Immagine medica concettuale che mostra un fascio di radioterapia ad alta precisione (IGRT) mirato a un fegato umano con evidenziata la vena porta affetta da trombosi tumorale (PVTT). Lo sfondo è tecnologico e pulito, simboleggiando l'avanzamento della tecnica. Stile fotorealistico, illuminazione controllata da studio, leggero effetto profondità di campo, obiettivo 50mm prime.

Radioterapia Ipofrazionata: Un Raggio di Speranza per l’Epatocarcinoma con Trombosi Portale?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento tosto, ma anche pieno di speranza: l’epatocarcinoma (HCC), quel tumore al fegato che purtroppo è tra le principali cause di morte per cancro nel mondo. E come se non bastasse, spesso si complica con una cosa chiamata trombosi venosa portale (PVTT), in pratica un coagulo tumorale nella vena principale del fegato, che peggiora drasticamente la situazione. Immaginatevi la prognosi che crolla… è una vera sfida per noi medici e, soprattutto, per i pazienti.

La Sfida dell’HCC con PVTT

Quando c’è di mezzo la PVTT, l’HCC viene classificato come stadio avanzato. Le terapie sistemiche, come le combinazioni di farmaci immunoterapici e anti-angiogenici (pensate ad atezolizumab-bevacizumab o durvalumab-tremelimumab), sono diventate la prima linea di trattamento raccomandata. Hanno fatto passi da gigante, non c’è dubbio.

Però, non dobbiamo dimenticarci dei trattamenti locali! Soprattutto in alcune parti del mondo, come l’Asia Orientale, dove l’HCC legato all’epatite B è più comune, terapie come la chemioembolizzazione transarteriosa (TACE), la radioembolizzazione e, appunto, la radioterapia (RT) giocano ancora un ruolo fondamentale. A volte servono anche come “ponte”, per tenere a bada la malattia in attesa di poter usare le terapie sistemiche.

La radioterapia, in particolare, ha un vantaggio: si può fare anche quando altri trattamenti locali più invasivi non sono possibili. Ma qui sorge la domanda: quale tipo di radioterapia è la migliore per la PVTT?

Tanti Modi di Fare Radioterapia: Quale Scegliere?

Nel corso degli anni, abbiamo esplorato diverse strategie:

  • Frazionamento Convenzionale: Dosi piccole ogni giorno per molte settimane. Funziona, ma richiede tanto tempo (almeno 5 settimane), e con la PVTT il tempo è prezioso perché la malattia corre veloce. Sembra funzionare meglio se la dose biologicamente efficace (BED) è alta (almeno 58-60 Gy10).
  • Radioterapia Stereotassica Corporea (SBRT): Dosi molto alte concentrate in poche sedute (1-5). Promettente per il controllo locale del tumore (tassi dell’87-95% a 1 anno!), ma può essere più rischiosa per i tessuti sani vicini, specialmente se il tumore è vicino a organi critici.
  • Terapia con Protoni (PBT): Una tecnica avanzata che permette di “scolpire” la dose con grande precisione, risparmiando i tessuti sani. Risultati eccellenti in alcuni studi, ma serve ancora più ricerca e non è disponibile ovunque.
  • Radioterapia Ipofrazionata: Una via di mezzo. Dosi più alte della convenzionale, ma distribuite su un numero moderato di sedute (ad esempio 10). L’idea è bilanciare efficacia e sicurezza.

Come vedete, non c’è ancora un consenso unanime sulla dose e sul frazionamento ideali. Serve un approccio su misura.

Primo piano di un medico concentrato che analizza una scansione TC del fegato su uno schermo ad alta risoluzione in una sala di controllo radiologica, mettendo in evidenza la complessità della pianificazione del trattamento per l'epatocarcinoma con PVTT. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per focalizzare l'attenzione sullo schermo e sul medico, illuminazione da studio controllata.

Lo Studio: Ipofrazionamento in 10 Sedute Sotto la Lente

Ed è qui che entra in gioco lo studio di cui voglio parlarvi oggi. Abbiamo condotto un’indagine retrospettiva multicentrica (cioè guardando indietro ai dati di pazienti già trattati in due ospedali diversi, l’Ospedale Universitario Nazionale di Seoul e l’Ospedale Universitario Chung-Ang) per valutare proprio l’efficacia e la sicurezza di una radioterapia ipofrazionata guidata dalle immagini (IGRT) somministrata in 10 sedute. L’obiettivo era vedere se questo approccio potesse essere una valida opzione, magari anche per “preparare il terreno” alle terapie sistemiche moderne.

Abbiamo analizzato i dati di 69 pazienti con HCC e PVTT trattati tra il 2016 e il 2022. Questi pazienti dovevano avere almeno 20 anni, condizioni generali discrete (ECOG ≤ 2), una funzione epatica non troppo compromessa (Child-Pugh A o B) e nessun segno di metastasi fuori dal fegato. Tutti avevano già ricevuto altri trattamenti per l’HCC prima della radioterapia (soprattutto TACE).

Come Abbiamo Fatto la Radioterapia?

La pianificazione è stata super accurata. Abbiamo usato una TC quadridimensionale (4D-CT) per tenere conto del movimento del fegato dovuto al respiro, a volte con una leggera compressione addominale per ridurlo. Il volume tumorale (GTV) della PVTT è stato delineato con precisione, e in alcuni casi includeva anche il tumore intraepatico vicino. Abbiamo definito un volume bersaglio interno (ITV) che comprendesse tutti i movimenti e poi un volume bersaglio di pianificazione (PTV) con un margine di sicurezza (0.5-0.6 cm).

La dose standard era di 50 Gy in 10 frazioni (somministrata in 2 settimane), che corrisponde a una dose biologicamente efficace (BED) di 75 Gy10. In alcuni casi, se c’era il rischio di danneggiare organi vicini (stomaco, duodeno, intestino, fegato sano), la dose veniva ridotta a 40 Gy (BED 56 Gy10) o si usava una tecnica chiamata “boost integrato simultaneo” (SIB) per dare dosi diverse a diverse parti del PTV. La tecnologia usata era la VMAT (radioterapia volumetrica modulata ad arco), molto precisa.

Fondamentale è stata la guida tramite immagini (IGRT): prima di ogni seduta, una Cone-Beam CT (una specie di mini-TAC fatta direttamente sull’acceleratore) verificava la posizione esatta del bersaglio e degli organi a rischio, permettendo aggiustamenti millimetrici. Questo garantisce che la dose vada dove deve andare, minimizzando gli errori.

Immagine dettagliata di un moderno acceleratore lineare in funzione durante una sessione di radioterapia IGRT. Si vedono i fasci di radiazione convergere con precisione millimetrica sul target nel corpo del paziente (rappresentato da un manichino o schema). Tecnologia medica avanzata, obiettivo macro 85mm, alta definizione, illuminazione tecnica e pulita.

I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?

Dopo un follow-up mediano di 10.2 mesi, i risultati sono stati davvero incoraggianti.

  • Sopravvivenza Globale (OS): La mediana è stata di 20.3 mesi. A 1 anno, il 62.2% dei pazienti era ancora vivo. Questi numeri sono assolutamente competitivi rispetto a quelli visti negli studi più recenti sulle terapie sistemiche (che riportano mediane tra 13.6 e 17 mesi).
  • Controllo Locale (FFLP): A 1 anno, il tasso di libertà da progressione locale (cioè il tumore non è ricresciuto nell’area trattata) è stato dell’88.7%. Un ottimo risultato, in linea con altri studi sulla RT per PVTT.
  • Risposta del Tumore: A 3 mesi dal trattamento, quasi la metà dei pazienti (49.2%) ha mostrato una risposta, con un 13% di risposte complete (CR) e un 36.2% di risposte parziali (PR). Il resto aveva una malattia stabile (SD, 46.4%), mentre solo pochi (4.4%) hanno avuto una progressione (PD). E la risposta tendeva a migliorare nel tempo!
  • Progressione e Metastasi: La sfida rimane la progressione fuori dall’area trattata (out-field) o le metastasi a distanza. Il tasso di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 1 anno è stato del 26.9%, e quello libero da metastasi a distanza (DMFS) del 64.7%. Molti pazienti (75.4%) hanno sviluppato nuove lesioni nel fegato fuori dall’area irradiata. Questo suggerisce che, mentre la RT controlla bene il problema locale (la PVTT), la malattia di base nel fegato rimane attiva.

Sicurezza: Un Profilo Rassicurante

E la tossicità? Qui le notizie sono ottime. Il trattamento è stato generalmente ben tollerato. Abbiamo osservato solo 2 casi (2.9%) di tossicità acuta di grado 3 o superiore nei primi 3 mesi: un aumento degli enzimi epatici e una colangite acuta (infiammazione delle vie biliari). Entrambi i pazienti si sono ripresi completamente con le cure appropriate.

A lungo termine (dopo 5 mesi), ci sono stati 2 casi (2.9%) di ulcere duodenali di grado 2, gestite con successo. Non abbiamo registrato insufficienze epatiche gravi o decessi legati al trattamento. Anche la funzione epatica, misurata con il punteggio Child-Pugh e l’ALBI score, è rimasta abbastanza stabile nella maggior parte dei pazienti a 3 mesi. Questo è cruciale, perché preservare la funzione del fegato è fondamentale per poter accedere ad altri trattamenti.

Ritratto ambientato di un paziente di mezza età in una sala d'attesa luminosa di un ospedale, con un'espressione serena e fiduciosa, simboleggiante l'accettabilità del trattamento e la speranza nel percorso terapeutico. Obiettivo 50mm prime, luce naturale diffusa, profondità di campo media per includere l'ambiente ospedaliero in modo soft.

Chi Beneficia di Più? E Cosa Significa Tutto Questo?

Analizzando i dati, abbiamo identificato alcuni fattori che predicevano una sopravvivenza peggiore:

  • Livelli di Alfa-fetoproteina (AFP, un marcatore tumorale) molto alti (≥ 600 IU/ml).
  • Funzione epatica di base più compromessa (Child-Pugh B o C).
  • Stadio della malattia più avanzato (mUICC IVA o IVB).

I pazienti con 0 o 1 di questi fattori di rischio (gruppo a basso rischio) hanno avuto una sopravvivenza a 1 anno significativamente migliore rispetto a quelli con 2 o 3 fattori (gruppo ad alto rischio): 77% contro 43%. Questo suggerisce che questo tipo di radioterapia potrebbe essere particolarmente vantaggioso per i pazienti a minor rischio, e forse questo “punteggio” potrebbe aiutarci a scegliere il trattamento migliore per ogni paziente (anche se servono conferme).

In sintesi, cosa ci dice questo studio? Che la radioterapia ipofrazionata in 10 sedute, guidata dalle immagini e con tecniche moderne come la VMAT e il SIB, è un’opzione fattibile, efficace e sicura per trattare la PVTT nell’epatocarcinoma. Offre un buon controllo locale e tassi di sopravvivenza paragonabili a quelli delle terapie sistemiche più recenti o di altre tecniche RT avanzate come SBRT o protoni, ma con un profilo di tossicità potenzialmente più favorevole rispetto alla SBRT ad alte dosi.

Potrebbe rappresentare un’ottima strategia “ponte” verso le terapie sistemiche, permettendo di controllare un problema critico come la PVTT senza compromettere troppo la funzione epatica. Certo, lo studio ha i suoi limiti (è retrospettivo, la valutazione della risposta può essere difficile, l’impatto dei trattamenti successivi è variabile), ma i risultati sono decisamente promettenti.

È un altro passo avanti nella lotta contro questa malattia complessa, un’arma in più nel nostro arsenale per offrire ai pazienti le migliori possibilità.

Fonte: Springer

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