Visualizzazione concettuale di un polmone umano con evidenziate le aree tumorali (NSCLC stadio III-pN2) e i linfonodi mediastinici. Fasci di luce simboleggiano la radioterapia postoperatoria (PORT) che colpisce selettivamente le cellule tumorali residue, con icone stilizzate dei biomarcatori EGFR e PD-L1. Obiettivo grandangolare 24mm, illuminazione cinematografica, per una copertina scientifica.

Radioterapia Postoperatoria nel Tumore al Polmone: EGFR e PD-L1 Svelano Chi Ne Trae Vantaggio!

Amici, oggi ci addentriamo in un tema che sta molto a cuore a chi si occupa di oncologia toracica, e che, credetemi, tiene banco nelle discussioni tra specialisti: la radioterapia postoperatoria (PORT) nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio III con coinvolgimento dei linfonodi mediastinici (pN2), dopo che il tumore è stato completamente rimosso chirurgicamente. Sembra un parolone, vero? Ma cerchiamo di capire insieme di cosa si tratta e perché è così dibattuto.

Il Contesto: Perché Tanta Incertezza sulla PORT?

Il tumore al polmone, purtroppo, è una delle neoplasie più diffuse e una delle principali cause di mortalità per cancro a livello globale. La stragrande maggioranza dei casi, circa l’85%, è rappresentata dal NSCLC. Per gli stadi da I a III, la chirurgia, quando possibile, è la prima scelta terapeutica. Tuttavia, anche dopo un intervento radicale, il rischio che la malattia si ripresenti localmente (recidiva locoregionale, LRR) o a distanza (metastasi) rimane alto, specialmente se sono coinvolti i linfonodi mediastinici N2. Questo, ovviamente, impatta sulla sopravvivenza globale (OS).

Per anni, la chemioterapia adiuvante (cioè dopo l’intervento) è stata lo standard. Ma il ruolo della radioterapia postoperatoria? Ecco, qui le acque si fanno più agitate. Alcuni studi suggerivano un beneficio, altri meno. Pensate che due studi importantissimi, il LungART e il PORT-C, hanno dato risultati un po’ contrastanti o comunque non definitivi. Il LungART, ad esempio, ha mostrato che la PORT riduceva significativamente il rischio di recidiva locale (dal 46,1% al 25,0%!), ma questo non si traduceva in un miglioramento della sopravvivenza libera da malattia (DFS) o della sopravvivenza globale. Il PORT-C ha indicato una tendenza verso una migliore DFS con la PORT, ma senza raggiungere la significatività statistica e nessun beneficio sulla OS. Capite bene che, di fronte a questi dati, la comunità scientifica si è detta: “Ok, dobbiamo capire meglio chi sono i pazienti che possono davvero trarre giovamento dalla PORT”. Non è una terapia da fare a cuor leggero a tutti.

L’Avvento delle Terapie Mirate e dell’Immunoterapia: Un Nuovo Scenario

Negli ultimi anni, poi, il mondo dei trattamenti adiuvanti per il NSCLC è stato rivoluzionato. Avrete sentito parlare delle terapie a bersaglio molecolare e dell’immunoterapia. Lo studio ADAURA, per esempio, ha cambiato le carte in tavola per i pazienti con mutazioni del gene EGFR (specifiche delezioni dell’esone 19 o la mutazione L858R dell’esone 21), dimostrando che un farmaco chiamato Osimertinib, dato dopo la chirurgia, allunga significativamente la DFS e riduce il rischio di recidiva. Peccato che lo studio ADAURA abbia escluso i pazienti che avevano ricevuto la PORT, lasciandoci ancora con il dubbio sul suo ruolo e sul momento migliore per farla in questi casi.
Parallelamente, l’immunoterapia ha fatto passi da gigante. Lo studio IMpower010 ha mostrato che l’atezolizumab migliora la DFS nei pazienti con NSCLC in stadio II-IIIA operato e con espressione di PD-L1. Anche lo studio KEYNOTE-091 con pembrolizumab ha dato risultati positivi. Insomma, un bel fermento! Ma questo ha reso ancora più cruciale capire se e come la PORT si inserisca in questo nuovo puzzle terapeutico.

Immagine al microscopio elettronico di cellule di carcinoma polmonare non a piccole cellule, con evidenziazione fluorescente dei recettori EGFR e delle molecole PD-L1 sulla membrana cellulare. Dettaglio elevato, obiettivo macro 100mm, illuminazione controllata per ricerca scientifica.

Il Nostro Studio: Cosa Abbiamo Cercato di Capire?

Ed è qui che entriamo in gioco noi, con il nostro studio retrospettivo. Ci siamo chiesti: possiamo identificare dei sottogruppi di pazienti con NSCLC stadio III-pN2 completamente resecato che beneficiano maggiormente della PORT, magari guardando proprio allo stato di EGFR e PD-L1?
Abbiamo quindi analizzato i dati di 251 pazienti trattati presso il nostro istituto (Shandong Cancer Hospital and Institute) tra il 2018 e il 2023. Tutti erano stati operati radicalmente, avevano un coinvolgimento linfonodale N2 confermato e avevano ricevuto chemioterapia adiuvante. Di questi, 61 avevano fatto anche la PORT, mentre 190 no. Il follow-up mediano è stato di circa 25 mesi.

I Risultati Chiave: Chi Vince con la PORT?

E ora, tenetevi forte, perché i risultati sono davvero interessanti!
Guardando a tutti i pazienti insieme, quelli che avevano fatto la PORT mostravano una tendenza verso una DFS più lunga (39,1 mesi contro 35,5 mesi), ma la differenza non era statisticamente significativa. Nessuna differenza significativa neanche per la sopravvivenza globale.
Ma la musica cambia quando andiamo a vedere i sottogruppi:

  • Nei pazienti con EGFR wild-type (cioè senza la mutazione del gene EGFR): la PORT ha significativamente allungato la DFS (mediana di 35,3 mesi contro 18,3 mesi per chi non l’aveva fatta, p=0.002). Un bel colpo!
  • Nei pazienti con PD-L1 positivo (cioè con espressione della proteina PD-L1 ≥1%): anche qui, la PORT ha portato a una DFS significativamente più lunga (mediana di 35,3 mesi contro 16,4 mesi, p=0.029).
  • Al contrario, nei pazienti con EGFR mutato o con PD-L1 negativo, la PORT non ha mostrato benefici significativi né in termini di DFS né di OS.

E non è finita qui! La PORT è stata associata a un rischio significativamente più basso di recidiva locoregionale (LRR) in generale (p=0.043), e questo beneficio era particolarmente evidente nei pazienti EGFR wild-type (p=0.007) e in quelli PD-L1 positivi (p=0.016). Ancora una volta, nessun vantaggio significativo nel controllo locoregionale per i pazienti EGFR mutati o PD-L1 negativi.

Interpretazione dei Risultati: Biomarcatori al Potere!

Quindi, cosa ci dicono questi numeri? Che i biomarcatori, come lo stato di EGFR e PD-L1, potrebbero essere la nostra bussola per decidere chi candidare alla radioterapia postoperatoria.
Per i pazienti con EGFR mutato, la maggior parte dei quali nel nostro studio (114 su 122) ha ricevuto terapia mirata adiuvante, la PORT non sembra aggiungere molto. Questo ha senso, visto che farmaci come l’Osimertinib sono già molto efficaci nel controllare la malattia in questo setting. Lo studio ADAURA lo ha dimostrato ampiamente, con una riduzione drastica del rischio di recidiva e un miglioramento della sopravvivenza globale. Quindi, per loro, la terapia mirata sembra la strategia più appropriata.
Discorso simile si potrebbe fare per i pazienti ALK-positivi, dove l’Alectinib adiuvante ha mostrato grandi benefici nello studio ALINA. Anche se non abbiamo analizzato specificamente questo sottogruppo, è plausibile che il valore aggiunto della PORT sia limitato.

Ritratto di un team multidisciplinare di medici (chirurgo toracico, oncologo medico, radioterapista oncologo, radiologo) che discute un caso di tumore polmonare davanti a schermi con immagini TAC e dati molecolari. Obiettivo prime 35mm, luce da studio, atmosfera collaborativa e professionale, bianco e nero film.

Per quanto riguarda i pazienti PD-L1 positivi, specialmente quelli che hanno ricevuto immunoterapia adiuvante, la PORT sembra migliorare la DFS. Sappiamo da altri studi che la radioterapia e l’immunoterapia potrebbero avere un effetto sinergico, potenziandosi a vicenda nel combattere il tumore. I nostri dati sembrano supportare questa ipotesi, anche se per vedere un impatto sulla sopravvivenza globale serviranno follow-up più lunghi o casistiche più ampie.

E gli Effetti Collaterali? Un Bilancio Necessario

Ovviamente, ogni trattamento ha il suo rovescio della medaglia. La PORT non fa eccezione. Nel nostro studio, abbiamo osservato che l’esofagite era presente nell’8,2% dei pazienti trattati con PORT (nessuno nel gruppo non-PORT). La polmonite era un po’ più frequente nel gruppo PORT (13,1% vs 8,9%), con eventi di grado severo (≥3) nel 3,3% dei casi (nessuno nel gruppo non-PORT). Anche le tossicità ematologiche (leucopenia, neutropenia, anemia, trombocitopenia) erano leggermente più alte nel gruppo PORT. È importante sottolineare, però, che non ci sono stati eventi avversi di grado 4 o 5 correlati al trattamento. Quindi, un profilo di tossicità gestibile, ma da tenere in considerazione.

Limiti dello Studio e Prospettive Future

Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti, è giusto dirlo. Essendo retrospettivo, alcune informazioni potrebbero non essere complete o omogenee. Il numero di pazienti in alcuni sottogruppi era relativamente piccolo, il che potrebbe limitare la potenza statistica. Il follow-up è ancora relativamente breve, e la DFS o OS mediana non è stata raggiunta in diversi sottogruppi, rendendo difficile valutare appieno i benefici a lungo termine. Inoltre, lo stato di PD-L1 non era disponibile per tutti, il che potrebbe introdurre un bias. Infine, ci siamo concentrati su EGFR, ma ci sono altre mutazioni (ALK, ROS1, MET, RET, KRAS, BRAF) che potrebbero giocare un ruolo e che meriterebbero approfondimenti futuri.
Una frontiera interessantissima è l’analisi della malattia minima residua (MRD) attraverso la ricerca di DNA tumorale circolante (ctDNA) dopo l’intervento. Questo potrebbe aiutarci a identificare ancora meglio i pazienti ad alto rischio di recidiva che potrebbero beneficiare di trattamenti come la PORT.

In conclusione, amici, il messaggio da portare a casa è che la radioterapia postoperatoria potrebbe migliorare la sopravvivenza libera da malattia e ridurre il rischio di recidiva locale nei pazienti con NSCLC stadio III-pN2 operato che sono EGFR wild-type o PD-L1 positivi. Questi due biomarcatori sembrano promettenti per personalizzare la decisione terapeutica. Certo, questi risultati andranno confermati da studi randomizzati controllati prospettici, ma la strada per una terapia sempre più su misura è tracciata!

Fonte: Springer

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