Immagine fotorealistica di un gruppo diversificato di ricercatori (uomini e donne, diverse etnie) che collaborano attorno a un tavolo con laptop e documenti scientifici, in un ambiente moderno e luminoso. Obiettivo 24mm, profondità di campo, luce naturale.

Global Bridges: Costruire Ponti Internazionali per Giovani Ricercatori nelle Scienze Sanitarie

Partire con una carriera nella ricerca scientifica, specialmente nel campo vasto e vitale delle scienze sanitarie, è un’avventura entusiasmante, ma diciamocelo, anche piena di sfide. Trovare la propria strada, costruire una rete di contatti solida, ottenere finanziamenti… è un percorso a ostacoli! Ecco perché iniziative come il mentoring e il supporto tra colleghi sono fondamentali, soprattutto per chi è all’inizio, i cosiddetti early-career researchers.

Immaginate di avere l’opportunità non solo di ricevere consigli preziosi da ricercatori più esperti, ma anche di farlo in un contesto internazionale, aprendo le porte a collaborazioni che possono davvero dare una svolta alla vostra carriera. Sembra un sogno? Eppure, è proprio quello che il programma Global Bridges, nato in Svezia grazie a una collaborazione tra il Karolinska Institutet (KI) e l’Università di Umeå, ha cercato di fare.

Cos’è Esattamente il Global Bridges?

Nato nel 2008 grazie a fondi governativi svedesi destinati a creare ambienti di ricerca di eccellenza (il progetto SFO-V, Strategic Research Area Health Care Science), il Global Bridges è stato sviluppato al Karolinska Institutet con un obiettivo ambizioso: supportare i giovani ricercatori nel campo delle scienze sanitarie. Come? Offrendo loro la possibilità di invitare uno studioso internazionale di spicco a Stoccolma per una settimana intensiva.

Pensateci: una settimana fitta di seminari, sessioni di mentoring individuale, workshop e visite cliniche. Un’occasione unica per:

  • Stabilire nuovi contatti internazionali.
  • Condividere esperienze di carriera (successi e… inevitabili scivoloni!).
  • Esplorare potenziali collaborazioni future.
  • Ricevere mentoring personalizzato.

Il bello è che non doveva esserci una collaborazione preesistente tra il giovane ricercatore e lo studioso invitato. L’idea era proprio quella di creare connessioni nuove di zecca. I partecipanti? Ricercatori con un dottorato conseguito da non più di 7 anni, attivi nelle scienze sanitarie presso KI o Umeå.

Tra il 2013 e il 2022, il programma si è svolto sei volte, coinvolgendo 48 giovani ricercatori (con una netta prevalenza femminile, il 94%!) e 37 studiosi internazionali (anche qui, maggioranza donne al 68%) provenienti da tutto il mondo: Africa, Asia, Australia, Europa e Nord America. Un vero crocevia globale di menti brillanti!

Mappa del mondo stilizzata con puntine luminose che collegano Stoccolma a diverse città in Australia, Canada, USA, Europa e Asia. Fotografia grandangolare, 10mm, messa a fuoco nitida, effetto 'connessioni globali'.

L’Esperienza Vissuta: Cosa Dicono i Partecipanti?

Ma questo programma ha davvero raggiunto i suoi obiettivi? Per capirlo, è stata condotta una valutazione approfondita, utilizzando un mix di metodi: sondaggi online inviati a tutti i partecipanti (con tassi di risposta altissimi, 71% per i junior e 83% per gli scholar!) e un’analisi bibliometrica per tracciare le pubblicazioni nate da queste connessioni.

I risultati parlano chiaro: il Global Bridges è stato altamente apprezzato da entrambi i lati della “cattedra”. I giovani ricercatori hanno sentito un forte incoraggiamento per la loro carriera, ricevendo consigli preziosi sia generali che specifici sulla ricerca. Gli studiosi invitati si sono sentiti rigenerati e ispirati a continuare (o iniziare) a fare da mentori. Un vero win-win!

Uno degli aspetti più potenti emersi è stato quello delle “Opportunità di apprendimento”. Il format del programma, con mentoring uno-a-uno e momenti di confronto collettivo, ha permesso a tutti di imparare, indipendentemente dalla fase della carriera. Sentire le storie personali degli studiosi senior – le loro scelte, le sfide nel bilanciare lavoro e vita privata, i successi e gli errori – è stato incredibilmente ispirante. Ha mostrato che non esiste un’unica strada “giusta” per avere successo nella ricerca e che essere fedeli a sé stessi e alla propria passione è cruciale, pur necessitando di un ambiente supportivo.

Qualcuno ha detto: “Ho apprezzato molto sentire l’unicità del percorso accademico di ogni studioso invitato. Questo ha riaffermato che non c’è un ‘modo giusto’ per avere successo e mi ha rassicurato sul fatto che a volte prendere una strada meno battuta non è intrinsecamente più rischioso e può anzi essere più appagante personalmente.” (IS-25)

Il mentoring individuale è stato identificato come l’attività più preziosa. Ha fornito non solo consigli pratici, ma anche uno spazio per riflettere sui propri obiettivi, sulle possibilità e sugli ostacoli, aiutando a costruire quella che viene chiamata “resilienza accademica”. Interessante notare come osservare l’approccio al lavoro (e alla vita) del proprio mentore abbia offerto spunti sia su cosa emulare, sia, a volte, su cosa evitare per trovare un equilibrio personale migliore.

Ritratto fotografico di una ricercatrice senior (donna, sui 50 anni, sorridente) e una junior (donna, sui 30 anni, attenta) che discutono sedute a un tavolo in un ufficio accademico luminoso. Obiettivo 35mm, profondità di campo, duotone blu e grigio per un'atmosfera calma e professionale.

Un Ponte per Collaborare: Le Partnership Nate

Il programma si è rivelato un vero e proprio “Trampolino di lancio per la collaborazione”. I numeri sono interessanti:

  • Il 35% dei giovani ricercatori ha collaborato a una richiesta di finanziamento con il proprio scholar.
  • Il 21% ha lavorato insieme alla revisione di un manoscritto.
  • Il 44% ha collaborato alla stesura di un manoscritto (alcuni già pubblicati, altri in preparazione).
  • Il 47% ha avviato un nuovo studio insieme.
  • Il 24% ha collaborato a un abstract per conferenze.
  • Quasi la metà (47%) dei junior ha pianificato o completato una visita all’università del proprio scholar, grazie anche a borse di viaggio introdotte nel programma.

L’analisi bibliometrica ha identificato 17 pubblicazioni congiunte tra le coppie mentore-mentee del programma. Potrebbe sembrare un numero modesto su 1260 pubblicazioni totali dei junior analizzate, ma bisogna considerare che questa analisi non cattura collaborazioni “indirette” (ad esempio, con altri ricercatori conosciuti tramite lo scholar) e che molte collaborazioni richiedono tempo per maturare e portare a pubblicazioni.

Le storie di successo ci sono state: “Global Bridges ha dato il via a una stretta collaborazione con il mio scholar invitato, sfociata in una visita postdoc di 3 mesi presso la sua istituzione. Durante questa visita ho avuto l’opportunità di iniziare a fare networking e collaborazioni con altri ricercatori internazionali… Questi contatti sono stati molto utili.” (JR-15)

Tuttavia, non tutte le storie hanno avuto un lieto fine collaborativo. Mantenere i contatti e far decollare progetti a distanza può essere difficile. Vincoli di tempo e risorse, barriere istituzionali, divergenze negli interessi di ricerca o eventi della vita (congedi parentali, pensionamenti) hanno talvolta ostacolato il proseguimento della collaborazione, portando anche a una certa delusione in alcuni casi.

Fotografia macro di due mani, una più matura e una più giovane, che si stringono sopra documenti scientifici e grafici sparsi su un tavolo di legno scuro. Illuminazione controllata, alta definizione, obiettivo macro 100mm, focus preciso sulla stretta di mano.

Spazio per Migliorare: Richiesta di Maggiore Struttura

Nonostante l’entusiasmo generale, è emersa una chiara richiesta: più struttura. Sia i giovani ricercatori che gli studiosi invitati hanno suggerito una maggiore chiarezza sugli obiettivi specifici del programma e sulle aspettative reciproche fin dall’inizio. Cosa ci si aspetta esattamente dalla settimana insieme? Guida alla carriera? Avvio di una collaborazione concreta? Entrambe?

Definire meglio questi aspetti potrebbe aiutare a selezionare lo scholar più adatto e ad allineare le aspettative. Inoltre, è stata sentita la necessità di un piano più formalizzato per il follow-up. “Penso che potrebbe esserci un qualche tipo di follow-up formalizzato dopo la visita… per aiutare a costruire e mantenere la relazione.” (IS-1)

Gli organizzatori hanno già recepito alcuni feedback nel tempo, ad esempio introducendo le borse di viaggio per le visite reciproche. Ma forse, come suggerisce la valutazione, il Global Bridges potrebbe evolversi da un programma intensivo di una settimana a un’iniziativa più continuativa, che supporti le coppie mentore-mentee nelle diverse fasi della loro relazione professionale.

Perché Programmi Come Questo Sono Importanti?

Questa valutazione ci mostra quanto siano preziose iniziative come il Global Bridges. Offrono ai giovani ricercatori, spesso “costretti” a cercare esperienze all’estero per arricchire il CV, un modo alternativo per costruire reti internazionali senza doversi necessariamente trasferire, cosa non sempre fattibile per motivi personali.

Il programma ha facilitato connessioni indipendenti dal gruppo di ricerca di appartenenza, un passo cruciale per la crescita accademica individuale. E i benefici, come abbiamo visto, non sono stati solo per i junior, ma anche per gli scholar invitati.

Un ultimo aspetto interessante è la forte partecipazione femminile. Il 94% dei giovani ricercatori erano donne, una percentuale significativamente più alta della media nel dipartimento di riferimento al KI. Sappiamo che le donne in accademia affrontano sfide specifiche e tendono ad avere meno accesso a reti strategiche rispetto ai colleghi uomini. Anche se non era un obiettivo esplicito, sembra che il Global Bridges abbia risposto a un bisogno importante in questo senso.

In conclusione, il Global Bridges si è dimostrato un’iniziativa di successo, capace di fornire mentoring prezioso e di gettare le basi per collaborazioni internazionali nelle scienze sanitarie. Certo, c’è margine per affinare la struttura e supportare meglio la sostenibilità a lungo termine delle partnership. Ma l’esperienza dimostra che costruire “ponti globali” è un investimento che ripaga, per i singoli ricercatori e per il progresso della scienza stessa.

Fonte: Springer

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