha fatto riflettere. Forse diamo per scontato che la “magia” della VR funzioni sempre e comunque, ma l’hardware e il modo in cui la viviamo contano eccome. È come guardare un film d’azione spettacolare sullo schermino del cellulare invece che al cinema IMAX: l’esperienza è decisamente diversa.

Secondo Round: Entra in Scena il Visore HMD!

E qui le cose cambiano, e parecchio! Nel secondo studio, 88 studentesse universitarie hanno partecipato a un esperimento simile, ma questa volta chi guardava i video VR (sempre live-action a 360 gradi o grafica 3D) indossava un visore HMD (un Meta Quest 2, per la cronaca). I video erano simili a quelli del primo studio, ma con l’aggiunta di una narrazione per renderli più coinvolgenti (un feedback emerso dal primo esperimento).

Cosa è successo? Anche qui, direttamente, il tipo di video non ha influenzato in modo significativo le intenzioni di agire. MA – e questo è un “ma” grosso come una casa – la presenza spaziale ha giocato un ruolo cruciale, ma solo per le intenzioni di mitigazione. In pratica: chi ha guardato i video VR (sia 360° che 3D) con un HMD ha sperimentato una maggiore presenza spaziale, e questa sensazione di “esserci dentro” li ha spinti ad avere maggiori intenzioni di adottare comportamenti di mitigazione del PM (come usare mezzi pubblici o partecipare a politiche anti-smog).

Pensateci: i comportamenti di mitigazione sono quelli che portano benefici più alla società che al singolo individuo nell’immediato. Richiedono una motivazione più forte, un senso di responsabilità collettiva. E sembra che l’esperienza immersiva data dall’HMD, facendoci “vivere” il problema più da vicino, riesca a toccare queste corde più profonde.

Un altro risultato super interessante riguarda la tendenza immersiva individuale. Questa ha moderato l’effetto, ma solo per chi ha visto il video VR con grafica 3D indossando un HMD. Le persone con una naturale alta tendenza a immergersi, se esposte a un video in grafica 3D tramite visore, hanno sperimentato una presenza spaziale ancora più forte e, di conseguenza, una maggiore intenzione di agire per mitigare il PM. La grafica 3D, forse perché permette di creare scenari anche surreali o di enfatizzare certi aspetti in modo più vivido rispetto a un video live-action, sembra fare particolarmente breccia in chi è già predisposto a “entrare” in mondi virtuali.

Cosa Ci Portiamo a Casa da Tutto Questo?

Beh, per me la lezione è chiara: se vogliamo usare la VR per sensibilizzare le persone su temi ambientali come il particolato e spingerle all’azione, il visore HMD fa una differenza enorme. Non basta dire “è VR”, bisogna garantire un’esperienza che sia davvero immersiva.

L’HMD, isolandoci dal mondo reale e catapultandoci nell’ambiente virtuale, amplifica la sensazione di presenza spaziale. E questa sensazione, a sua volta, sembra essere la chiave per motivare comportamenti di mitigazione, quelli più “sociali” e forse più difficili da stimolare.

Ritratto di una persona, vista di profilo, che indossa un visore VR di ultima generazione. Sullo sfondo, sfocato ma riconoscibile, un ambiente urbano inquinato da smog. L'espressione della persona è di concentrazione e coinvolgimento. Obiettivo da ritratto 50mm, profondità di campo, duotone seppia e ciano per un effetto drammatico.

Inoltre, non siamo tutti uguali. La nostra personale tendenza a immergerci conta, specialmente quando si usano video VR in grafica 3D con un HMD. Questo suggerisce che, per massimizzare l’efficacia, bisognerebbe forse personalizzare le esperienze VR o, quantomeno, essere consapevoli che non tutti reagiranno allo stesso modo.

Certo, lo studio ha i suoi limiti, come il campione del secondo esperimento composto solo da studentesse o la breve durata dei video. Però, apre scenari davvero stimolanti. Pensate alle applicazioni nell’educazione ambientale, nelle campagne di sensibilizzazione. Potremmo far “vivere” alle persone le conseguenze dell’inquinamento in modi prima impensabili, non solo per informare ma per toccare le emozioni e spingere a un cambiamento reale.

Quindi, la prossima volta che sentirete parlare di VR per buone cause, chiedetevi: sarà un’esperienza da desktop o con un bel visore immersivo? Perché, a quanto pare, la differenza non è da poco, soprattutto se l’obiettivo è salvare i nostri polmoni e il nostro pianeta.

Fonte: Springer

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