Immagine grandangolare di un'aula universitaria moderna durante una lezione di matematica, lavagna piena di formule di algebra lineare, studenti attenti, obiettivo grandangolare 18mm, messa a fuoco nitida su tutta la scena, luce ambientale brillante.

Algebra Lineare all’Università: E se Risolvere Problemi *Prima* della Lezione Fosse la Svolta?

Ah, l’algebra lineare! Per molti studenti universitari, specialmente nelle facoltà STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), rappresenta uno dei primi veri incontri con l’astrazione matematica pura. Un mondo affascinante, ma spesso percepito come ostico. Ci siamo passati un po’ tutti: lezioni frontali, formule da memorizzare, esercizi da risolvere… il classico “prima ti spiego, poi provi tu” (il cosiddetto approccio tell-and-practice o I-PS). Ma se ci fosse un modo diverso, forse più efficace?

Da un po’ di tempo, nel campo della didattica della matematica, si esplorano approcci alternativi. Uno particolarmente intrigante è il “Problem-Solving Before Instruction” (PS-I), che potremmo tradurre come “risolvere problemi prima dell’istruzione”. L’idea è semplice quanto potente: e se, invece di ricevere passivamente la spiegazione, gli studenti si cimentassero *prima* con problemi pensati apposta per far emergere le difficoltà e stimolare la curiosità verso i concetti che verranno poi spiegati?

Il Concetto di “Fallimento Produttivo”

All’interno di questa filosofia si colloca il concetto di “Productive Failure” (PF), o “fallimento produttivo”. Non spaventatevi dal termine! Non si tratta di far fallire gli studenti, ma di creare situazioni di apprendimento in cui lo sforzo iniziale per risolvere un problema nuovo, anche se non porta alla soluzione “canonica”, prepara il terreno in modo incredibilmente fertile per l’apprendimento successivo. È come preparare il terreno prima di seminare: la lezione del docente diventa il momento in cui i pezzi vanno al loro posto, in cui si “scopre” la soluzione elegante a un problema che si è già esplorato.

I principi del PF sono chiari:

  • Attivare e differenziare le conoscenze pregresse degli studenti.
  • Far emergere le caratteristiche critiche del nuovo concetto.
  • Incoraggiare la spiegazione e l’elaborazione (magari lavorando in gruppo).
  • Organizzare e assemblare le nuove conoscenze durante la fase di istruzione, confrontando le soluzioni generate dagli studenti (anche quelle “sbagliate”) con quella formale.

Studi condotti principalmente nelle scuole primarie e secondarie hanno mostrato risultati promettenti: questo approccio sembra migliorare la comprensione concettuale e la capacità di trasferire le conoscenze a nuovi contesti (transfer), più del metodo tradizionale. Per le conoscenze procedurali (il “saper fare”), i risultati sono più dibattuti, ma una recente meta-analisi suggerisce che PS-I e I-PS portano a risultati simili. Anzi, più un design PS-I aderisce ai principi del PF, maggiore sembra essere il suo effetto positivo.

Ma Funziona Anche all’Università? E con l’Algebra Lineare?

Questa era la domanda che ci frullava in testa. L’università presenta sfide uniche: aule enormi con centinaia di studenti, concetti matematici sempre più astratti e formali, un linguaggio specifico da padroneggiare. È possibile implementare un approccio PS-I/PF in questo contesto? E proprio con l’algebra lineare, nota per essere un punto di transizione difficile per molti?

L’algebra lineare, infatti, richiede un salto non indifferente: si passa da calcoli e rappresentazioni più concrete a un quadro assiomatico, formale, fatto di definizioni rigorose e dimostrazioni. Spesso gli studenti imparano le procedure (come calcolare un determinante o invertire una matrice) ma faticano a cogliere il significato profondo dei concetti (cosa sono davvero uno spazio vettoriale, l’indipendenza lineare, gli autovalori?). Alcuni ricercatori, come Harel, sostengono che per imparare davvero sia cruciale sentire il “bisogno intellettuale” di un concetto prima che venga introdotto formalmente. Ad esempio, sperimentare l’utilità dei vettori di base per descrivere qualsiasi vettore in uno spazio potrebbe far nascere il desiderio di capire cosa sia una base e quali proprietà debba avere. Il PS-I sembra fatto apposta per stimolare questo “bisogno”.

Fotografia di ritratto di uno studente universitario, circa 20 anni, con espressione pensierosa ma coinvolta, mentre lavora su esercizi di algebra lineare su un tablet in un'aula moderna e luminosa. Obiettivo 35mm, luce naturale laterale, duotone blu e grigio per un look accademico ma dinamico.

L’Esperimento: Mettere alla Prova un Nuovo Metodo

Così, abbiamo deciso di provarci. Presso un’università tecnica in Svizzera, nel corso di algebra lineare per ingegneri meccanici del primo anno, abbiamo implementato un design PS-I per quattro anni consecutivi, cercando di aderire il più possibile ai principi del PF, pur con gli adattamenti necessari al contesto universitario. Abbiamo usato un approccio di “Design-Based Research” (DBR), che significa che abbiamo raffinato l’intervento anno dopo anno basandoci sui dati raccolti.

Cosa abbiamo fatto in pratica? Per dieci concetti chiave dell’algebra lineare (identificati come particolarmente ostici analizzando gli esami degli anni precedenti), abbiamo creato degli esercizi preparatori. Questi esercizi non introducevano nuove definizioni, ma si basavano sulle conoscenze matematiche della scuola superiore o delle parti precedenti del corso. Erano pensati per far esplorare agli studenti nuovi fenomeni matematici, formulare ipotesi, usare il linguaggio che già conoscevano e, soprattutto, spiegare il loro ragionamento (“Giustifica la tua risposta”, “Spiega perché…”).

La partecipazione era volontaria, ma per ottenere un piccolo bonus sul voto finale, gli studenti dovevano consegnare le loro soluzioni *prima* della lezione corrispondente. Questo garantiva che si fossero cimentati con il problema prima di ricevere la spiegazione formale.

Nella lezione successiva, il docente (lo stesso per tutti gli anni dello studio, sia prima che durante l’intervento) non poteva ovviamente discutere le soluzioni di centinaia di studenti. Tuttavia, iniziava la lezione discutendo l’esercizio preparatorio, evidenziando le idee chiave, i possibili tranelli e le misconcezioni comuni emerse (un po’ come confrontare le soluzioni tipiche con quella canonica, come suggerito da altri studi). Questo permetteva agli studenti di confrontare il proprio lavoro, organizzare le idee e “assemblare” le conoscenze in modo più strutturato. Il resto della struttura del corso (lezioni frontali tradizionali, esercitazioni settimanali con tutor, esame finale) è rimasto sostanzialmente invariato. Abbiamo solo aggiunto questi esercizi preparatori e due test (anch’essi volontari e con bonus) a fine semestre per valutare la comprensione concettuale.

Le Sfide dell’Università: Aule Gremite e Concetti Astratti

Adattare i principi PF non è stato banale.

  • Principio 1A (Problemi sfidanti ma non frustranti, con attrattiva affettiva): Abbiamo cercato di creare esercizi stimolanti, collaborando col docente e raccogliendo feedback. Dove possibile, abbiamo usato esempi grafici o applicazioni fisiche.
  • Principio 1B (Ammettere molteplici rappresentazioni e metodi di soluzione): Qui abbiamo faticato di più. Molti esercizi, pur aperti, puntavano comunque a una risposta specifica, limitando la varietà di approcci.
  • Principio 1C (Attivare e differenziare conoscenze pregresse): Questo è stato un punto centrale nella progettazione degli esercizi.
  • Principio 1D (Opportunità di spiegazione/elaborazione, spazio sicuro): Non potevamo controllare il lavoro di gruppo, ma abbiamo incoraggiato gli studenti a “provare”, sottolineando che l’importante era l’impegno, non la correttezza iniziale.
  • Principio 2A (Costruire l’istruzione sulle soluzioni degli studenti): Impossibile direttamente con centinaia di studenti. L’abbiamo adattato con la discussione iniziale del docente.
  • Principio 2B (Confronto tra metodi di soluzione): Facilitato dalla discussione in aula e dal lavoro successivo con i tutor.

L’astrattezza dell’algebra lineare ha reso difficile usare esempi “dal mondo reale” come in altri studi PF (es. calcolare la velocità media). Abbiamo dovuto basarci di più sulle conoscenze matematiche pregresse degli studenti.

Fotografia macro di una lavagna bianca universitaria con formule complesse di algebra lineare (matrici, vettori, autovalori) scritte con pennarelli di colori diversi. Obiettivo macro 90mm, alta definizione per mostrare la texture del pennarello e le piccole imperfezioni della lavagna, illuminazione da studio controllata per evitare riflessi.

I Risultati: Cosa Abbiamo Scoperto?

Ebbene, i risultati sono stati davvero incoraggianti! Abbiamo confrontato i voti dell’esame finale delle quattro coorti che hanno partecipato all’intervento (circa 4000 studenti in totale, analizzati anonimamente) con quelli delle coorti precedenti (la nostra “baseline”).

Ecco i punti salienti:

  • Miglioramento significativo dei voti all’esame finale: In tutti e quattro gli anni dell’intervento, la media dei voti all’esame finale è stata significativamente più alta rispetto alla baseline. Gli effetti (misurati con il Cohen’s d) variavano da 0.28 a 0.59. Per darvi un’idea, un effetto di 0.59 (osservato nel secondo anno) è considerato piuttosto grande per un intervento educativo! Nel primo anno, l’aumento medio è stato di 0.42 punti (su una scala da 1 a 6), pari all’8.4%. Nel secondo anno, +0.67 punti (13.2%).
  • Meno bocciati: Coerentemente, la percentuale di studenti che hanno superato l’esame è aumentata significativamente in tutti e quattro gli anni, con un incremento tra il 10% e il 20% rispetto alla baseline.
  • La partecipazione conta: Analizzando un sottogruppo di studenti che hanno acconsentito a un’analisi più dettagliata dei loro dati, abbiamo visto che il numero di esercizi preparatori a cui avevano partecipato era un predittore significativo del loro voto all’esame finale. Le analisi suggeriscono che la partecipazione a questi esercizi poteva spiegare fino al 16% della varianza nei voti. Partecipare a un esercizio in più aumentava le probabilità di passare l’esame (significativamente nei primi tre anni).
  • Comprensione concettuale: I risultati sui test specifici di comprensione concettuale sono stati meno netti. Nei primi due anni, la partecipazione agli esercizi prediceva positivamente anche i risultati in questi test, sebbene l’effetto fosse piccolo (spiegava il 3-5% della varianza). Negli ultimi due anni, questa correlazione non è emersa o era molto debole. Questo potrebbe dipendere da vari fattori: i test erano volontari, a basso impatto sulla valutazione finale (forse gli studenti si sono impegnati meno?), o forse l’esame finale, pur misto, catturava meglio l’apprendimento complessivo.

È interessante notare il calo di performance nel terzo anno, coincidente con l’impatto più pesante della pandemia COVID-19 sulla vita universitaria (lezioni online, isolamento). La performance è poi risalita nel quarto anno, quando la situazione si è normalizzata, suggerendo che fattori esterni possono influenzare questi interventi. Anche la performance nell’altro corso di matematica del primo anno (Analisi) ha mostrato un andamento simile, supportando l’ipotesi dell’impatto pandemico.

Perché Sembra Funzionare (e i Limiti dello Studio)

Nonostante le sfide e gli adattamenti, l’approccio PS-I sembra aver dato i suoi frutti anche nel contesto complesso dell’algebra lineare universitaria. Perché? Forse perché affrontare i problemi *prima* ha davvero aiutato gli studenti a sentire quel “bisogno intellettuale” dei concetti, rendendo la successiva lezione del docente molto più significativa. Ha permesso loro di attivare ciò che già sapevano, di scontrarsi con i limiti delle loro conoscenze e di apprezzare di più la struttura formale quando veniva presentata.

Certo, il nostro studio ha dei limiti. Non avevamo un gruppo di controllo parallelo (abbiamo confrontato con gli anni precedenti). Non possiamo quindi affermare con certezza assoluta che il miglioramento sia dovuto *esclusivamente* agli esercizi preparatori o alla loro sequenza “prima della lezione”. Potrebbero esserci altri fattori in gioco. Inoltre, la correlazione tra partecipazione e performance non implica causalità: è possibile che gli studenti più motivati o già più bravi abbiano partecipato di più *e* ottenuto voti migliori (un classico effetto di autoselezione). Non abbiamo misurato variabili affettive o il background degli studenti. Il docente era a conoscenza dell’ipotesi dello studio, il che potrebbe aver influenzato (anche inconsciamente) il suo insegnamento.

Vista grandangolare di un'aula universitaria durante una pausa. Alcuni studenti discutono animatamente attorno a un tavolo con appunti e laptop aperti, altri consultano libri di testo. Lavagna sullo sfondo con formule matematiche. Obiettivo 18mm, luce ambientale mista (naturale e artificiale), messa a fuoco nitida per catturare l'atmosfera collaborativa.

Un Approccio Promettente per la Matematica Universitaria

Nonostante queste cautele, i risultati sono promettenti. Abbiamo visto che implementare un design PS-I, ispirato ai principi del PF e adattato al contesto, è fattibile in un corso universitario di matematica di grandi dimensioni. Richiede modifiche relativamente piccole alla struttura del corso e un impegno di tempo extra contenuto per gli studenti (stimato in circa 10 ore totali nell’arco dell’anno). E sembra portare a un miglioramento tangibile nei risultati degli esami.

Forse, per aiutare gli studenti a navigare le acque a volte turbolente dell’astrazione matematica universitaria, farli “tuffare” nel problema prima di fornire la mappa potrebbe essere davvero una strategia vincente. È una strada che merita sicuramente di essere esplorata ulteriormente!

Fonte: Springer

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