Immagine concettuale del cervello umano con percorsi neurali luminosi sovrapposti a una goccia di sangue ingrandita contenente molecole proteiche stilizzate. Sfondo high-tech con grafici e dati scientifici. Obiettivo 35mm, profondità di campo, colori duotone blu e viola per un look scientifico e affascinante.

Ictus e Cervello: Proteine nel Sangue Svelano il Futuro Cognitivo?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona tantissimo e che potrebbe davvero cambiare il modo in cui affrontiamo le conseguenze di un ictus ischemico. Sapete, l’ictus non colpisce solo le persone anziane; anzi, l’incidenza prima dei 70 anni è in aumento. E chi sopravvive, specialmente se giovane, rischia di convivere per molti anni con conseguenze a volte subdole, ma pesanti. Una di queste è il declino cognitivo.

Anche quando l’ictus sembra “lieve” dal punto di vista motorio, molti pazienti sperimentano difficoltà cognitive, affaticamento, depressione. Questi problemi impattano pesantemente sulla qualità della vita, sul ritorno al lavoro, sulla partecipazione sociale. Il punto è che capiamo ancora troppo poco dei meccanismi biologici che determinano come andrà la funzione cognitiva di una persona dopo un ictus. È un mix complesso: ci sono i danni diretti dell’ictus (quanto è grande l’infarto, dove si trova), la “riserva cognitiva” che avevamo prima, altre patologie magari silenti come problemi ai piccoli vasi cerebrali o un inizio di Alzheimer… un vero groviglio!

La Caccia ai Biomarcatori: Leggere il Futuro nel Sangue?

Ed è qui che entriamo in gioco noi ricercatori. Ci siamo chiesti: e se potessimo trovare nel sangue delle “spie”, delle molecole che ci dicano qualcosa di più sul rischio di sviluppare problemi cognitivi a lungo termine dopo un ictus? Identificare dei biomarcatori proteici nel sangue sarebbe fantastico per vari motivi:

  • Potrebbero indicarci quali processi biologici sono più importanti e meritano ulteriori studi.
  • Potrebbero aiutarci a capire meglio le interazioni molecolari.
  • In futuro, potrebbero guidare interventi mirati per le persone a maggior rischio.
  • Potrebbero persino suggerire nuovi bersagli terapeutici!

Recentemente, il nostro gruppo aveva già identificato, usando una tecnologia chiamata Olink Neurology Panel, alcune proteine plasmatiche candidate come biomarcatori dell’esito neurologico generale dopo l’ictus. Altri studi hanno usato questa stessa tecnologia per cercare biomarcatori dell’Alzheimer o della funzione cognitiva nella popolazione generale. Ma, che io sappia, nessuno l’aveva ancora applicata specificamente per studiare l’esito cognitivo a lungo termine in una coorte di pazienti colpiti da ictus, soprattutto relativamente giovani. E non è detto che i biomarcatori siano gli stessi: dopo un ictus entrano in gioco processi specifici legati al danno ischemico, oltre a quelli neurodegenerativi più generali.

Lo Studio SAHLSIS: Uno Sguardo nel Tempo

Così, ci siamo messi al lavoro su un gruppo speciale di pazienti dello studio SAHLSIS (Sahlgrenska Academy Study on Ischemic Stroke). Si tratta di 205 persone che hanno avuto un ictus ischemico tra i 18 e i 69 anni, seguite per ben 7 anni. Abbiamo prelevato campioni di sangue in due momenti cruciali:

  1. Nella fase acuta (in media 4 giorni dopo l’ictus).
  2. Nella fase convalescente (3 mesi dopo l’ictus).

In questi campioni, abbiamo misurato i livelli di 91 proteine legate a processi neurologici (con il pannello Olink) e, grazie a dati precedenti dello stesso studio, abbiamo aggiunto anche i livelli di un’altra proteina importante, il Neurofilamento a catena leggera (NfL), un noto marcatore di danno assonale. In totale, 92 “indiziati”!

Dopo 7 anni, abbiamo valutato la funzione cognitiva di questi pazienti usando un test chiamato BNIS (Barrow Neurological Institute Screen for Higher Cerebral Functions), uno strumento affidabile che copre diverse aree: linguaggio, orientamento, attenzione, memoria, funzioni visuo-spaziali, affettività e consapevolezza.

Primo piano di provette di sangue etichettate in un rack all'interno di un laboratorio di ricerca medica. Sullo sfondo, sfocato, uno scienziato in camice bianco lavora con una pipetta. Illuminazione controllata e precisa, obiettivo macro 85mm, alta definizione dei dettagli sulle etichette.

Cosa Abbiamo Scoperto: Le Proteine “Parlanti”

Analizzando i dati con modelli statistici (regressione lineare), abbiamo cercato le proteine i cui livelli nel sangue (in fase acuta o a 3 mesi) fossero associati al punteggio cognitivo ottenuto 7 anni dopo. E i risultati sono stati davvero intriganti!

Nella fase acuta:
Sei proteine hanno mostrato un’associazione statisticamente significativa (con un controllo rigoroso degli errori statistici, FDR < 0.05) con l'esito cognitivo a 7 anni. Anche dopo aver tenuto conto di fattori come età, sesso, livello di istruzione e giorno del prelievo, alcune di queste (come NCAN e SIGLEC1) e altre ancora (in totale 9) rimanevano associate in modo suggestivo (p < 0.05). Addirittura, NCAN e SIGLEC1 mantenevano l'associazione anche considerando la gravità iniziale dell'ictus.

A 3 mesi dall’ictus:
Qui le cose si fanno ancora più interessanti. Ben 22 proteine mostravano un’associazione (suggestiva o significativa) con l’esito cognitivo a 7 anni! Cinque di queste erano significative anche con il controllo FDR. È emerso che alcune proteine erano “predittive” sia in fase acuta che a 3 mesi (come NCAN, BCAN, SIGLEC1, VWC2, beta-NGF), ma altre no. Ad esempio, SPOCK1 e GDF-8 (miostatina), associate in fase acuta, non lo erano più a 3 mesi. Al contrario, proteine come NfL, HAGH e NMNAT1 mostravano un’associazione solo quando misurate a 3 mesi, non in fase acuta. Un dettaglio su NfL: la sua associazione con l’esito cognitivo a 7 anni era forte a 3 mesi, ma si indeboliva molto (diventando non significativa) una volta che tenevamo conto della gravità iniziale dell’ictus. Questo suggerisce che NfL a 3 mesi rifletta principalmente l’entità del danno iniziale.

Mettere Insieme i Pezzi: Modelli Multi-Proteina

Ovviamente, è improbabile che una singola proteina racconti tutta la storia. Abbiamo quindi usato una tecnica statistica chiamata LASSO per vedere quali proteine, messe insieme, fornissero le informazioni più utili per “predire” l’esito cognitivo, al di là dei fattori clinici noti (età, sesso, istruzione, gravità ictus).

  • Dalle misurazioni in fase acuta, sono emerse 9 proteine chiave.
  • Dalle misurazioni a 3 mesi, ne sono emerse 11.

Curiosamente, analizzando le proteine misurate contestualmente al test cognitivo (cioè a 7 anni), le associazioni erano meno numerose e solo 5 proteine contribuivano ai modelli multi-proteina. Questo sembra suggerire che il periodo subito dopo l’ictus (fase acuta e convalescente) sia una finestra temporale particolarmente “informativa” per questi biomarcatori riguardo all’esito a lungo termine.

Visualizzazione astratta di reti proteiche interconnesse su uno sfondo blu scuro che simboleggia il flusso sanguigno. Alcune proteine (sfere luminose) sono evidenziate e collegate a un'icona stilizzata del cervello. Effetto profondità di campo, colori duotone blu e giallo.

Le Diverse “Voci” Biologiche nel Sangue

La cosa forse più affascinante è che le proteine identificate sembrano appartenere a diverse “famiglie” biologiche e probabilmente riflettono processi differenti che influenzano la cognizione post-ictus. Abbiamo trovato:

  • Proteoglicani della matrice extracellulare cerebrale: Come NCAN, BCAN, GPC5, SPOCK1, importanti per la struttura e la plasticità del cervello.
  • Enzimi metabolici: HAGH e NMNAT1, coinvolti nella protezione dallo stress ossidativo e importanti nei processi di neurodegenerazione e invecchiamento. NMNAT1 ha mostrato effetti protettivi in modelli sperimentali di ictus.
  • Proteine immunitarie/di membrana: SIGLEC1, CLEC10A, CD200R1, proteine espresse su cellule immunitarie (anche la microglia nel cervello) e associate a processi infiammatori e neurodegenerativi come l’Alzheimer o i danni alla sostanza bianca.
  • Recettori e fattori di crescita: GFR-alpha-1 (recettore per fattori neurotrofici), beta-NGF (fattore di crescita nervoso), VWC2 (un antagonista di proteine importanti per lo sviluppo), SKR3 (recettore coinvolto nella formazione di vasi sanguigni). Alcune di queste sono state collegate al rischio di demenza o alla salute cardiovascolare.
  • Marcatori di danno assonale: NfL, come già discusso.
  • Altre proteine: Come la miostatina (GDF-8) o la contactina-5 (CNTN5).

È come se il sangue, in quella fase critica dopo l’ictus, ci stesse raccontando diverse storie contemporaneamente: storie di danno, di infiammazione, di tentativi di riparazione, di processi metabolici alterati, di neurodegenerazione preesistente o accelerata. Alcune di queste storie sembrano più legate all’evento acuto dell’ictus (le proteine associate solo all’inizio), altre forse a processi più cronici.

Punti di Forza e Limiti (Siamo Scienziati, Dobbiamo Essere Onesti!)

Questo studio ha dei punti di forza: abbiamo seguito i pazienti per molto tempo, i dati clinici sono dettagliati, abbiamo usato test cognitivi validati e una tecnologia avanzata per misurare tante proteine insieme. Ma ci sono anche limiti: è uno studio esplorativo, i risultati vanno confermati in altre coorti di pazienti (magari più anziani o con ictus più gravi). Non avevamo dati sulla funzione cognitiva *prima* dell’ictus, quindi non possiamo distinguere perfettamente il declino causato dall’ictus da quello che sarebbe avvenuto comunque. Inoltre, misuriamo le proteine nel sangue, che non sempre riflette esattamente cosa succede nel cervello.

Verso il Futuro: Cosa Ci Aspetta?

Nonostante i limiti, pensiamo che questi risultati siano un passo avanti importante. Abbiamo identificato un gruppo di nuove proteine candidate come biomarcatori dell’esito cognitivo a lungo termine dopo un ictus ischemico. Queste proteine sembrano riflettere una varietà di processi biologici. Ora la palla passa ad altri studi per confermare questi risultati, per capire più a fondo i meccanismi (magari combinando questi dati con quelli di neuroimmagine) e, speriamo, per tradurre un giorno queste scoperte in strumenti utili per i pazienti. La strada è ancora lunga, ma aver trovato questi “indizi” nel sangue ci dà una grande carica per continuare a cercare!

Fonte: Springer

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