Addio Siero Fetale Bovino? Le Proteine da un’Alga Estremofila Rivoluzionano la Coltura Cellulare!
Amici scienziati e curiosi di scoperte che potrebbero cambiarci la vita, oggi voglio parlarvi di qualcosa che bolle in pentola nei laboratori di ricerca e che potrebbe davvero fare la differenza, soprattutto per chi lavora con le colture cellulari. E credetemi, sono tantissimi! Dalla ricerca di base, allo sviluppo di farmaci, fino alla produzione di carne coltivata, le cellule in piastra sono diventate protagoniste indiscusse.
Per far crescere queste piccole dive, le cellule di mammifero, c’è bisogno di un “cibo” speciale, un cocktail di nutrienti e fattori di crescita. Per decenni, il re indiscusso di questo banchetto è stato il Siero Fetale Bovino (FBS). Ricco di proteine native, ormoni e altre molecole magiche, l’FBS è stato l’ingrediente segreto per far proliferare le cellule e mantenerle felici. Ma, come in tutte le storie che si rispettino, anche il nostro re ha i suoi lati oscuri.
I “Ma” del Siero Fetale Bovino: Un Re Sotto Accusa
Innanzitutto, diciamocelo chiaramente: l’FBS si ottiene in condizioni che sollevano non poche preoccupazioni etiche. E non è tutto. La sua qualità può variare enormemente da un lotto all’altro, un incubo per chi cerca risultati riproducibili. Aggiungeteci il rischio di contaminazioni da virus o micoplasmi, che possono mandare all’aria esperimenti costosi e delicati. E come se non bastasse, il prezzo dell’FBS è schizzato alle stelle negli ultimi anni, arrivando a costare tra i 1000 e i 2000 dollari al litro! Insomma, un bel grattacapo.
Per questo, da tempo la comunità scientifica è alla disperata ricerca di un’alternativa valida: un terreno di coltura definito, senza siero, che garantisca stabilità, riproducibilità e, perché no, un occhio di riguardo all’etica e al portafoglio. Ci sono stati vari tentativi, da lisati piastrinici umani a fluidi celomatici di lombrichi (sì, avete letto bene!), fino alla sericina dalla seta grezza. Anche estratti vegetali sono stati testati, ma finora con scarso successo nel replicare l’efficacia dell’FBS.
L’Alba delle Microalghe: Una Speranza Verde (o Rossa!)
E qui entrano in gioco le mie piccole eroine: le microalghe! Questi organismi unicellulari sono dei veri e propri campioni di produttività. Possono crescere in acqua di mare, utilizzare nutrienti da acque reflue e, cosa importantissima, producono un sacco di proteine digeribili. Già utilizzate per biocarburanti, cosmetici e integratori alimentari, le microalghe potrebbero essere la chiave di volta anche per le colture cellulari.
L’idea di usare estratti algali non è nuovissima, ma recenti studi hanno iniziato a mostrare risultati davvero promettenti. Estratti acquosi di Chlorella vulgaris, ad esempio, hanno dimostrato di stimolare la crescita cellulare, e si è riusciti a ridurre la quantità di FBS necessaria. Anche altre alghe come Auxenochlorella pyrenoidosa e Chlorococcum littorale hanno dato segnali incoraggianti, arrivando in alcuni casi a sostituire completamente l’FBS per certe linee cellulari. Il problema? Spesso la composizione esatta di questi estratti “miracolosi” rimane un mistero, e questo non va bene se vogliamo un sostituto del siero standardizzato e affidabile.
Ed è qui che la nostra storia prende una piega interessante. Immaginate un’alga che non solo è ricca di proteine, ma che ama anche le condizioni estreme: temperature elevate (35-45°C) e pH molto acido (1-2.5). Sto parlando di Galdieria sulphuraria, un’alga rossa termoacidofila. Queste sue preferenze “estreme” sono un vantaggio enorme: riducono il rischio di contaminazioni durante la coltivazione e abbassano i costi di raffreddamento nei fotobioreattori. In più, G. sulphuraria è scalabile per la produzione industriale e sta già facendo parlare di sé come nuovo ingrediente alimentare.

L’obiettivo che ci siamo posti (e quando dico “ci” intendo il team di ricercatori protagonisti di questo studio) è stato quello di produrre estratti proteici nativi, standardizzati e altamente concentrati da G. sulphuraria, per vedere se potevano davvero rimpiazzare l’odiato (ma finora indispensabile) FBS nelle colture di cellule di mammifero.
La Nostra Missione: Dalle Alghe alle Cellule
Per prima cosa, abbiamo coltivato la nostra G. sulphuraria (un ceppo specifico, lo 074G) in modalità mixotrofica, cioè fornendole sia luce che una fonte di carbonio organico (glucosio), per massimizzare la resa di biomassa. Abbiamo usato un fotobioreattore, una specie di acquario high-tech, e monitorato attentamente la crescita. Un piccolo trucco: abbiamo scoperto che raccogliere le alghe durante la fase di crescita esponenziale tardiva o lineare, invece che a densità cellulari altissime, ci dava una maggior quantità di proteine solubili. Sembra che le colture più “vecchie” producano più polimeri che intrappolano le proteine, rendendole meno accessibili.
Poi, la parte “spacca-tutto”: la lisi cellulare. La parete cellulare di Galdieria è bella tosta! Abbiamo ottimizzato il processo usando un “bead mill” (un aggeggio che usa delle sferette per rompere le cellule) e abbiamo scoperto che sferette di vetro di dimensioni specifiche (0.25-0.5 mm) e l’uso di biomassa scongelata davano i risultati migliori, con circa il 90% delle cellule lisate. Nonostante questo, una parte delle proteine rimaneva insolubile, ma con una tecnica di estrazione a cascata siamo riusciti a recuperare una buona quantità di quelle solubili.
Una volta ottenuto l’estratto grezzo, abbiamo purificato le proteine native tramite precipitazione con solfato d’ammonio e successiva desalinizzazione. Alcuni campioni li abbiamo anche trattati termicamente (una sorta di pastorizzazione leggera a 70°C per 20 minuti), un po’ come si fa a volte con l’FBS per inattivare certe proteine del sistema immunitario. Per essere sicuri che le nostre proteine fossero ancora “native”, cioè nella loro forma attiva naturale, abbiamo misurato l’attività di due enzimi cellulari tipici, la piruvato chinasi (PK) e la fosfoenolpiruvato carbossilasi (PEPC). Ebbene sì, erano ancora belle attive!
Il Momento della Verità: Le Cellule CHO Apprezzeranno?
E siamo arrivati al dunque: testare i nostri estratti algali su cellule di mammifero. Abbiamo scelto le cellule CHO (Chinese Hamster Ovary), cavalli di battaglia nella produzione di proteine terapeutiche. Le abbiamo coltivate in un terreno privo di siero, aggiungendo i nostri estratti di Galdieria (grezzi, purificati, trattati termicamente o meno) in concentrazioni del 5% e del 10%, e abbiamo confrontato la loro crescita con quella di cellule coltivate con il classico 5% o 10% di FBS.
I risultati? Davvero incoraggianti, anche se con qualche sorpresa! Inizialmente, con estratti da un primo lotto di alghe, abbiamo visto che le cellule CHO crescevano benissimo, soprattutto con gli estratti trattati termicamente (sia quelli grezzi, HIE, che quelli purificati, HIASE). La loro proliferazione era paragonabile a quella ottenuta con l’FBS! Gli estratti nativi non trattati termicamente, invece, non sembravano stimolare la crescita. Curiosamente, aggiungere un po’ di FBS (5%) agli estratti nativi ne potenziava l’effetto, mentre con quelli trattati termicamente l’effetto era meno marcato o addirittura leggermente ridotto.

Per essere sicuri che non fosse un colpo di fortuna, abbiamo ripetuto tutto il processo con tre lotti di coltivazione di Galdieria indipendenti, generando quattro estratti diversi da ciascun lotto. E qui abbiamo notato una certa variabilità. Non tutti i lotti si comportavano allo stesso modo, anche se la tendenza generale confermava che il trattamento termico degli estratti era benefico, se non necessario, per la proliferazione cellulare. Ad esempio, con il 10% di HIE e HIASE del primo lotto, la crescita era significativamente aumentata, mentre con il 10% degli estratti non trattati non c’era quasi effetto.
Una cosa da considerare è che la concentrazione proteica nei nostri estratti di Galdieria era dalle 5 alle 10 volte inferiore rispetto a quella dell’FBS. Nonostante ciò, anche con quantità di proteine algali relativamente basse (da 8 a 58 µg a seconda dell’estratto e della concentrazione usata), la proliferazione delle cellule CHO era significativamente più alta rispetto ai controlli senza FBS, anche se in media circa due volte inferiore rispetto ai controlli con FBS. Questo ci fa pensare: la ridotta proliferazione è dovuta solo alla minor quantità di proteine, o forse gli estratti di Galdieria non sostituiscono completamente tutti i fattori presenti nell’FBS e magari serve qualche “aggiustamento” al terreno di coltura?
Cosa Ci Dice Tutto Questo e Dove Andiamo?
Beh, per prima cosa, abbiamo dimostrato che è possibile produrre estratti proteici nativi da biomassa umida di Galdieria sulphuraria 074G che, dopo trattamento termico, supportano la crescita di cellule CHO in assenza di siero. E questa è una gran bella notizia! È la prima volta, a quanto ne sappiamo, che si valuta così approfonditamente il potenziale di questa alga come sostituto dell’FBS, usando estrazioni multiple da lotti di coltivazione diversi.
Certo, c’è ancora lavoro da fare. La variabilità tra i lotti suggerisce che la composizione delle proteine e dei peptidi negli estratti non è sempre identica. Identificare esattamente quali molecole sono le “superstar” della crescita cellulare è il prossimo passo cruciale. Forse, acclimatare le cellule CHO agli estratti di Galdieria prima dei test potrebbe migliorare ulteriormente i risultati. Altri studi con altre alghe hanno mostrato che l’aggiunta di specifici fattori di crescita o piccole quantità di FBS agli estratti algali può potenziare significativamente la crescita. E la ficocianina C, una proteina presente nei nostri estratti, è già nota per i suoi effetti positivi sul ciclo cellulare.
L’industria della carne e del pesce coltivati è affamata di terreni di coltura senza siero per ridurre i costi e superare le preoccupazioni etiche e normative legate all’FBS. Pensate che attualmente i terreni senza siero rappresentano circa il 50% dei costi operativi variabili nella produzione di carne coltivata, e i fattori di crescita e le proteine ricombinanti sono i principali responsabili di questi costi. Le microalghe, e in particolare Galdieria con la sua crescita in condizioni estreme e il suo contenuto di ficocianina, potrebbero offrire un’alternativa molto più economica e sostenibile.

La strada è ancora lunga, ma promettente. Migliorare i metodi di estrazione da colture di Galdieria ad alta densità e testare la fattibilità a lungo termine della crescita cellulare con questi estratti sono i prossimi obiettivi. Ma una cosa è certa: il piccolo grande mondo delle microalghe ha ancora tantissimo da offrirci, e potremmo essere solo all’inizio di una rivoluzione verde (o rossa, nel caso di Galdieria!) nel campo delle biotecnologie.
Fonte: Springer
