Immagine concettuale e fotorealistica: una persona vista di profilo indossa un visore VR, e dal visore si irradia una luce soffusa che proietta simboli stilizzati dell'occhio e del cuore intrecciati. Sfondo neutro e pulito. Obiettivo prime 35mm, duotone blu e grigio, profondità di campo.

Indossa la Realtà Virtuale, Vedi con Empatia: Come la VR Aumenta la Comprensione delle Disabilità Visive

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi affascina da matti: come la tecnologia, in particolare la realtà virtuale (VR), possa letteralmente farci “mettere nei panni” degli altri, amplificando una qualità umana fondamentale: l’empatia.

Pensateci un attimo: l’empatia è quella capacità incredibile di capire e condividere le emozioni e le esperienze altrui. È un po’ come avere un superpotere sociale. Ma come si fa a capire davvero cosa prova una persona che vive una realtà molto diversa dalla nostra, ad esempio a causa di una disabilità visiva? Spesso ci fermiamo alla simpatia, al “mi dispiace per te”, ma l’empatia vera, quella che ti fa sentire un briciolo di quell’esperienza sulla tua pelle, è un’altra storia.

Ed è qui che entra in gioco la VR. Immaginate di indossare un visore e, improvvisamente, il mondo intorno a voi cambia. Non siete più nel vostro salotto, ma state sperimentando come vede una persona con cataratta, glaucoma o daltonismo. Forte, no?

La Scienza Dietro l’Esperienza: Uno Studio Illuminante

Recentemente mi sono imbattuto in una ricerca super interessante (trovate il link alla fine!) che ha esplorato proprio questo: usare la VR per simulare diverse disabilità visive e vedere se questo “boostasse” l’empatia dei partecipanti. L’idea di base era semplice ma potente: far provare direttamente le sfide quotidiane affrontate da chi ha problemi di vista.

I ricercatori hanno creato un ambiente virtuale dove i partecipanti dovevano svolgere compiti apparentemente semplici, come riconoscere e selezionare oggetti comuni (tipo prodotti del supermercato). La “magia” stava nel fatto che, round dopo round, veniva applicato un filtro diverso che simulava ben 18 condizioni visive differenti! Parliamo di cataratta, glaucoma, degenerazione maculare, miopia, ipermetropia, daltonismo in varie forme, visione a tunnel… insomma, un bel ventaglio di sfide percettive.

Hanno coinvolto 60 persone, per lo più studenti e futuri designer (gente che, potenzialmente, progetterà il mondo di domani!), e hanno misurato un sacco di cose:

  • Metriche oggettive: Tempo di reazione per trovare gli oggetti, precisione nel selezionarli. Questo serviva a capire *quanto* effettivamente queste condizioni impattassero sulla performance.
  • Metriche soggettive: Questionari pre e post esperienza per misurare il livello di empatia percepita dai partecipanti riguardo le disabilità visive.

L’obiettivo non era solo “far vedere” come si vede male, ma far *sentire* la frustrazione, la difficoltà, lo sforzo necessario per compiere azioni che per molti di noi sono automatiche.

Vista soggettiva attraverso un visore VR che mostra una scena di una radura in una foresta, ma con un filtro grafico applicato che simula la visione a tunnel, dove solo il centro è chiaro e la periferia è oscurata. Obiettivo grandangolare 15mm per catturare l'ampiezza della scena virtuale, ma enfatizzando la restrizione del campo visivo.

I Risultati: Un Salto Quantico nell’Empatia?

E la risposta è… sì! I risultati sono stati davvero incoraggianti. Analizzando i questionari, è emerso un aumento significativo dell’empatia nei partecipanti dopo l’esperienza in VR.

Prima dell’esperimento, molti magari erano consapevoli delle difficoltà (il 73% sapeva che ci sono limitazioni), ma una buona fetta (il 47%) ammetteva di non riuscire a “mettersi nei panni” di una persona con deficit visivo, e il 42% non sapeva prevedere quali potessero essere le difficoltà specifiche. Dopo aver “indossato” virtualmente quelle difficoltà, le cose sono cambiate:

  • Il 72% sentiva di poter prevedere meglio le difficoltà (+30% rispetto a prima!).
  • Solo il 20% sentiva ancora di non potersi immedesimare (-27%!).
  • Quasi tutti (il 98%, +24%) hanno affermato che alcuni disturbi visivi possono rendere difficili le attività quotidiane (sembra ovvio, ma viverlo, anche se simulato, lo rende più reale).
  • Ciliegina sulla torta: il 69% degli studenti ha dichiarato che l’esperimento ha cambiato la loro percezione delle persone con disabilità visive.

Anche i dati oggettivi hanno confermato le difficoltà: i tempi per trovare gli oggetti aumentavano notevolmente con certi filtri. Ad esempio, condizioni come l’ipermetropia grave, la visione a tunnel, la degenerazione maculare e la cataratta, specialmente combinate con oggetti piccoli o con colori poco contrastanti, si sono rivelate particolarmente “toste”. A volte ci voleva il triplo del tempo per trovare un oggetto rispetto alla visione normale! Questo fa capire quanto un design poco attento (pensate a etichette, segnaletica, interfacce digitali) possa diventare una barriera insormontabile.

Perché è Importante? Oltre la Simulazione

Ok, figo, la VR aumenta l’empatia. Ma a che serve? Beh, serve tantissimo!

Primo, ci spinge oltre la semplice simpatia. Vivere, anche se per poco e in modo simulato, una frazione delle difficoltà altrui crea una connessione emotiva più profonda. È il famoso “camminare un miglio nelle scarpe di un altro”, ma in versione digitale.

Secondo, è uno strumento potentissimo per il Design Universale (UD). L’UD è quella filosofia che punta a progettare prodotti, ambienti e servizi utilizzabili da tutti, indipendentemente dalle loro abilità. Per farlo bene, l’empatia è fondamentale. Se i designer (ma anche architetti, sviluppatori, urbanisti…) possono sperimentare direttamente le barriere che un design non inclusivo crea, saranno molto più motivati a trovare soluzioni accessibili fin dall’inizio. Questa ricerca ha mostrato come certi colori o forme fossero più difficili da distinguere con specifici filtri: informazioni preziose per chi progetta!

Terzo, ha un potenziale educativo enorme: per studenti di medicina, per formare personale di assistenza, ma anche per sensibilizzare il pubblico generale.

Un gruppo diversificato di studenti e designer interagisce in un workshop, alcuni indossano visori VR, altri discutono attorno a un tavolo con prototipi e schizzi focalizzati sull'accessibilità. Illuminazione da studio controllata, obiettivo zoom 24-70mm per catturare sia i dettagli che l'interazione di gruppo.

Un Attimo di Cautela: La Simulazione Non è la Realtà

È giusto però fare un piccolo “disclaimer”. Queste simulazioni sono strumenti potenti, ma non replicano al 100% l’esperienza vissuta da una persona con disabilità visiva. Manca la dimensione temporale (chi vive quella condizione sviluppa strategie di adattamento nel tempo), manca l’impatto psicologico a lungo termine, manca l’interazione con un ambiente non sempre “amico”.

Alcuni studi mettono in guardia sul rischio che queste simulazioni possano portare a focalizzarsi solo sulle difficoltà iniziali, sottostimando la capacità di adattamento delle persone e, paradossalmente, portando a una forma di “stigmatizzazione benevola” (ti compatisco di più, ma ti giudico meno capace).

Quindi? Quindi la VR va usata con intelligenza: non come sostituto del dialogo e dell’ascolto delle persone con disabilità, ma come un complemento potente, un catalizzatore di consapevolezza. Magari abbinandola a contenuti educativi che mostrino anche le strategie di adattamento e le conquiste, non solo le sfide. L’ideale è usarla per farci riflettere sulle barriere *ambientali* e su come possiamo eliminarle attraverso un design più inclusivo.

Verso un Futuro più Empatico?

Nonostante le cautele, trovo che questa strada sia incredibilmente promettente. La VR ha il potenziale per essere davvero una “macchina genera-empatia”, come l’hanno definita alcuni ricercatori. Ci permette di fare un piccolo passo verso la comprensione di realtà diverse dalla nostra.

Questo studio specifico sulle disabilità visive è solo un esempio. Pensate alle possibilità: simulare difficoltà motorie, uditive, cognitive… Certo, la tecnologia da sola non basta, ma può essere un acceleratore formidabile per costruire ponti di comprensione e, speriamo, società più inclusive e attente ai bisogni di tutti.

E voi, cosa ne pensate? Avete mai provato esperienze simili in VR? Credete nel potenziale empatico di questa tecnologia? Fatemelo sapere!

Fonte: Springer

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