Fotografia realistica in stile reportage: una professionista sanitaria sorridente (donna, circa 40 anni, camice bianco) mostra un tablet con un'interfaccia web colorata e accessibile (il decision aid BESTa) a una paziente anziana (donna, circa 70 anni) seduta di fronte a lei in un ambulatorio medico luminoso e accogliente. Obiettivo 50mm, profondità di campo media che mantiene entrambi i soggetti a fuoco.

Decidere al Meglio: Vi Racconto il Progetto BESTa per lo Screening Oncologico in Svezia

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta molto a cuore: come prendiamo le decisioni importanti sulla nostra salute, specialmente quando si tratta di prevenzione come lo screening oncologico. Sapete, scegliere se partecipare o meno a un programma di screening non è sempre facile. Ci sono pro, contro, informazioni a volte complesse e, diciamocelo, anche un po’ di ansia legata all’argomento “cancro”.

Proprio per aiutare le persone in questa scelta, in Svezia è nato un progetto affascinante chiamato BESTa (che sta per “Making the BEST Decision”, ovvero “Prendere la Decisione MIGLIORE”). L’idea è semplice ma potente: sviluppare un aiuto decisionale digitale (in inglese lo chiamano “digital decision aid” o DA) per chi viene invitato a fare screening per il cancro, iniziando da quello del colon-retto (CRC).

Perché un aiuto digitale?

Vi chiederete: ma non basta l’invito che arriva a casa? Beh, non sempre. Un aiuto decisionale digitale ha dei vantaggi enormi:

  • Raccoglie tutte le informazioni importanti e bilanciate in un unico posto. Niente più ricerche affannose su mille siti diversi!
  • Aiuta le persone a fare chiarezza sulle proprie conoscenze, ma anche sui propri valori e preferenze. Cosa è davvero importante per me?
  • Facilita il dialogo con i medici o gli infermieri, promuovendo quella che viene chiamata decisione condivisa (Shared Decision-Making, SDM).
  • Punta a essere il più inclusivo possibile. Sappiamo che purtroppo ci sono disparità: persone con background socioeconomico svantaggiato, minoranze etniche o persone con limitazioni funzionali partecipano meno agli screening. Vogliamo che questo strumento sia utile davvero a tutti, per un sistema sanitario più equo.

L’obiettivo non è convincere a fare lo screening a tutti i costi, ma informare, educare e aumentare la consapevolezza, permettendo a ciascuno di fare una scelta informata e in linea con ciò che ritiene giusto per sé.

Come lo stiamo costruendo? Un passo alla volta, insieme alle persone

Sviluppare uno strumento del genere è un lavoraccio, non lo nego. Per questo ci siamo basati su un quadro scientifico internazionale (l’IPDAS framework) e su un modello che prevede diverse fasi, coinvolgendo le persone – i futuri utenti – fin dall’inizio. È fondamentale!

Abbiamo iniziato con due fasi principali, che sono l’oggetto di questo racconto: la fase di design e la fase alpha.

La Fase di Design: Carta, penna e tante chiacchiere

Nella prima fase, abbiamo creato una versione “cartacea” del nostro aiuto decisionale. Immaginatevi un fascicolo di una trentina di pagine, con testi, immagini (alcune realistiche, altre più astratte) e questionari su vari aspetti: conoscenze, valori, stile di vita, ecc.

Poi abbiamo reclutato un gruppo eterogeneo di persone: uomini e donne nell’età target per lo screening del colon-retto (60-74 anni in Svezia), ma anche persone con diverse limitazioni funzionali (visive, uditive, cognitive), persone di origine straniera (tramite informatori sanitari che lavorano con immigrati) ed esperti. Abbiamo cercato di raggiungere più persone possibili, anche usando il passaparola (“snowball method”).

Con ciascuno di loro abbiamo fatto un’intervista individuale (molte online, alcune di persona), usando la tecnica del “think-aloud“. In pratica, chiedevamo loro di leggere il materiale e di esprimere ad alta voce ogni pensiero, commento, dubbio o suggerimento che veniva loro in mente. “Questa frase è chiara?”, “Questa immagine ti dice qualcosa?”, “Cosa manca qui?”. È stato incredibilmente utile!

Fotografia realistica di un gruppo eterogeneo di persone (uomini e donne, età diverse, etnie diverse) che discutono sedute attorno a un tavolo rotondo, esaminando dei fogli di carta che rappresentano la versione iniziale del decision aid. Luce naturale da una finestra laterale, obiettivo 35mm, profondità di campo che mantiene a fuoco il gruppo e sfoca leggermente lo sfondo di un ufficio moderno.

Cosa abbiamo imparato dalla carta?

È venuto fuori un sacco di roba interessante! In generale, l’idea dell’aiuto decisionale è piaciuta molto. Molti hanno trovato le informazioni utili, chiare e ben scritte. Però, sono emerse anche delle criticità:

  • Linguaggio: Alcune parole come “screening”, “polipo” o persino “aiuto decisionale” erano difficili da capire per alcuni. C’era bisogno di un linguaggio più semplice e diretto.
  • Quantità di testo: Per alcuni, c’era troppa roba da leggere.
  • Emozioni: Parlare di cancro e screening può suscitare preoccupazione o ansia. Alcuni erano spaventati all’idea di fare il test delle feci (considerato imbarazzante) o dalla possibile colonscopia successiva. Allo stesso tempo, leggere che un polipo non diventa cancro da un giorno all’altro dava sollievo.
  • Accessibilità: Sono emerse esigenze specifiche per persone con disabilità visive (es. evitare testo sottolineato, usare grassetto, attenzione ai colori) o per chi usa la sintesi vocale.
  • Barriere culturali e sociali: Gli informatori sanitari hanno sottolineato come in alcune culture la decisione sulla partecipazione della donna spetti al marito, o come il concetto di sanità preventiva sia poco conosciuto. Per persone con limitazioni, le barriere potevano essere la difficoltà a comunicare digitalmente con i servizi sanitari, la mancanza di supporto pratico per fare il test, o problemi di privacy in piccole comunità.
  • Immagini e Questionari: Anche qui, pareri diversi. Alcune immagini funzionavano, altre meno o spaventavano. Alcune domande dei questionari erano percepite come poco chiare o sovrapposte.

Insomma, un quadro complesso che dimostra quanto sia difficile creare uno strumento che vada bene per tutti, ma anche quanto sia fondamentale ascoltare le diverse voci.

Rimbocchiamoci le maniche: le modifiche post-design

Con tutti questi feedback preziosi, ci siamo messi al lavoro per migliorare il materiale. Abbiamo semplificato frasi, eliminato parole inutili, aggiunto spiegazioni per i termini difficili (es. “aiuto decisionale” è diventato anche “strumento di supporto”).

Per affrontare l’ansia e le difficoltà pratiche, abbiamo creato dei brevi video che mostrano cosa c’è nel kit del test, come si usa e cosa succede passo passo. Abbiamo anche inserito brevi interviste a persone che avevano già fatto lo screening, per condividere la loro esperienza. E abbiamo aggiunto una sezione FAQ (Domande Frequenti) basata proprio sui dubbi emersi durante le interviste. Anche le immagini e i questionari sono stati rivisti.

Primo piano macro (obiettivo 100mm) di una mano che indica una parola difficile ('polyp') su un documento cartaceo riguardante lo screening oncologico. Illuminazione da studio controllata per evidenziare il dettaglio del testo e della carta, alta definizione, messa a fuoco precisa sulla parola.

La Fase Alpha: Si passa al digitale!

Una volta rivisto tutto, abbiamo collaborato con degli studenti di un istituto tecnico superiore (Nackademin) per trasformare il materiale cartaceo in un prototipo di sito web. Ed eccoci alla fase alpha!

Abbiamo nuovamente reclutato partecipanti, sempre con un occhio di riguardo alla diversità e alle esigenze speciali, e abbiamo ripetuto il processo del “think-aloud”, questa volta navigando insieme il prototipo del sito web. L’obiettivo era vedere se funzionava, se era facile da usare, se le modifiche fatte erano state efficaci e, soprattutto, se era accessibile digitalmente.

Ulteriori affinamenti: l’importanza dell’accessibilità

Anche questa fase ci ha dato tantissimi spunti. Abbiamo continuato a limare i testi, rendendoli più brevi, usando elenchi puntati, riformulando frasi in modo più diretto. Abbiamo rivisto la struttura del sito per renderla più logica e intuitiva.

Un focus importante è stato sull’accessibilità digitale. Grazie ai commenti dei partecipanti, abbiamo lavorato con i consulenti IT per assicurarci che il sito rispettasse le linee guida internazionali (WCAG). Questo significa fare attenzione a come il testo appare visivamente, ma anche a come viene letto dai programmi di screen reader usati dalle persone con disabilità visive. Ad esempio, abbiamo evitato frasi come “una lettera inviata al tuo indirizzo di casa”, pensando a chi una casa non ce l’ha. Piccoli dettagli che fanno una grande differenza.

Fotografia realistica di una persona con disabilità visiva che utilizza uno screen reader su un computer portatile per navigare un sito web informativo sulla salute (il prototipo BESTa). Obiettivo 50mm, luce ambientale soffusa proveniente dallo schermo, focus sui dettagli dell'interazione mano-tastiera e sull'espressione concentrata della persona.

Sfide, soddisfazioni e prossimi passi

Sviluppare un aiuto decisionale digitale è un processo complesso, iterativo. Si progetta, si testa, si modifica, si testa di nuovo… e così via. La varietà di opinioni e reazioni che abbiamo raccolto dimostra quanto sia difficile accontentare tutti, ma sottolinea anche l’importanza fondamentale di questo approccio di co-creazione con gli utenti.

È stato particolarmente gratificante riuscire a coinvolgere persone che solitamente sono poco rappresentate nella ricerca. Il loro contributo è stato preziosissimo. Certo, il reclutamento ha richiesto tempo e pazienza, ma ne è valsa assolutamente la pena.

Il nostro aiuto decisionale BESTa è ancora in fase di sviluppo. Il prossimo passo sarà la fase beta, ovvero testarlo in un contesto più realistico. E poi stiamo già progettando uno studio su larga scala per valutarne l’efficacia, l’usabilità a lungo termine e l’impatto su aspetti come le conoscenze, il conflitto decisionale e, speriamo, sulla partecipazione equa allo screening.

Credo fermamente che strumenti come BESTa, sviluppati con cura e attenzione all’inclusività, possano davvero aiutare le persone a navigare decisioni complesse come quelle legate allo screening oncologico, contribuendo a un sistema sanitario più giusto e vicino ai bisogni di tutti. Il viaggio è ancora lungo, ma siamo sulla buona strada!

Fonte: Springer

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