Immagine fotorealistica concettuale, 35mm, che mostra una visualizzazione astratta della proteina PRMT5 (struttura molecolare stilizzata) sovrapposta a cellule di cancro al colon in una piastra di Petri, con un fascio di luce che simboleggia la speranza della ricerca. Profondità di campo per mettere a fuoco la proteina, toni blu e argento duotone per un look scientifico ma intrigante.

PRMT5: La Proteina Spia che Rivela il Successo della Chemio nel Cancro al Colon?

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una scoperta intrigante che potrebbe cambiare il modo in cui affrontiamo il cancro al colon, una delle neoplasie digestive più comuni e, purtroppo, letali al mondo. Sappiamo che la chirurgia è spesso il primo passo, ma per molti pazienti, soprattutto quelli con malattia localmente avanzata, la chemioterapia adiuvante (cioè quella fatta dopo l’intervento) è fondamentale per ridurre il rischio di recidive e migliorare la sopravvivenza.

Il problema? Non tutti i pazienti rispondono alla chemio allo stesso modo. Sarebbe fantastico poter prevedere chi ne beneficerà davvero e chi, invece, subirebbe solo gli effetti collaterali senza un reale vantaggio. Ecco, la ricerca di biomarcatori predittivi è proprio la chiave per personalizzare le cure. E qui entra in gioco una proteina dal nome un po’ tecnico, ma dal ruolo potenzialmente cruciale: la PRMT5.

Cos’è questa PRMT5 e perché ci interessa?

Immaginate la PRMT5 (Protein Arginine Methyltransferase 5) come un “regista” molecolare. È un enzima che modifica altre proteine aggiungendo dei piccoli gruppi chimici (metilici) a un loro amminoacido specifico, l’arginina. Questo processo, chiamato metilazione, può alterare la funzione delle proteine bersaglio.

Nel contesto del cancro, la PRMT5 sembra giocare un ruolo da “cattivo”. È coinvolta in meccanismi fondamentali per la cellula tumorale, come la riparazione del danno al DNA (DDR). In pratica, quando la chemioterapia cerca di danneggiare il DNA delle cellule cancerose per ucciderle, la PRMT5 può aiutare queste cellule a ripararsi più efficacemente, rendendole resistenti al trattamento. Studi precedenti l’hanno già collegata a una prognosi peggiore e a una maggiore aggressività in diversi tipi di tumore, incluso il cancro del colon-retto (CRC). Addirittura, sembra promuovere la crescita e la capacità delle cellule tumorali di diffondersi (metastasi) attivando specifiche vie di segnalazione cellulare.

Lo studio: cosa abbiamo cercato e cosa abbiamo trovato

Proprio perché la PRMT5 sembra così importante per la sopravvivenza delle cellule tumorali e la loro resistenza ai trattamenti, ci siamo chiesti: l’espressione di questa proteina nei pazienti con cancro al colon può dirci qualcosa su come risponderanno alla chemioterapia dopo l’intervento chirurgico?

Per scoprirlo, abbiamo analizzato retrospettivamente campioni di tessuto tumorale e tessuto sano vicino al tumore (paratitumorale) prelevati da 199 pazienti operati per cancro al colon tra il 2006 e il 2012. Abbiamo usato una tecnica chiamata immunoistochimica (IHC), che ci permette di “colorare” la proteina PRMT5 nei tessuti e valutarne la quantità (o meglio, l’espressione).

La prima osservazione, in linea con dati precedenti (anche quelli presenti in grandi database come il TCGA), è stata che i livelli di PRMT5 erano significativamente più alti nel tessuto tumorale rispetto a quello paratumorale. Questo suggerisce che la proteina sia effettivamente legata allo sviluppo del cancro.

Tuttavia, quando abbiamo cercato di correlare i livelli di PRMT5 con le caratteristiche cliniche e patologiche dei pazienti (età, sesso, stadio del tumore, grado di differenziazione, ecc.), non abbiamo trovato associazioni significative. Sembrava che, di per sé, avere tanta o poca PRMT5 non fosse direttamente legato a quanto fosse avanzato o aggressivo il tumore al momento della diagnosi.

Immagine macro fotorealistica, 85mm, di filamenti di DNA astratti in un ambiente di laboratorio scuro, con punti luminosi che rappresentano la proteina PRMT5 interagente con essi, illuminazione controllata per massimo dettaglio, focus preciso sull'interazione molecolare.

La scoperta chiave: PRMT5 e l’esito della chemioterapia

Ed ecco il punto cruciale. Abbiamo diviso i pazienti in due gruppi: quelli che avevano ricevuto la chemioterapia adiuvante dopo l’intervento e quelli che non l’avevano ricevuta (magari perché il tumore era in uno stadio iniziale o non presentava fattori di alto rischio). E qui abbiamo notato qualcosa di molto interessante.

Nel gruppo di pazienti che aveva ricevuto la chemioterapia:

  • Quelli con alti livelli di PRMT5 nel tumore avevano una probabilità significativamente inferiore di essere liberi da malattia a 5 anni (Disease-Free Survival, DFS) rispetto a quelli con bassi livelli di PRMT5 (50% vs 67.2%).

Nel gruppo di pazienti che non aveva ricevuto la chemioterapia:

  • I livelli di PRMT5 non facevano alcuna differenza significativa sulla sopravvivenza libera da malattia a 5 anni (87.9% vs 80%).

Questo è un risultato potentissimo! Suggerisce che la PRMT5 non sia solo un marcatore prognostico generico, ma specificamente un predittore dell’esito della chemioterapia adiuvante. In altre parole, alti livelli di PRMT5 sembrano conferire resistenza al trattamento chemioterapico post-operatorio. Un’analisi statistica più complessa (analisi multivariata) ha confermato che l’espressione di PRMT5, insieme allo stadio dei linfonodi (N stage) e allo stato di instabilità dei microsatelliti (MSI), era un fattore di rischio indipendente per la sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nei pazienti trattati con chemio.

Perché succede questo e cosa significa per il futuro?

Il meccanismo più probabile, come accennavo prima, è legato al ruolo della PRMT5 nella riparazione del danno al DNA. La chemioterapia (spesso basata su farmaci come oxaliplatino e fluorouracile) funziona proprio danneggiando il DNA delle cellule tumorali in rapida crescita. Se le cellule tumorali hanno molta PRMT5, potrebbero essere più brave a riparare questi danni, sopravvivendo così al trattamento e portando a una recidiva della malattia.

Questa scoperta apre scenari affascinanti. Misurare i livelli di PRMT5 nel tumore di un paziente dopo l’intervento potrebbe aiutarci a:

  • Identificare i pazienti che potrebbero non rispondere bene alla chemioterapia standard e che forse necessitano di strategie terapeutiche diverse o più aggressive.
  • Selezionare meglio i pazienti che trarrebbero il massimo beneficio dalla chemio adiuvante, risparmiando trattamenti potenzialmente tossici e inutili a chi ha bassi livelli di PRMT5 e magari un rischio intrinseco minore.
  • Considerare la PRMT5 come un bersaglio terapeutico. Esistono già farmaci inibitori della PRMT5 in fase di sperimentazione clinica per vari tumori. I nostri risultati suggeriscono che potrebbero essere particolarmente utili nel cancro al colon, magari in combinazione con la chemioterapia tradizionale, per superare la resistenza.

Vista macro fotorealistica al microscopio, 100mm, di cellule di cancro al colon. Alcune cellule mostrano segni di danno (simbolo della chemio), mentre altre appaiono intatte e resilienti (simbolo della chemioresistenza mediata da alta PRMT5). Illuminazione da laboratorio controllata, alta definizione.

Un passo avanti, ma la strada è ancora lunga

Come in ogni ricerca, è importante essere cauti. Il nostro studio ha delle limitazioni: è stato condotto in un singolo centro, è retrospettivo (guarda dati del passato) e il numero di pazienti non è enorme. Inoltre, la significatività statistica di PRMT5 nell’analisi multivariata era al limite (P=0.094), il che significa che, sebbene promettente, il risultato necessita di conferme. Non abbiamo nemmeno fatto esperimenti funzionali per dimostrare direttamente il nesso causale tra PRMT5 e chemioresistenza in questo contesto specifico.

Serviranno quindi studi più ampi, multicentrici e magari prospettici (che seguono i pazienti nel tempo) per validare questi risultati. Sarà anche cruciale integrare l’analisi di PRMT5 con altri biomarcatori noti (come lo stato di MSI o le mutazioni di KRAS) per creare modelli predittivi ancora più accurati e personalizzare davvero le terapie.

Nonostante queste cautele, credo che questo studio aggiunga un tassello importante alla nostra comprensione del cancro al colon e della chemioresistenza. La PRMT5 si profila come un potenziale “faro nella notte”, una spia molecolare che potrebbe guidarci verso decisioni terapeutiche più informate e, speriamo, più efficaci per i pazienti. La strada verso la medicina personalizzata nel cancro al colon è ancora in salita, ma ogni scoperta come questa ci avvicina un po’ di più alla meta.

Fonte: Springer

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