Addio Dolore all’Anca? Una Nuova Speranza con PRP e Decompressione Innovativa
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un problema che affligge molte persone, magari senza che se ne rendano conto subito: la necrosi avascolare della testa del femore (ANFH o NATF, se preferite l’acronimo italiano). Detta così sembra complicatissima, ma in parole povere significa che una parte dell’osso della nostra anca, la “testa” del femore, inizia a morire perché non le arriva abbastanza sangue. Un bel guaio, perché se non si interviene, spesso l’unica soluzione è la protesi d’anca totale (THA). E credetemi, anche se le protesi moderne sono fantastiche, rimandare o evitare un intervento così invasivo, soprattutto se si è giovani, è sempre l’obiettivo.
Il Problema: Quando l’Osso Soffre in Silenzio
La NATF è subdola. Inizia senza sintomi eclatanti, ma progredisce inesorabilmente. La mancanza di sangue porta alla morte delle cellule ossee, l’osso si indebolisce e alla fine… collassa. A quel punto, il dolore diventa importante e la funzionalità dell’anca è compromessa. Si stima che senza trattamento, in circa due anni si arrivi a un peggioramento significativo. Ecco perché la ricerca si concentra su trattamenti “conservativi”, cioè che cercano di salvare l’anca naturale.
Le Soluzioni Attuali e i Loro Limiti
Una delle tecniche più usate per gli stadi iniziali è la decompressione del nucleo (core decompression). L’idea è semplice: fare dei piccoli fori nell’osso per ridurre la pressione interna e stimolare l’arrivo di nuovo sangue. Esistono diverse varianti, come la decompressione multipla (MCD), che usa piccoli aghi (i fili di Kirschner) invece di una punta grossa, riducendo il trauma e raggiungendo più aree necrotiche.
Sembra una buona idea, no? E in parte lo è. Ma c’è un “ma”. A volte, dopo la decompressione, l’osso si riassorbe più velocemente di quanto si riformi, indebolendo ulteriormente la struttura. Il rischio di collasso, anche con la decompressione, rimane intorno al 30%. Insomma, da sola potrebbe non bastare, specialmente negli stadi intermedi (ARCO II/III).
L’Idea Brillante: Potenziare la Guarigione con il PRP
Qui entra in gioco il Plasma Ricco di Piastrine, o PRP. Ne avrete sentito parlare magari per le ginocchia o per la ricrescita dei capelli. Si tratta di un concentrato delle nostre stesse piastrine, ottenuto con un semplice prelievo di sangue e una centrifuga. Perché è interessante per la NATF? Perché le piastrine sono scrigni pieni di fattori di crescita (PDGF, TGF-b, VEGF… nomi complicati, ma potenti!). Questi fattori sono come dei capomastri che dicono alle cellule cosa fare:
- Stimolano la formazione di nuovo osso (osteogenesi).
- Promuovono la creazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi).
- Riducono l’infiammazione (che gioca un ruolo nella NATF).
- Potrebbero persino proteggere le cellule ossee dai danni (ad esempio, quelli indotti dal cortisone, una causa comune di NATF).
- Aiutano a riparare la cartilagine.
- Hanno un effetto antidolorifico.
L’idea, quindi, è combinare la decompressione con l’iniezione di PRP per dare una spinta extra alla guarigione. Sembra perfetto!

Il Dilemma: Come Far Arrivare il PRP Dove Serve?
C’è ancora un piccolo intoppo. Come facciamo arrivare questo prezioso PRP proprio lì, nel cuore dell’osso malato, e farcelo rimanere? Se si usa la vecchia decompressione con un foro grande, il PRP rischia di “scappare via” con i movimenti. Se si usa la decompressione multipla (MCD) e si inietta il PRP nell’articolazione, i fattori di crescita devono attraversare la cartilagine per raggiungere l’osso… e non è detto che ci riescano in concentrazioni sufficienti. È un po’ come cercare di annaffiare le radici di una pianta versando l’acqua sulle foglie sperando che penetri.
L’Innovazione: La Decompressione “Intersecante”
Ed ecco l’idea al centro dello studio che vi racconto oggi. E se, oltre ai fori “standard” della MCD fatti lungo il collo del femore, ne facessimo altri, da una direzione diversa (dalla parte anteriore), che intersecano i primi proprio nella zona malata? Immaginate una sorta di reticolo di piccoli tunnel all’interno della testa del femore.
L’ipotesi affascinante è che questi tunnel “intersecanti” creino delle vie di comunicazione dirette. Il PRP, iniettato nell’articolazione, potrebbe così penetrare più facilmente attraverso questi nuovi pori, raggiungere l’osso spugnoso necrotico e rimanervi più a lungo, agendo in modo più efficace. Una sorta di sistema di irrigazione mirato!
Lo Studio: Mettiamo a Confronto le Tecniche
Per verificare questa ipotesi, è stato condotto uno studio retrospettivo (cioè analizzando dati di pazienti già trattati) in un centro ortopedico specializzato. Hanno preso 50 pazienti con NATF allo stadio II (quindi non troppo avanzata), tutti trattati tra gennaio e dicembre 2020.
- Gruppo A (25 pazienti): Hanno ricevuto la decompressione multipla (MCD) standard + iniezione di PRP.
- Gruppo B (25 pazienti): Hanno ricevuto la nuova tecnica di decompressione intersecante + iniezione di PRP.
Tutti i pazienti sono stati seguiti per almeno 24 mesi, valutando il dolore (con la scala VAS), la funzionalità dell’anca (con il punteggio HHS) e l’evoluzione della necrosi tramite radiografie e TC.
Cosa Abbiamo Scoperto? I Risultati Parlano Chiaro!
Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti per la nuova tecnica! Dopo 12 e 24 mesi, i pazienti del Gruppo B (quelli con la decompressione intersecante) hanno mostrato:
- Punteggi HHS significativamente più alti: Significa una migliore funzionalità dell’anca, meno limitazioni nella vita quotidiana.
- Punteggi VAS significativamente più bassi: Tradotto: meno dolore!
Entrambi i gruppi hanno avuto miglioramenti rispetto a prima dell’intervento, il che conferma che la combinazione decompressione + PRP è utile. Ma il gruppo con la tecnica intersecante ha avuto un vantaggio tangibile.
E per quanto riguarda il collasso della testa femorale? Anche qui, buone notizie (anche se con una piccola cautela statistica). Nel gruppo con decompressione intersecante, solo il 12% dei pazienti ha mostrato un peggioramento radiografico a 24 mesi, contro il 24% del gruppo con MCD standard. La differenza non era statisticamente “significativa” (forse a causa del numero non enorme di pazienti), ma la tendenza è chiara: la nuova tecnica sembra proteggere meglio dal collasso.

Perché Funziona Meglio? Il Segreto è la Penetrazione
L’ipotesi iniziale sembra quindi confermata. La decompressione intersecante, creando quei canali aggiuntivi, permette al PRP di “infiltrarsi” meglio e più a lungo nell’area necrotica. Non si disperde e non viene bloccato dalla cartilagine. Questo significa una maggiore concentrazione locale di fattori di crescita proprio dove servono, massimizzando la stimolazione della rigenerazione ossea e vascolare. È come dare il fertilizzante giusto, nel posto giusto, al momento giusto.
Certo, Qualche Limite C’è (Ma la Strada è Promettente)
Come ogni studio, anche questo ha delle limitazioni. È retrospettivo, il numero di pazienti non è enorme e il follow-up di due anni potrebbe non essere sufficiente per giudicare l’efficacia a lunghissimo termine. Inoltre, mancano dati più “fini” come quelli della Risonanza Magnetica per tutti o analisi dirette del tessuto osseo (che richiederebbero biopsie o studi su modelli animali).
Tuttavia, i risultati sono decisamente promettenti. Questa tecnica innovativa di decompressione intersecante abbinata al PRP sembra offrire un vantaggio reale per i pazienti con NATF allo stadio iniziale, migliorando la funzione, riducendo il dolore e, potenzialmente, rallentando la progressione verso il collasso e la necessità di una protesi.
In Conclusione: Una Freccia in Più al Nostro Arco
La lotta contro la necrosi della testa del femore continua, ma studi come questo ci danno nuove speranze e strumenti più efficaci. La combinazione di PRP e decompressione intersecante potrebbe rappresentare un passo avanti significativo nel trattamento conservativo di questa patologia, offrendo ai pazienti una possibilità concreta di preservare la propria anca più a lungo e con una migliore qualità di vita. Staremo a vedere gli sviluppi futuri, ma la strada intrapresa sembra davvero quella giusta!
Fonte: Springer
