Immagine concettuale astratta che rappresenta la complessità del linguaggio e del pensiero umano. Onde cerebrali stilizzate si intrecciano con frammenti di testo in diverse lingue, fluttuanti su uno sfondo cosmico. Illuminazione drammatica, prime lens 35mm, depth of field, duotone blu profondo e argento.

Parole che Svelano, Parole che Curano: Il Viaggio Affascinante nel Processo Referenziale Italiano

Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio davvero affascinante, quello all’interno delle nostre parole e di come queste riflettano il nostro universo emotivo più profondo. Avete mai pensato a quanto il modo in cui parliamo, più che il contenuto stesso, possa dire di noi, della nostra capacità di connettere emozioni, pensieri e persino il nostro corpo? Beh, preparatevi, perché sto per parlarvi del Processo Referenziale (RP) e di come la ricerca italiana stia facendo passi da gigante in questo campo.

Ma cos’è questo Processo Referenziale? Un ponte tra mente e corpo

Immaginate un ponte invisibile che collega le nostre sensazioni più viscerali, quelle che a volte non sappiamo nemmeno nominare, con le parole che usiamo per raccontarci e raccontare il mondo. Questo ponte è, in buona sostanza, il Processo Referenziale. La geniale intuizione, che dobbiamo principalmente a Wilma Bucci e alla sua Teoria dei Codici Multipli (MCT), è che la nostra mente e il nostro corpo non sono due entità separate, ma un sistema integrato. La MCT ci offre un modello unificato che ci aiuta a capire come le esperienze non verbali, quelle che sentiamo “nella pancia”, possano trasformarsi in materiale comunicabile, condivisibile e, importantissimo, regolabile.

Pensateci: quando viviamo un’emozione forte, all’inizio è spesso un tumulto fisico, un’attivazione. Poi, se tutto va bene, riusciamo a darle un nome, a collegarla a un’immagine, a un ricordo, e infine a rifletterci sopra, a integrarla nella nostra storia. Questo è il cuore del RP, che si articola in fasi: Arousal (l’attivazione emotiva e corporea), Simbolizzazione (il collegamento con immagini e parole) e Riflessione/Riorganizzazione (l’elaborazione cognitiva e la creazione di nuovi significati).

Il bello è che lo stile linguistico che adottiamo, più che il contenuto esplicito, diventa una finestra privilegiata per capire quanto siamo connessi con questa esperienza interiore. E se questo processo si inceppa, magari a causa di traumi o conflitti? Ecco che possono emergere difficoltà, come la dissociazione, dove l’attivazione emotiva rimane “bloccata” nel corpo o viene razionalizzata in modo astratto, senza una vera connessione.

L’Italia in prima linea: misurare l’invisibile

E qui entra in gioco il contributo straordinario della ricerca italiana. Dalla fine degli anni ’90, grazie alla traduzione dei lavori di Bucci, si sono formati gruppi di ricerca appassionati presso le Università di Roma (Sapienza), Padova e Bergamo. Questi pionieri hanno iniziato a raccogliere materiale clinico e ad applicare la codifica manuale del Processo Referenziale alla nostra lingua. Ma la vera svolta è arrivata con lo sviluppo di misure linguistiche computerizzate.

Nel 2013, è stato pubblicato il fondamentale lavoro di validazione del Dizionario Italiano Computerizzato dell’Attività Referenziale. Questo, insieme ad altri strumenti come dizionari per la “Disfluenza” (che misura lo sforzo nel parlare, legato all’arousal), il “Senso Somatico” (riferimenti a esperienze corporee), e la Lista Italiana Ponderata di Riflessione e Riorganizzazione (IWRRL), ci permette oggi di analizzare testi – trascrizioni di sedute, scritti espressivi, sogni, memorie autobiografiche – in modo oggettivo e dettagliato.

Questi strumenti non sono magia, ma potenti lenti d’ingrandimento che ci aiutano a cogliere sfumature linguistiche indicative dei processi interni. Ad esempio, un alto uso di parole sensoriali-somatiche sembra associato a stati depressivi, mentre un linguaggio più astratto può indicare meccanismi difensivi. Affascinante, no?

Un'immagine concettuale che mostra onde sonore trasformarsi in parole scritte su un foglio, con un cervello stilizzato e un cuore sullo sfondo, a simboleggiare la connessione tra linguaggio, pensiero ed emozione. Luce soffusa, effetto bokeh. Macro lens, 85mm, high detail, controlled lighting.

Cosa abbiamo scoperto? Risultati sorprendenti dalla ricerca italiana

Negli ultimi dieci anni, questi gruppi di ricerca hanno prodotto una mole impressionante di studi, ben 22 pubblicazioni che spaziano in diversi contesti clinici e non. Vediamo alcuni dei filoni più interessanti.

Il corpo che parla: la relazione mente-corpo sotto la lente

Un’area di grande interesse è stata, naturalmente, la relazione mente-corpo. Studi condotti dal gruppo della Sapienza di Roma hanno esplorato, ad esempio, il legame tra alessitimia (la difficoltà a identificare e descrivere le proprie emozioni) e le misure del RP. È emerso che chi ha alti punteggi di alessitimia fatica a usare le esperienze corporee per accedere alle proprie emozioni. In pazienti ipertesi, si è notata un’associazione tra alessitimia e picchi di attività referenziale, suggerendo una disregolazione emotiva che oscilla tra contenimento e espressione eccessiva.

Nei pazienti con disturbi dell’umore, si è visto un uso più frequente di parole affettive negative. In particolare, i pazienti bipolari mostravano punteggi più alti nel “Senso Somatico”, indicando un uso più marcato delle esperienze corporee per esprimere le emozioni. Anche gli scritti di donne sottoposte a trattamenti di procreazione medicalmente assistita (PMA) hanno rivelato molto: quelle con bassa alessitimia mostravano maggiori livelli di attività referenziale, simbolizzazione e riflessione, un percorso di significazione che va dall’emozione al simbolo e poi alla riflessione. Al contrario, le donne con alta alessitimia mostravano difficoltà nella simbolizzazione. Più recentemente, si è visto come lo stile linguistico di donne con problemi di fertilità sia caratterizzato da maggiore intellettualizzazione e difese, influenzando il modo di narrare le proprie esperienze di vita in generale.

Linguaggio e trauma: le parole durante la pandemia COVID-19

La pandemia COVID-19, un trauma collettivo, ha offerto un terreno fertile per studiare come le persone mobilitano le proprie risorse di coping attraverso il linguaggio. Analizzando scritti espressivi raccolti durante il lockdown, i ricercatori (della Sapienza e di Bergamo) hanno trovato un alto livello di coinvolgimento emotivo e capacità di narrare le esperienze. Chi aveva vissuto l’infezione o la perdita di una persona cara mostrava maggiore attività referenziale e minore riflessione astratta, indicando una migliore elaborazione emotiva. È interessante notare come processi riflessivi e razionali fossero correlati positivamente con una minore percezione di benessere, suggerendo un bisogno di attivare processi cognitivi per spiegare il malessere e difendersi da esperienze dolorose.

Anche l’analisi dei sogni raccolti durante il lockdown è stata illuminante. Sono emersi tre gruppi di sogni, rappresentanti le tre fasi del RP: sogni con alta attivazione emotiva (incubi), sogni con alta rappresentabilità e simbolizzazione dell’esperienza pandemica (immagini claustrofobiche), e sogni focalizzati sulla rielaborazione cognitiva. Questo suggerisce che il trauma non altera i processi elaborativi del sogno, ma impatta la capacità di far fronte alla paura persistente dei sogni angoscianti.

Una persona seduta a una scrivania che scrive pensierosa su un diario, con una finestra che mostra un paesaggio esterno leggermente sfocato, evocando il periodo del lockdown. Luce naturale dalla finestra. Prime lens, 35mm, depth of field, film noir.

Dentro la stanza di terapia: migliorare l’ascolto e l’esito

Forse l’area di applicazione più consolidata e ricca è lo studio del processo terapeutico. Qui, le misure del RP si sono rivelate strumenti preziosissimi per comprendere le micro-dinamiche di singole sedute e i macro-processi dell’intero trattamento. Si è visto, ad esempio, come la sintonizzazione non verbale tra terapeuta e paziente giochi un ruolo cruciale nel promuovere l’integrazione tra pensiero formale ed emozioni.

Studi hanno mostrato che i pazienti valutati come più coinvolti emotivamente nel descrivere e riflettere sulle proprie esperienze già dalla prima seduta, ottenevano punteggi più alti nell’alleanza terapeutica. È stato anche sviluppato un questionario per i terapeuti (RPPS-T) per tracciare il processo referenziale alla fine di ogni seduta, correlandolo poi con le misure linguistiche computerizzate.

Un filone innovativo riguarda l’analisi delle note cliniche dei terapeuti. Queste note possono rappresentare un processo referenziale interno dell’analista, stimolato dal paziente. L’analisi linguistica di queste note ha permesso di identificare momenti trasformativi critici, processi di simbolizzazione e astrazione, ma anche movimenti controtransferali disfunzionali. Ad esempio, reazioni controtransferali di tipo dominante o impotente erano associate a una ridotta attività referenziale nel discorso dei pazienti. Questo conferma quanto la qualità della riflessione clinica sia fondamentale per l’esito del trattamento: elaborazioni troppo teoriche o astratte possono creare distanza nella relazione terapeutica.

Perché tutto questo è così importante? Oltre i dualismi

Questi studi, condotti in contesti diversi e su popolazioni cliniche eterogenee, ci dicono qualcosa di fondamentale: le misure linguistiche del Processo Referenziale non sono solo utili nella ricerca sulla psicoterapia, ma ci aiutano a validare la Teoria dei Codici Multipli come una metateoria capace di abbracciare l’intera espressione sintomatica, superando il dualismo mente-corpo. Non si tratta più di distinguere tra patologia somatica e mentale, ma di focalizzarsi su come i sistemi simbolici e verbali gestiscono e regolano le componenti sottosimboliche.

La disregolazione dell’attivazione emotiva, catturata nel linguaggio di pazienti ipertensivi o bipolari, sembra connettersi a un’espressione sintomatica caratterizzata da alti e bassi. Il sintomo somatico, in quest’ottica, non è qualcosa da eliminare, ma un tentativo iniziale di esprimere un disagio indicibile, un primo collegamento tra il sottosimbolico e il simbolico. L’obiettivo terapeutico diventa allora cogliere il significato evolutivo della sua emersione e costruire insieme alla persona un modo di pensare al disagio sottostante.

Essere in grado di valutare elementi del funzionamento psichico basandosi su come le persone parlano ha un potenziale enorme, non solo in psicoterapia, ma anche per arricchire le valutazioni diagnostiche categoriali con una prospettiva dimensionale. E, non da ultimo, questo approccio aiuta a superare un altro dualismo storico: quello tra psicoanalisi e ricerca. La possibilità di nuove integrazioni e dialoghi è cruciale per la crescita riflessiva degli stessi analisti.

Due persone in una stanza di consultazione luminosa e accogliente, una che parla gesticolando leggermente, l'altra che ascolta con attenzione e prende appunti. Focus sull'interazione. Zoom lens, 50mm, luce calda, profondità di campo per sfocare leggermente lo sfondo.

Insomma, come vedete, il viaggio nel Processo Referenziale è tutt’altro che concluso. I gruppi di ricerca italiani sono già al lavoro su nuovi progetti, esplorando la relazione tra strumenti proiettivi e attivazione emotiva, continuando lo studio delle narrative in contesti clinici e patologie mediche, e sviluppando nuovi studi sul processo terapeutico con modelli teorici comparativi. La strada è aperta e promette di svelarci ancora molto sui misteri del linguaggio e della psiche umana. E io, da parte mia, non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserverà il futuro!

Fonte: Springer

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