Rapporto Cass Sotto Esame: Falle Metodologiche e Affermazioni Discutibili che Fanno Rumuore
Amici, oggi voglio portarvi con me in un’analisi che scotta, un tema che sta facendo discutere scienziati, medici e comunità intere: il Rapporto Cass. Se ne avete sentito parlare, saprete che è stato commissionato dal National Health Service (NHS) inglese con l’obiettivo, nobilissimo sulla carta, di fornire raccomandazioni per i servizi dedicati ai bambini e ai giovani che esplorano la propria identità di genere o vivono un’incongruenza di genere. Un compito immane, durato ben quattro anni (2020-2024), che ha portato alla chiusura dei Gender Identity Development Services (GIDS) e alla proposta di centri regionali, basandosi su un rapporto intermedio del 2022.
Il prodotto finale, questo famoso Rapporto Cass, si è basato su una mole di ricerche commissionate ad hoc: studi quantitativi, qualitativi e ben sette revisioni sistematiche. Sembrerebbe tutto molto rigoroso, vero? Beh, è proprio qui che, come un detective con la sua lente, ho voluto vederci più chiaro, insieme ad altri colleghi, s’intende. E quello che abbiamo trovato, beh, diciamo che solleva più di un sopracciglio.
Le Fondamenta Traballanti: Le Revisioni Sistematiche Sotto la Lente del ROBIS
Per prima cosa, ci siamo armati di uno strumento tosto, il ROBIS (Risk of Bias in Systematic Reviews), per valutare il rischio di bias, cioè di distorsione, nelle sette revisioni sistematiche. Immaginate il ROBIS come un setaccio finissimo che valuta quattro aree cruciali: i criteri di eleggibilità degli studi, come sono stati identificati e selezionati, la raccolta dati e la valutazione degli studi, e infine la sintesi e i risultati. Per non farci mancare nulla, due di noi hanno applicato il ROBIS a ogni revisione in modo indipendente, e per risolvere eventuali discordanze, altri due revisori indipendenti sono entrati in gioco. Rigore prima di tutto!
E il risultato? Un campanello d’allarme bello forte: un alto rischio di bias in ciascuna delle sette revisioni. Ma perché? Abbiamo notato deviazioni dal protocollo originale non spiegate, criteri di eleggibilità ambigui (un po’ come dire “prendiamo solo le mele rosse, ma forse anche quelle un po’ verdi, e quelle gialle solo se di martedì”), un’identificazione degli studi non proprio a prova di bomba e, ciliegina sulla torta, una mancata integrazione di queste magagne nelle conclusioni finali. Insomma, se le fondamenta non sono solide, come può reggere l’edificio?
Vi faccio qualche esempio concreto. Sei revisioni su sette hanno escluso fonti non in lingua inglese e la cosiddetta “letteratura grigia” (tesi, report governativi, ecc.). Immaginate quanti studi potenzialmente rilevanti potrebbero essere stati lasciati fuori! E la ricerca qualitativa? Esclusa da tutte le revisioni, nonostante fosse prevista dal protocollo e nonostante molte domande di ricerca potessero beneficiare enormemente da metodi qualitativi rigorosi. È come voler capire il sapore di una torta guardandone solo la foto.
Un altro esempio che mi ha fatto strabuzzare gli occhi riguarda la revisione sulla transizione sociale. Hanno escluso studi importanti perché la transizione sociale non era trattata “come un’esposizione”, per poi includerne altri dello stesso progetto che presentavano le medesime limitazioni. Un’applicazione, a mio avviso, inaccettabilmente ambigua dei criteri di esclusione.
La Ricerca Primaria Commissionata: Altre Crepe nel Muro
Ma non finisce qui. Abbiamo esaminato attentamente anche la ricerca primaria commissionata appositamente per il Rapporto Cass – quella, per intenderci, non ancora pubblicata su riviste peer-reviewed. E anche qui, amici, abbiamo trovato falle metodologiche e affermazioni non supportate dai dati che suggeriscono quasi un doppio standard: molto esigenti nel valutare la qualità degli studi esistenti nelle revisioni sistematiche, un po’ meno quando si trattava della propria ricerca.
Prendiamo lo studio di coorte che mirava a stimare i cambiamenti nell’incidenza e nella prevalenza della disforia di genere tra i minori di 18 anni. Non hanno tenuto conto di fattori cruciali come il cambiamento nell’accettazione sociale, nello stigma, nei criteri diagnostici (siamo passati dal DSM-IV al DSM-V, dall’ICD-10 all’ICD-11!), o nelle linee guida cliniche. Tutti elementi che possono influenzare chi arriva ai servizi e quindi falsare le stime di prevalenza. Parlano di un aumento, ma non dimostrano che sia inaspettato o preoccupante, eppure questa assunzione è alla base dell’intera Revisione Cass.
E che dire della co-occorrenza tra “Disturbo dello Spettro Autistico” (ASD) e disforia di genere? Concludono che sia aumentata senza test statistici appropriati o senza considerare i cambiamenti nella visibilità e diagnosi dell’ASD. Affermano anche una crescita in due fasi delle richieste di cure affermative di genere (GAC), con un'”accelerazione” nel 2015, senza però supportare questa affermazione con modelli statistici adeguati.
Affermazioni Indebite e la Questione dell’Accettazione Sociale
Il Rapporto Cass sostiene che “l’aumento esponenziale dei numeri in un arco temporale di 5 anni è molto più rapido di quanto ci si aspetterebbe per la normale evoluzione dell’accettazione di un gruppo minoritario”. Qui, permettetemi di dissentire su tre fronti. Primo, non esiste una “normale evoluzione passiva” dell’accettazione, perché la discriminazione è spesso cementata nelle politiche. Secondo, quando le politiche cambiano, i cambiamenti esponenziali sono ben documentati (pensate ai matrimoni tra persone dello stesso sesso dopo la legalizzazione). Terzo, qualsiasi aumento partendo da numeri vicini allo zero apparirà esponenziale!
Usano poi set di dati difettosi, con doppi conteggi nei dati di invio, traiettorie di invio vecchie di sette anni e comunicazioni personali senza metodologia associata. Un po’ un minestrone, se mi passate il termine.
Argomentano anche che la crescente accettazione sociale non spiega il “passaggio da maschi registrati alla nascita a femmine registrate alla nascita” nelle richieste, definendolo “diverso dalle presentazioni trans in qualsiasi periodo storico precedente”. Peccato che la letteratura esistente spieghi proprio questo “shift” nel contesto di una maggiore accettazione sociale: in passato, i genitori portavano i figli nelle cliniche di genere per “curare” la loro non conformità, più stigmatizzata nei ragazzi. Oggi, li portano per supportare la transizione, ma la non conformità di genere è ancora più stigmatizzata nei ragazzi. Paradossalmente, lo stesso studio da cui il Rapporto Cass prende i dati per questa affermazione, fa proprio questo ragionamento!
Sulla detransizione, si “suggerisce che i numeri stiano aumentando”, ma senza fornire prove e omettendo studi importanti sull’argomento. Sulla transizione sociale, si insinua che potrebbe alterare una traiettoria di disforia di genere che altrimenti si risolverebbe, portando a interventi medici per tutta la vita. Questo nonostante la loro stessa revisione concluda che la scarsa qualità e quantità della ricerca attuale rende difficile valutare l’impatto della transizione sociale, e nonostante i giovani riportino una riduzione della disforia e un maggiore benessere dopo la transizione sociale. Eppure, il rapporto raccomanda una transizione parziale, non completa, per i bambini prepuberi, senza prove a sostegno.
Abbiamo anche notato una comunicazione inaccurata delle citazioni dei partecipanti dalla ricerca qualitativa. Una partecipante dice chiaramente che ci sono molti modi per essere trans e per la transizione, e che va bene avere piani diversi per la propria transizione medica. Questa citazione viene usata per sostenere che “è importante informare le persone che la transizione medica non è l’unica opzione”. Sottile, ma si rigira la frittata, trasformando un’affermazione a favore della disponibilità di opzioni mediche in una prova della necessità di ridurle. E, in generale, nella ricerca qualitativa del rapporto mancano informazioni cruciali sui metodi e sulla riflessività del ricercatore, fondamentali per l’interpretazione dei dati.
L’Approccio all’Evidence-Based Medicine: Un’arma a Doppio Taglio?
Il Rapporto Cass si posiziona come baluardo dell’Evidence-Based Medicine (EBM), sostenendo che gli studi randomizzati controllati (RCT) siano il gold standard per valutare l’efficacia delle cure affermative di genere (GAC). Certo, gli RCT hanno un’alta validità interna, ma la loro validità esterna è spesso criticata, specialmente in contesti come la medicina transgender, dove l’individualizzazione della cura è chiave e il blinding (rendere ciechi partecipanti e ricercatori al trattamento) è impossibile. Imporre la partecipazione a un RCT per accedere ai bloccanti della pubertà solleva poi enormi questioni etiche.
Valutare l’efficacia delle GAC basandosi solo sul benessere psicosociale è, a mio avviso, fuorviante. L’obiettivo primario delle GAC è prevenire o indurre la comparsa di determinate caratteristiche fisiche, e la loro efficacia fisiologica è indiscussa. I benefici per la salute mentale sono una conseguenza logica del vivere autenticamente. Inquadrare la transessualità come una condizione quasi-psichiatrica contraddice la sua depatologizzazione (pensate al passaggio dell’Incongruenza di Genere nell’ICD-11 a “Condizioni relative alla salute sessuale”).
Il Rapporto Cass enfatizza il disagio dei giovani, piuttosto che i loro desideri di trattamento, incorniciando la transizione sociale precoce e la detransizione attraverso una lente patologizzante. Le GAC diventano così una delle tante opzioni di trattamento per una condizione quasi-psichiatrica, invece che la preferenza autentica di individui competenti. Questo approccio paternalistico è inappropriato. Le GAC andrebbero considerate con una lente simile a quella della salute riproduttiva: un diritto all’autodeterminazione e all’accesso a servizi che supportino il benessere fisico, emotivo, mentale e sociale.
Quale Futuro per la Cura Affermativa di Genere? Un Appello alla Cautela e al Rigore
Le deviazioni dalle migliori pratiche nelle revisioni sistematiche sono preoccupanti: mancanza di protocolli specifici per ogni revisione, esclusione ingiustificata di ricerche qualitative e in altre lingue, strategie di ricerca datate (l’ultima ricerca era di aprile 2022, vecchia di 24 mesi alla pubblicazione!). È come se si fosse voluto “pilotare” il risultato, escludendo a priori ciò che non si voleva trovare.
Il team della Revisione Cass ha anche inizialmente escluso esperti del settore, per poi aggiungerne uno in corsa. L’input di chi è direttamente interessato e degli esperti è fondamentale, non un optional.
Noi sosteniamo che le migliori evidenze possibili sulle GAC si ottengono quando si massimizza il coinvolgimento e la fiducia dei partecipanti attraverso la partecipazione della comunità, quando questi partecipanti sono diversi e seguiti longitudinalmente in rigorosi studi osservazionali, e quando gli esiti misurati sono quelli considerati importanti dai giovani gender diverse e da chi li supporta, inclusa l’esperienza clinica dei sanitari.
In conclusione, amici, la nostra analisi critica ha rivelato significative falle metodologiche nelle revisioni sistematiche e nella ricerca primaria commissionate, che minano la validità delle raccomandazioni del Rapporto Cass. Abbiamo trovato una carenza di rigore statistico, dataset inaffidabili, affermazioni presentate senza prove e una rappresentazione distorta delle parole dei partecipanti. Sembra esserci un doppio standard: si pretende un rigore altissimo per le evidenze a favore delle cure affermative di genere, ma si è molto più indulgenti con le evidenze (o la loro assenza) usate per sostenere molte delle raccomandazioni del rapporto stesso.
Data la scarsa comprensione delle identità e delle esperienze transgender dimostrata dal Rapporto Cass, è vitale mettere in discussione l’integrità e la validità delle sue raccomandazioni e l’opportunità di basare su di esso le politiche sanitarie. Per sostenere un impegno reale verso una medicina basata sulle evidenze, la ricerca futura sulle cure affermative di genere deve generare dati osservazionali robusti, coinvolgere le comunità transgender e dare priorità a esiti centrati sul paziente, garantendo validità, generalizzabilità e rilevanza culturale. La posta in gioco è troppo alta per accontentarsi di meno.
Fonte: Springer