Immagine evocativa di un radiologo interventista che guarda concentrato un monitor angiografico in una sala operatoria scarsamente illuminata, con i fasci di luce del macchinario che creano un'atmosfera tesa e mettono in risalto la polvere nell'aria; si intravede l'equipaggiamento protettivo indossato. Obiettivo 35mm, stile film noir, contrasto accentuato tra luci e ombre profonde.

Radiologia Interventistica: Scudo Invisibile o Rischio Reale? L’Analisi UK Che Ci Mette a Nudo

Lavorare in radiologia interventistica (RI) è affascinante, siamo in prima linea nell’usare tecnologie avanzate per diagnosi e terapie mininvasive. Negli ultimi 20 anni, l’uso dei raggi X in medicina è esploso, e noi, specialisti di RI, siamo tra i più esposti. Procedure complesse significano tempi di fluoroscopia lunghi e dosi di radiazioni potenzialmente elevate, non solo per i pazienti ma anche per noi operatori. Ma ci siamo mai chiesti davvero quanto siamo protetti? E quanto ne sappiamo veramente dei rischi che corriamo ogni giorno?

Uno studio recente condotto nel Regno Unito, basato su un questionario distribuito tramite la British Society of Interventional Radiology (BSIR), ha cercato di fare luce proprio su questo: le misure di sicurezza attuali, la nostra consapevolezza e le pratiche quotidiane. E i risultati, lasciatemelo dire, mi hanno fatto davvero riflettere.

Il Contesto: Raggi X, Rischi e Regole

Prima di tuffarci nei risultati, un piccolo ripasso. Le radiazioni ionizzanti non sono uno scherzo. Possono causare effetti deterministici (come cataratte, eritemi cutanei, sterilità) se la dose è alta, e stocastici (aumentano il rischio di cancro e malformazioni fetali a causa di danni al DNA) anche a dosi più basse. Per questo esistono limiti di dose occupazionale: la Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP) raccomanda un limite di 20 millisievert (mSv) all’anno, mediato su cinque anni, e comunque non più di 50 mSv in un singolo anno.

Il principio guida dovrebbe essere sempre l’ALARA (As Low As Reasonably Achievable – Basso Quanto Ragionevolmente Ottenibile). Usare i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), schermature e seguire le buone pratiche è fondamentale. La formazione sulla radioprotezione è parte integrante del nostro percorso, almeno sulla carta. Ma la pratica quotidiana corrisponde alla teoria?

Lo Specchio Britannico: Cosa Ci Dice lo Studio?

Lo studio UK ha coinvolto 112 professionisti della RI: specializzandi, fellow, consulenti (la maggioranza, 62%), infermieri e tecnici di radiologia. La maggior parte (58%) aveva più di 10 anni di esperienza nel campo. Ebbene, i dati raccolti sono piuttosto eloquenti e, a tratti, preoccupanti.

Un dato che salta subito all’occhio è la percezione della sicurezza: quasi il 40% degli intervistati non si sente adeguatamente protetto dalle radiazioni. Ancora più allarmante, circa il 70% ha dichiarato di non aver ricevuto una formazione aggiornata sulla radioprotezione. Questo è un campanello d’allarme enorme! Se chi lavora quotidianamente con i raggi X non si sente sicuro o formato a dovere, come possiamo garantire l’applicazione del principio ALARA?

Non solo, quasi il 70% ha espresso preoccupazioni riguardo ai rischi legati all’esposizione alle radiazioni. È chiaro che c’è un’ansia latente, una consapevolezza del rischio che però non sembra tradursi sempre in pratiche ottimali o in un supporto adeguato da parte delle strutture.

Primo piano di occhiali protettivi al piombo appoggiati su un camice medico sterile blu in una sala di radiologia interventistica, luce controllata e focalizzata sugli occhiali, obiettivo macro 90mm, alta definizione dei dettagli del piombo e del tessuto del camice.

L’Armatura Quotidiana: DPI Tra Pratica e Lacune

Parliamo dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), la nostra “armatura” quotidiana. Lo studio mostra un uso diffuso di protezioni per tiroide (97%), torace (94%) e addome/pelvi (98%). Fin qui, tutto bene. Ma le cose cambiano quando si guarda alla protezione di occhi e testa: solo il 71% usa occhiali piombati e appena il 16% usa copricapi piombati. Questo è un punto critico, specialmente per gli occhi, molto sensibili alle radiazioni. Non a caso, il limite di dose per il cristallino è stato abbassato a 20 mSv/anno proprio per il rischio di cataratta.

Inoltre, emerge un problema non da poco: la disponibilità di DPI personalizzati. Circa la metà degli intervistati ha espresso preoccupazioni sul proprio equipaggiamento. Il 34% non ha un camice piombato personale, il 46% non ha occhiali piombati personali e il 40% non ha occhiali piombati graduati personali (se necessari). La situazione è particolarmente critica per gli specializzandi, che spesso non hanno accesso a DPI personali finanziati nonostante un impegno pesante in sala angiografica (5-7 sessioni a settimana). Indossare DPI non adatti o condivisi non è solo scomodo, ma può anche comprometterne l’efficacia protettiva.

Il Prezzo Nascosto: Quando il Lavoro Lascia il Segno

Lavorare per ore indossando pesanti camici piombati ha un costo anche fisico. Lo studio riporta dati che fanno riflettere sui problemi di salute riscontrati dal personale da quando lavora in RI:

  • Ben il 78% riporta mal di schiena o problemi posturali.
  • Il 22% soffre di artropatie al polso della mano dominante.
  • Il 20% ha notato perdita di capelli sugli stinchi (un’area spesso meno protetta).
  • L’11% ha sviluppato cataratte.
  • Percentuali minori riportano problemi alla tiroide (5.5%), melanomi o tumori della pelle (5.5%), problemi ematologici (1.8%) e un caso di cancro al seno (1.8%).

È difficile stabilire un nesso causale diretto tra questi problemi e l’esposizione alle radiazioni o l’uso dei DPI senza registri specifici, ma questi numeri sono indicativi. Molti clinici, come notano gli autori, sono restii a documentare problemi di salute o non li associano al lavoro con le radiazioni. Il peso dei camici piombati è un fattore noto per causare problemi muscoloscheletrici. Esistono nuovi sistemi di schermatura (come Rampart o Protego) che promettono di ridurre il peso e migliorare la protezione, ma hanno anche dei limiti e richiedono ulteriori studi. Un altro dato interessante: solo il 37% degli intervistati effettua un controllo oculistico annuale, nonostante il rischio noto per il cristallino.

Radiologo interventista visto di spalle che mostra segni evidenti di affaticamento alla schiena mentre indossa un pesante camice al piombo verde scuro, luce soffusa tipica di una sala operatoria che crea ombre lunghe, obiettivo 35mm, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo con le apparecchiature mediche.

Gravidanza in Sala Angiografica: Un Vuoto da Colmare

E qui arriva una nota dolente, forse la più preoccupante emersa dallo studio: il supporto alle colleghe in gravidanza. I risultati sono impietosi:

  • Il 41% non ha ricevuto una valutazione del rischio individualizzata.
  • Il 17% non ha avuto a disposizione camici o adattamenti appropriati.
  • L’82% non ha beneficiato di un monitoraggio in tempo reale durante procedure complesse.
  • Il 36% non si è vista offrire un lavoro alternativo fuori dalla sala angiografica per ridurre l’esposizione.
  • Il 41% ha riportato un supporto o un’educazione insufficienti.

Questi dati sono gravissimi. La normativa (nel Regno Unito, la IRR17) impone di minimizzare l’esposizione per le lavoratrici gestanti e per il feto (il limite per il feto è considerato 1 mSv nell’intera gravidanza, con non più di 0.5 mSv al mese), applicando il principio ALARA con ancora maggior rigore. L’assenza di valutazioni del rischio personalizzate, monitoraggio adeguato e alternative lavorative è inaccettabile e mette a rischio sia la madre che il nascituro. È fondamentale colmare queste lacune per garantire un ambiente di lavoro sicuro per tutte e tutti. Le politiche in Europa variano, ma l’obiettivo non deve essere proibire, bensì minimizzare il rischio attraverso educazione e misure adeguate.

Una dottoressa visibilmente incinta in camice medico bianco discute con tono preoccupato ma professionale con un collega in divisa blu in una sala di controllo ospedaliera luminosa, luce ambientale da ufficio, obiettivo 50mm, focus sulle espressioni facciali serie.

Monitoraggio e Consapevolezza: Sappiamo Davvero a Cosa Siamo Esposti?

Un altro aspetto critico è la consapevolezza della propria dose. Sebbene la maggior parte cambi i dosimetri mensilmente (75%), quasi il 40% ammette di aver dimenticato o ritardato il cambio negli ultimi sei mesi. Peggio ancora, il 25% degli intervistati ha dichiarato di non essere a conoscenza dei propri livelli di esposizione! Se non sappiamo quanto siamo esposti, come possiamo sapere se le misure di protezione sono efficaci? Il 2% ha riportato esposizioni superiori al limite di 20 mSv e il 14% ha superato i limiti dipartimentali locali. Questi numeri, uniti alla mancanza di consapevolezza, suggeriscono che potrebbero esserci lacune significative nel monitoraggio e nella comunicazione dei dati dosimetrici.

Cosa Portiamo a Casa? Riflessioni e Proposte

Questo studio britannico, pur con i suoi limiti (campione relativamente piccolo, possibile bias nelle risposte), è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Ci dice che, nonostante le regole e le tecnologie, c’è ancora molta strada da fare per garantire una radioprotezione davvero efficace e consapevole nella pratica quotidiana della radiologia interventistica.

Cosa possiamo fare? Credo sia fondamentale agire su più fronti:

  • Formazione continua e mirata: Non basta un esame all’inizio della carriera. Serve un aggiornamento costante, pratico, che affronti le sfide reali della sala angiografica.
  • Migliorare l’accesso a DPI adeguati e personalizzati: Ogni operatore dovrebbe avere il proprio equipaggiamento, adatto alla sua fisicità e alle sue esigenze (es. occhiali graduati). Le istituzioni devono investire in questo.
  • Supporto reale per il personale in gravidanza: Valutazioni del rischio sistematiche, monitoraggio in tempo reale, opzioni lavorative alternative devono diventare la norma, non l’eccezione.
  • Aumentare la consapevolezza e il monitoraggio: Dobbiamo conoscere i nostri livelli di dose e capire cosa significano. Serve una comunicazione trasparente e sistemi di monitoraggio efficaci.
  • Ricerca e linee guida: Servono più studi, magari coordinati a livello europeo (la CIRSE potrebbe avere un ruolo chiave), per capire le differenze tra paesi e sviluppare linee guida complete e aggiornate.
  • Un registro anonimo? L’idea di un database universale anonimo dove registrare problemi di salute nel corso della carriera potrebbe aiutarci a capire meglio i rischi a lungo termine, superando le stime storiche.

Insomma, la radiologia interventistica è un campo straordinario, ma non dobbiamo mai abbassare la guardia sui rischi invisibili che corriamo. Proteggere noi stessi significa anche proteggere la qualità delle cure che offriamo ai nostri pazienti. È ora di passare dalle dichiarazioni di principio a un impegno concreto e diffuso per una sicurezza reale in sala angiografica.

Fonte: Springer

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