Un medico in un laboratorio di ospedale analizza campioni di siero sanguigno al microscopio, con provette contenenti sangue in primo piano e strumentazione scientifica sullo sfondo. Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, atmosfera di ricerca e analisi clinica.

Rapporto Ferritina-Procalcitonina nel COVID-19: Un Nuovo Segnale d’Allarme o Falso Allarme?

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me nel bel mezzo di una delle sfide più grandi che la comunità scientifica e sanitaria ha affrontato negli ultimi anni: la pandemia di COVID-19. Ricorderete bene quei giorni, vero? L’incertezza, la corsa contro il tempo per capire questo nuovo nemico e, soprattutto, per trovare modi per salvare vite. Ecco, in quel turbinio, una delle nostre priorità è sempre stata quella di identificare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare forme gravi della malattia. Perché? Semplice: intervenire prima significa avere più chance di successo terapeutico.

Alla Ricerca di Indizi nel Sangue: I Biomarcatori

Immaginate di essere dei detective. Quando arrivate sulla scena di un crimine (in questo caso, un’infezione virale tosta come il COVID-19), cercate indizi, tracce che vi possano dire cosa è successo e, possibilmente, cosa succederà. Nel nostro campo, questi indizi si chiamano biomarcatori: sostanze misurabili nel corpo che possono indicare uno stato di malattia, la sua gravità o la risposta a un trattamento. Durante la pandemia, abbiamo studiato tantissimi di questi “indizi” nel sangue dei pazienti.

Tra i tanti, due nomi sono emersi con una certa insistenza: la ferritina e la procalcitonina. La ferritina è una proteina che immagazzina il ferro, ma i suoi livelli possono schizzare alle stelle in corso di infiammazioni severe. La procalcitonina, d’altro canto, è un precursore di un ormone che di solito si alza parecchio in caso di infezioni batteriche, ma abbiamo visto che anche il COVID-19 poteva smuoverla.

L’Idea del Rapporto: Due Indizi Fanno una Prova?

Ora, la domanda che ci siamo posti è stata: e se invece di guardare questi due valori separatamente, provassimo a calcolare un rapporto tra la ferritina sierica e la procalcitonina sierica (FPR)? L’ipotesi era che questo rapporto potesse darci informazioni ancora più precise sulla prognosi dei pazienti con polmonite da COVID-19, in particolare sulla mortalità e sulla necessità di ventilazione meccanica. Un po’ come dire: un indizio è buono, ma due indizi combinati potrebbero essere una prova più solida!

Così, ci siamo messi al lavoro con uno studio prospettico osservazionale, arruolando 60 pazienti con diagnosi di COVID-19 ricoverati nelle unità di terapia intensiva del Kasr Al Ainy University Hospital. Tutti, ovviamente, con tampone PCR positivo. Volevamo capire se questo semplice rapporto potesse davvero fare la differenza nell’identificare i pazienti più a rischio.

Cosa Abbiamo Misurato e Chi Abbiamo Studiato

Per ogni paziente, abbiamo raccolto un sacco di dati: età, sesso, malattie preesistenti, parametri clinici come la frequenza respiratoria e la saturazione di ossigeno. E poi, ovviamente, i nostri protagonisti: ferritina, procalcitonina, e altri marcatori infiammatori come la Proteina C Reattiva (PCR), l’Interleuchina-6 (IL-6) e il D-dimero. Queste misurazioni sono state fatte al momento del ricovero (giorno 1), poi al giorno 3 e al giorno 7.

Il nostro campione di pazienti aveva un’età mediana di 67 anni, con una maggioranza di uomini (63%). La metà dei pazienti arruolati, purtroppo, non ce l’ha fatta (gruppo dei non-sopravvissuti), mentre l’altra metà è sopravvissuta (gruppo dei sopravvissuti). L’ipertensione era la comorbidità più comune, seguita dal diabete mellito.

Un dato interessante è che non c’erano differenze significative tra sopravvissuti e non-sopravvissuti per età, sesso o presentazione clinica iniziale (tosse, febbre, ecc.). Tuttavia, parametri come la frequenza respiratoria, la saturazione di ossigeno all’ammissione e il supporto iniziale di ossigeno (FiO2) erano significativamente diversi, indicando già una situazione più critica per chi poi non sarebbe sopravvissuto.

Un team di medici e infermieri in una unità di terapia intensiva moderna, che discutono attorno al letto di un paziente COVID-19. L'ambiente è illuminato da luci cliniche, con monitor che mostrano grafici vitali. Obiettivo prime, 35mm, profondità di campo per mettere a fuoco il team e sfocare leggermente lo sfondo, trasmettendo serietà e collaborazione.

Anche alcuni parametri di laboratorio hanno mostrato differenze importanti: i non-sopravvissuti avevano un rapporto neutrofili/linfociti (N/L ratio) più alto, mentre piastrine e linfociti erano più bassi. Questi sono tutti segnali che il sistema immunitario è sotto stress e che la coagulazione potrebbe essere alterata.

I Risultati del Rapporto Ferritina-Procalcitonina (FPR)

E veniamo al dunque: il nostro rapporto ferritina-procalcitonina (FPR). Cosa ci ha detto? Beh, abbiamo osservato che i livelli mediani di FPR erano più bassi nei pazienti non-sopravvissuti rispetto ai sopravvissuti sia al giorno 1 che al giorno 3. Questo suggerirebbe che un FPR più basso potrebbe essere associato a una prognosi peggiore, ovvero che il rapporto è inversamente proporzionale alla gravità del COVID-19. Sembra un segnale d’allarme, no?

Tuttavia, e qui la scienza ci insegna a essere cauti, in questo nostro studio specifico, la differenza tra i due gruppi (sopravvissuti e non-sopravvissuti) per quanto riguarda l’FPR non ha raggiunto la significatività statistica né al giorno 1 né al giorno 3. Al giorno 7, non c’erano differenze significative nemmeno lì. Questo non vuol dire che l’idea sia da buttare, ma che nel nostro campione di 60 pazienti, l’evidenza non è stata così forte come magari ci aspettavamo per questo specifico rapporto.

È interessante notare che altri studi, come quello di Sahingoz Erdal e colleghi, condotto su un numero molto più grande di pazienti (oltre 2000, anche se con una percentuale minore di casi gravi rispetto al nostro), hanno invece trovato una relazione statisticamente significativa tra FPR e mortalità. Questo ci dice che il contesto, la numerosità del campione e le caratteristiche dei pazienti possono influenzare i risultati.

E gli Altri Biomarcatori?

Se l’FPR nel nostro studio non è emerso come un predittore statisticamente schiacciante, cosa possiamo dire degli altri marcatori presi singolarmente o di altri rapporti?

  • Procalcitonina (PCT): Lei sì che si è fatta sentire! La PCT si è rivelata un buon predittore sia per la necessità di ventilazione meccanica che per la mortalità. Livelli più alti di PCT al giorno 1 e 3 erano associati a un esito peggiore. Per esempio, per predire la mortalità al giorno 1, un valore di PCT superiore a 0.181 ng/mL aveva una buona sensibilità (80%) e specificità (66.7%).
  • Ferritina: La ferritina da sola ha mostrato una relazione significativa con la mortalità (più alta nei non-sopravvissuti), specialmente ai giorni 1 e 3. Tuttavia, non è sembrata essere un predittore altrettanto forte per la necessità di ventilazione meccanica, soprattutto al giorno 1.
  • D-dimero e Interleuchina-6 (IL-6): Questi due “veterani” della prognosi COVID-19 si sono confermati buoni predittori di mortalità. Livelli elevati di D-dimero (ad esempio > 1.16 μg/mL al giorno 1) e di IL-6 (ad esempio > 51.5 pg/mL al giorno 1) erano associati a un rischio maggiore.
  • Rapporto Neutrofili/Linfociti (NLR): Anche l’NLR si è dimostrato un buon indicatore, con valori più alti nei pazienti che non ce l’hanno fatta. Un NLR superiore a 11.584 al giorno 1 era associato a un maggior rischio di morte.
  • Proteina C Reattiva (PCR): Sorprendentemente, o forse no, la PCR, pur essendo un marcatore di infiammazione molto usato, nel nostro studio non si è rivelata un predittore particolarmente efficace per la mortalità, sebbene ci fosse una differenza significativa nei livelli al giorno 3 tra i due gruppi.

Visualizzazione grafica di curve ROC (Receiver Operating Characteristic) su uno schermo di computer in un laboratorio di analisi. Le curve colorate mostrano la performance di diversi biomarcatori nel predire un outcome. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing, controlled lighting, con un leggero effetto duotone blu e verde per un look scientifico e moderno.

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Allora, qual è il messaggio finale? Il rapporto ferritina-procalcitonina (FPR) è un’analisi semplice e potenzialmente utile. L’idea che un FPR più basso possa essere un campanello d’allarme per i pazienti ad alto rischio di mortalità è intrigante e merita ulteriori approfondimenti, magari su campioni più ampi e diversificati. Nel nostro studio, sebbene la tendenza ci fosse, non abbiamo raggiunto la significatività statistica per l’FPR come predittore indipendente di mortalità.

La procalcitonina, invece, si conferma un marcatore robusto sia per la mortalità che per il bisogno di ventilazione meccanica nei pazienti COVID-19 gravi. Anche D-dimero, IL-6 e NLR mantengono il loro ruolo di validi indicatori prognostici.

È fondamentale ricordare che ogni studio ha i suoi limiti. Il nostro è stato condotto in un singolo centro, con un numero relativamente piccolo di pazienti, tutti in condizioni gravi o critiche. Inoltre, non abbiamo potuto effettuare colture dell’espettorato per via delle direttive di controllo delle infezioni, il che avrebbe aiutato a identificare sovrainfezioni batteriche, un fattore importante.

La ricerca, come vedete, è un percorso fatto di piccoli passi, di conferme, a volte di risultati inattesi. L’importante è continuare a interrogarsi, a studiare, per affinare sempre di più i nostri strumenti e offrire cure migliori. E chissà, magari in futuro, con più dati, anche il rapporto ferritina-procalcitonina potrà rivelarsi quella “prova” più solida che stavamo cercando!

Fonte: Springer

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