Realtà Virtuale: La Svolta Inattesa per Chi Soffre di Più di Dolore Cronico?
Parliamoci chiaro, il dolore cronico è una brutta bestia. Non parlo del mal di testa passeggero o del dolore dopo una caduta, ma di quel dolore persistente, che dura mesi, a volte anni, e che ti cambia la vita. E sapete? Non tutti i dolori cronici sono uguali. C’è una categoria, chiamata dolore cronico ad alto impatto (HICP), che è particolarmente tosta.
Cos’è questo HICP e perché dovrebbe interessarmi?
Immaginate di avere un dolore, magari alla schiena, così forte e costante da impedirvi di fare cose normali: lavorare, andare a scuola, persino occuparvi della casa. Ecco, questo è l’HICP. Secondo i dati, colpisce circa l’8.5% della popolazione. Non è poco! Queste persone non solo soffrono di più, ma finiscono per usare molto di più il sistema sanitario, prendono più farmaci (spesso oppioidi, con tutti i rischi del caso), fanno più visite al pronto soccorso e interventi chirurgici. Insomma, un circolo vizioso di sofferenza e costi elevati, sia per loro che per la società.
Il problema è che, nonostante si sappia quanto sia pesante l’HICP, fino ad oggi c’erano pochissimi studi che ci dicessero se le terapie comportamentali per il dolore (quelle che non usano farmaci o bisturi, per intenderci) funzionassero specificamente per queste persone. E soprattutto, nessuno aveva confrontato come rispondono al trattamento rispetto a chi ha un dolore cronico, sì, ma con un impatto minore sulla vita quotidiana (chiamiamolo LICP, Lower-Impact Chronic Pain).
Entra in Scena la Realtà Virtuale (VR)
Ed è qui che mi sono imbattuto in uno studio secondario davvero interessante, basato su una ricerca più ampia. Hanno preso un bel gruppo di persone (oltre 1000!) con mal di schiena cronico, un gruppo molto variegato per età, sesso, etnia ed educazione, e con livelli di dolore e disabilità piuttosto alti. Li hanno divisi in due: un gruppo ha seguito per 8 settimane un programma di realtà virtuale (VR) basato sulle competenze, l’altro un programma “placebo” (video naturalistici in 2D visti con un visore VR, ma senza contenuti specifici per il dolore).
Il programma VR “vero” non era un semplice giochino. Era un percorso strutturato con 56 sessioni giornaliere immersive in 3D, che combinavano educazione sul dolore (capire come funziona aiuta!), tecniche di autoregolazione basate su terapie comprovate come la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la mindfulness.
L’obiettivo di questa analisi secondaria? Capire se, all’interno del gruppo che ha usato la VR “vera”, le persone con HICP avessero risposto diversamente da quelle con LICP. E i risultati, lasciatemelo dire, sono stati sorprendenti.
La Sorpresa: Chi Sta Peggio, Migliora di Più!
Ebbene sì! L’analisi ha mostrato che le persone con HICP hanno avuto riduzioni del dolore significativamente maggiori rispetto a quelle con LICP, sia in termini di intensità che di quanto il dolore interferisse con la vita quotidiana. E non parliamo di miglioramenti minimi, ma di riduzioni clinicamente significative, cioè abbastanza grandi da fare davvero la differenza nella vita di una persona.
La cosa ancora più pazzesca? Questi benefici non sono svaniti dopo la fine del trattamento. Sono durati! Anche a 12 mesi di distanza, il gruppo HICP continuava a mostrare riduzioni del dolore maggiori rispetto al gruppo LICP.
Pensateci un attimo: il trattamento VR ha funzionato così bene per le persone con HICP che, alla fine delle 8 settimane, il 70% di loro non rientrava più nella categoria “ad alto impatto”, ma era stato riclassificato come LICP grazie alla diminuzione dell’interferenza del dolore. E questa “promozione” si è mantenuta per la maggior parte di loro (il 67%) anche dopo un anno! È come se la VR avesse dato loro gli strumenti per riprendere in mano le redini della propria vita, nonostante il dolore.
Non Solo Dolore: Miglioramenti a Tutto Tondo (o Quasi)
Ma i benefici non si sono fermati al dolore. Il gruppo HICP ha mostrato miglioramenti significativamente maggiori anche per quanto riguarda i disturbi del sonno e la disabilità (misurata con un questionario specifico, l’Oswestry Disability Index). Anche questi miglioramenti si sono mantenuti a 12 mesi.
C’è stata però un’eccezione: la depressione. Qui, stranamente, non si è vista una differenza significativa tra i due gruppi (HICP vs LICP) nella risposta alla VR. Anzi, il gruppo LICP ha mostrato una leggera riduzione dei sintomi depressivi, mentre per il gruppo HICP la riduzione non è stata statisticamente significativa. Un risultato un po’ anomalo su cui, ammettono i ricercatori, bisognerà indagare ulteriormente.
Facile da Usare e Coinvolgente
Qualcuno potrebbe pensare: “Sì, bello, ma sarà complicato usare questi visori VR, specialmente per chi magari non è un nativo digitale”. E invece no! Lo studio ha misurato anche quanto le persone hanno effettivamente usato il dispositivo (engagement) e quanto lo hanno trovato facile da usare (usability). Risultato? L’engagement è stato alto per entrambi i gruppi (circa 5 sessioni a settimana su 7 previste) e non c’erano differenze significative tra HICP e LICP. Anche l’usabilità ha ricevuto voti altissimi (oltre 91/100, una A+!) da entrambi i gruppi.
Questo è un punto fondamentale. Significa che questa terapia VR non solo è efficace, ma è anche accessibile e ben tollerata, persino da persone che, sulla carta, potrebbero essere considerate più “difficili” da trattare o meno avvezze alla tecnologia.
Perché Questo Studio è Importante?
Questi risultati sono rilevanti per diverse ragioni. Innanzitutto, come dicevo, c’è un grande bisogno di capire come trattare al meglio le persone con HICP, che sono spesso sovra-medicalizzate e sotto-trattate con approcci comportamentali. Questo studio suggerisce che un approccio come la VR basata sulle competenze potrebbe essere non solo utile, ma addirittura particolarmente vantaggioso proprio per chi sta peggio.
L’idea che due terzi dei pazienti HICP possano “scendere” alla categoria LICP dopo un anno grazie a questa terapia apre scenari interessantissimi. Potrebbe significare, in futuro, minori costi sanitari, meno rischi legati a farmaci e interventi invasivi, e soprattutto una migliore qualità di vita per queste persone.
Inoltre, il fatto che l’efficacia della VR non sembri dipendere da fattori come età, sesso, etnia o status socioeconomico (come già riportato in analisi precedenti dello stesso trial) la rende uno strumento potenzialmente molto democratico.
Uno Sguardo al Gruppo “Placebo”
Per completezza, i ricercatori hanno fatto le stesse analisi (HICP vs LICP) anche nel gruppo che usava la VR “Sham” (quella con i video naturalistici). Anche qui, chi aveva HICP ha mostrato riduzioni del dolore numericamente maggiori, ma la differenza rispetto al gruppo LICP non era sempre statisticamente significativa e, in generale, l’effetto era minore rispetto alla VR basata sulle competenze. Curiosamente, nel gruppo Sham, le persone con HICP hanno usato il dispositivo meno di quelle con LICP, forse perché lo trovavano meno utile?
Limiti e Prossimi Passi
Come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. Non si può assegnare casualmente una persona al gruppo HICP o LICP, quindi i risultati mostrano una correlazione, non necessariamente una causa diretta. Inoltre, non sono stati analizzati altri fattori importanti come altre malattie presenti (comorbidità) o altri trattamenti ricevuti durante l’anno di follow-up. Infine, lo studio si è concentrato sul mal di schiena cronico, quindi non sappiamo se i risultati sarebbero gli stessi per altri tipi di dolore.
Serviranno sicuramente altre ricerche per confermare questi dati e per capire meglio, ad esempio, se la riclassificazione da HICP a LICP si traduca effettivamente in una riduzione dell’uso di farmaci e visite mediche.
In Conclusione
Nonostante i limiti, questo studio ci lascia un messaggio forte e chiaro: la realtà virtuale basata sull’acquisizione di competenze sembra essere uno strumento promettente ed efficace per gestire il dolore cronico, specialmente per quelle persone che ne subiscono l’impatto maggiore sulla loro vita. Il fatto che sia una terapia domiciliare, facile da usare e ben accettata, la rende una candidata ideale per raggiungere tante persone che faticano a trovare sollievo. Potrebbe davvero essere una delle strade per offrire un aiuto concreto e a basso rischio a chi soffre di più.
Fonte: Springer