Un atleta semi-professionista con una corporatura robusta, che indica sovrappeso, mentre controlla i suoi valori di pressione sanguigna con un misuratore digitale al braccio, espressione concentrata. Prime lens, 35mm, depth of field, luce naturale laterale per un effetto realistico e intimo.

Atleti Sovrappeso e il Pericolo Nascosto: Sodio vs Potassio, la Bilancia della Salute Cardiaca

Ciao a tutti! Parliamoci chiaro: quando pensiamo agli atleti, specialmente quelli semi-professionisti che si dedicano con passione a sport come calcio, ciclismo o mountain bike, ci immaginiamo fisici scolpiti e salute di ferro, vero? Eppure, la realtà è un po’ più complessa, soprattutto quando entra in gioco il sovrappeso o l’obesità. Sì, avete capito bene, anche chi fa sport regolarmente non è immune da certi rischi, specialmente quelli legati al cuore. E qui entra in ballo un duo spesso sottovalutato nella nostra alimentazione: sodio e potassio.

Forse saprete che un eccesso di sodio non è proprio un toccasana per la pressione, mentre il potassio è un po’ il suo contraltare benefico. Ma avete mai sentito parlare del rapporto sodio-potassio nella dieta? Beh, sembra essere un indicatore ancora più potente per la nostra salute cardiovascolare rispetto all’assunzione singola di questi due minerali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che l’ideale sarebbe un rapporto inferiore a 1.0 (cioè, più potassio che sodio), ma diciamo che anche stare sotto il 2.0 è un obiettivo più realistico e comunque benefico.

Il nostro studio: atleti semi-professionisti sotto la lente

Proprio per capirci qualcosa di più, soprattutto in una popolazione un po’ “ibrida” come quella degli atleti semi-professionisti che magari devono bilanciare allenamenti intensi con altri impegni lavorativi e, diciamocelo, qualche sgarro alimentare, abbiamo condotto uno studio. Ci siamo concentrati su giovani atleti, tra i 20 e i 40 anni, in sovrappeso o obesi, attivi in club sportivi e di fitness a Xi’an, in Cina. Ne abbiamo coinvolti ben 637!

Cosa abbiamo fatto? Beh, abbiamo raccolto un sacco di dati: misurazioni come peso, altezza, circonferenza vita e fianchi, pressione sanguigna. Poi, analisi del sangue a digiuno per controllare glicemia, colesterolo totale, HDL (quello “buono”), LDL (quello “cattivo”), trigliceridi e una particolare lipoproteina chiamata Lp(a), un marker emergente per il rischio cardiovascolare. E, ovviamente, abbiamo indagato a fondo le loro abitudini alimentari con un questionario dettagliato per calcolare l’apporto di sodio e potassio e, quindi, il famoso rapporto.

Abbiamo poi diviso i nostri atleti in quattro gruppi (quartili) in base al loro rapporto sodio-potassio: da chi ne aveva uno più basso (e quindi, tendenzialmente più sano) a chi lo aveva più alto.

Cosa abbiamo scoperto di così interessante?

Beh, i risultati sono stati piuttosto eloquenti. Innanzitutto, abbiamo notato che gli atleti con un rapporto sodio-potassio più alto tendevano ad essere più giovani e ad avere un rapporto vita-fianchi (WHR) maggiore. Quest’ultimo è un indicatore di obesità centrale, quella “a mela”, che è particolarmente insidiosa per il cuore.

Ma la vera sorpresa è arrivata guardando i lipidi nel sangue. Anche dopo aver tenuto conto di fattori come età, sesso, BMI, attività fisica e apporto calorico, è emerso che chi si trovava nei quartili più alti del rapporto sodio-potassio mostrava livelli significativamente più elevati di colesterolo totale sierico e di Lipoproteina(a) [Lp(a)]. Non proprio una buona notizia per le loro arterie!

In pratica, un maggior squilibrio a favore del sodio rispetto al potassio sembrava associato a un profilo lipidico meno favorevole. Questo suggerisce che, anche se sei un atleta che si allena regolarmente, quello che metti nel piatto conta, eccome, soprattutto se hai già qualche chilo di troppo.

Un atleta semi-professionista, visibilmente in forma ma con un leggero sovrappeso, seduto a tavola mentre guarda con perplessità un piatto abbondante di cibo processato e salato contrapposto a una colorata insalata di verdure e frutta. Macro lens, 100mm, high detail, controlled lighting, per evidenziare la scelta alimentare.

Abbiamo anche calcolato alcuni indici aterogenici, che sono dei “termometri” del rischio che le arterie si ostruiscano. Ad esempio, l’indice di rischio di Castelli (CRI-I e CRI-II) tendeva ad essere peggiore nel quarto quartile (quello con il rapporto sodio-potassio più alto) in tutti i modelli di analisi che abbiamo usato.

Abitudini a tavola: cosa finisce nel piatto?

Dando un’occhiata più da vicino alle diete, abbiamo visto che chi aveva un rapporto sodio-potassio più alto tendeva a consumare più cereali, frattaglie, carne rossa, uova, colesterolo, fibra totale e sale da tavola. Al contrario, consumavano meno pesce, latticini (sia magri che interi), frutta, verdura, noci, pollame e dolci. Per quanto riguarda le bevande, chi era nel quartile più alto beveva più bibite zuccherate e meno latte. Sembra quasi un identikit di una dieta meno “mediterranea” e più ricca di alimenti processati o fonti concentrate di sodio.

E la pressione? Un quadro complesso

Curiosamente, per quanto riguarda la pressione sanguigna, la situazione era un po’ meno lineare. La pressione sistolica (la “massima”) era più alta nel primo quartile (quello con il rapporto sodio-potassio più basso) rispetto agli altri, sia nei modelli grezzi che in quelli aggiustati. Questo potrebbe sembrare controintuitivo, ma la relazione tra sodio, potassio e pressione può essere influenzata da tanti fattori, inclusa la genetica (la famosa “sensibilità al sale”) e altri componenti della dieta. Ad esempio, chi era nei quartili più alti consumava più fibre e cereali, il che potrebbe aver avuto un effetto modulante. È anche vero che la maggior parte dei nostri partecipanti (quasi il 90%) aveva un rapporto sodio-potassio inferiore a due, quindi già in un range considerato ottimale o sub-ottimale dall’OMS. Questo potrebbe spiegare perché non abbiamo visto un aumento della pressione con l’aumentare del rapporto, come invece riportato in altri studi su popolazioni diverse o con diete generalmente peggiori.

Un’osservazione intrigante: la Lipoproteina(a)

Un dato che ci ha particolarmente colpito è la correlazione positiva tra il rapporto sodio-potassio e i livelli di Lp(a). La Lp(a) è considerata un fattore di rischio indipendente per le malattie cardiovascolari, implicata nella calcificazione dei vasi, nell’infiammazione vascolare e nella trombosi. Il fatto che un rapporto sodio-potassio più alto si associ a livelli maggiori di Lp(a), indipendentemente da altri fattori di confondimento, è una pista di ricerca molto interessante. Suggerisce che interventi dietetici mirati a ridurre questo rapporto potrebbero avere un ruolo terapeutico anche nella gestione delle concentrazioni di Lp(a). Certo, servono altri studi per confermarlo, ma è uno spunto da non sottovalutare.

Primo piano di una siringa che preleva sangue da un braccio muscoloso di un atleta, con sullo sfondo sfocato strumenti medici e grafici di andamento cardiaco. Prime lens, 35mm, depth of field, illuminazione da studio per un look pulito e scientifico.

Siamo onesti: ogni studio ha i suoi limiti

Come ogni ricerca, anche la nostra ha dei punti di forza e qualche limitazione. Tra i punti di forza, c’è sicuramente il campione relativamente ampio e l’aver considerato molti dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolare. Abbiamo anche tenuto conto del sale da tavola aggiunto, che spesso viene trascurato. D’altro canto, non abbiamo misurato il rapporto sodio-potassio nelle urine, che è un indicatore più preciso dell’assunzione effettiva. Tuttavia, studi precedenti hanno mostrato una buona correlazione tra l’apporto dietetico e le concentrazioni urinarie. Inoltre, i questionari alimentari, per quanto validati, si basano sull’auto-dichiarazione e possono introdurre qualche imprecisione.

Un altro aspetto da considerare è che abbiamo incluso atleti da vari sport, e non esiste un questionario alimentare validato specificamente per tutti questi sport in Cina. Abbiamo usato uno strumento standardizzato per evitare bias. È anche importante ricordare che molti atleti di grossa taglia, come i nostri partecipanti, rientrano nelle categorie di sovrappeso o obesità basate sul BMI, ma alcuni potrebbero essere metabolicamente sani grazie all’esercizio e a una dieta curata. Nel nostro studio, i valori biochimici erano spesso in range ottimali o quasi, probabilmente grazie all’effetto dell’allenamento. Sarebbe interessante, in futuro, confrontare questi dati con quelli di individui sedentari della stessa stazza per capire meglio l’impatto dell’esercizio.

Il messaggio da portare a casa

Cosa ci dice, quindi, tutta questa storia? Che anche per i giovani atleti semi-professionisti, soprattutto se in sovrappeso o obesi, tenere d’occhio il bilancio tra sodio e potassio nella dieta è fondamentale. Un rapporto sbilanciato a favore del sodio sembra associato a un aumento dell’obesità centrale, del colesterolo totale e dei livelli di Lp(a), tutti fattori che non fanno bene al cuore.

Quindi, il consiglio è semplice ma potente: puntare su una dieta ricca di frutta, verdura, legumi, latticini magri (ottime fonti di potassio) e limitare il consumo di cibi processati, carni rosse e sale aggiunto (principali veicoli di sodio). Non si tratta di demonizzare il sodio, che ha le sue funzioni, ma di trovare il giusto equilibrio. Interventi dietetici mirati a ridurre il rapporto sodio-potassio potrebbero essere una strategia terapeutica promettente per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari in questa popolazione specifica. E chissà, forse anche per tenere a bada quella fastidiosa Lp(a)! Serviranno studi longitudinali e di intervento per confermare queste ipotesi, ma la strada sembra tracciata.

Fonte: Springer

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