Immagine fotorealistica di uno scienziato che osserva colture organotipiche di fettine di cervello al microscopio da laboratorio, obiettivo primario 35mm, profondità di campo focalizzata sul tavolino del microscopio e sulle fettine, sfondo leggermente sfocato che mostra attrezzatura da laboratorio, toni di colore neutri.

Prioni in Provetta: Perché il Cervello in Coltura Non Imita Sempre la Realtà?

Avete mai sentito parlare dei prioni? Quelle proteine un po’ “storte” che causano malattie neurodegenerative terribili e rapide, come la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) nell’uomo o la scrapie nelle pecore. Sono affascinanti e spaventose allo stesso tempo, e studiarle non è affatto semplice. Per capire come funzionano, come si replicano e come danneggiano il cervello, abbiamo bisogno di modelli sperimentali affidabili.

Certo, ci sono gli studi sugli animali, considerati il “gold standard”, ma sono lunghi, costosi e pongono questioni etiche. Poi ci sono le colture cellulari, più rapide ed economiche, ma spesso troppo semplificate rispetto alla complessità del cervello. E se ci fosse una via di mezzo?

Alla Scoperta delle Colture Organotipiche di Cervello (POSCA)

Qui entrano in gioco le colture organotipiche di cervello, che noi chiamiamo affettuosamente POSCA (Prion Organotypic Slice Culture Assay). Immaginate di poter prendere delle fettine sottilissime di cervello, mantenerle vive e funzionali in laboratorio per settimane o mesi, conservando gran parte della loro struttura tridimensionale, delle connessioni tra neuroni e dell’ambiente locale. Sembra fantastico, vero? Queste colture permettono di osservare la replicazione dei prioni e i danni che provocano in un sistema che assomiglia molto di più al cervello reale rispetto alle semplici cellule in piastra.

In passato, le POSCA si sono dimostrate utili per studiare ceppi di prioni adattati ai roditori, come quelli della scrapie (RML, ME7, 22L) o dell’encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Hanno persino mostrato una certa “fedeltà fisiologica”, replicando i prioni a velocità esponenziale e mostrando segni di neurodegenerazione. Questo le ha rese candidate interessanti anche per testare potenziali farmaci.

Ma c’era un grosso limite: nessuno era ancora riuscito a infettare queste colture con prioni umani primari. E senza questo passo, la loro rilevanza clinica restava limitata. Inoltre, molti studi usavano topi geneticamente modificati che producevano più proteina prionica normale (PrPC), non topi “selvatici” con livelli fisiologici.

L’Intrigante Caso del Topo Cervo (Deer Mouse)

Recentemente, nel mio gruppo di ricerca, abbiamo fatto una scoperta interessante: il topo cervo (Peromyscus maniculatus) è molto suscettibile all’infezione da prioni umani CJD *in vivo*, cioè quando l’animale viene infettato direttamente. Questi topolini hanno una sequenza della proteina prionica molto simile a quella del “bank vole” (arvicola rossastra), un altro roditore noto per essere suscettibile a prioni di diverse specie, umani inclusi.

Quindi, l’idea è nata spontanea: e se usassimo le fettine di cervello di topo cervo in coltura (POSCA) per creare finalmente un modello *in vitro* per i prioni umani? Sembrava la strada giusta.

Abbiamo iniziato confrontando l’infezione da scrapie RML (un ceppo ben noto adattato ai topi) in fettine di cervello di topo CD1 (un ceppo comune di laboratorio) e di topo cervo. Risultato? Sì, le fettine di topo cervo replicavano i prioni RML, sia quelle provenienti dal cervelletto che quelle dall’intero cervello (tagliate in modo da includere corteccia, ippocampo, talamo, ecc.). Un buon inizio!

Macro fotografia di fettine di cervello organotipiche su una membrana di coltura, obiettivo macro 60mm, alta definizione, messa a fuoco precisa sotto illuminazione controllata da laboratorio, che mostra la delicata struttura del tessuto neurale.

La Sorpresa: I Prioni Umani Fanno i Capricci in Coltura

Poi è arrivato il momento clou: testare i prioni umani. Abbiamo preso omogenati di cervello da pazienti con diverse forme di CJD sporadica (sCJD MM1, sCJD VV2) e una forma più rara (VPSPr), e li abbiamo usati per inoculare le nostre fettine di cervello di topo cervo. Abbiamo anche provato con un ceppo di sCJD MM1 che avevamo precedentemente “adattato” al topo cervo tramite passaggi *in vivo*.

E qui è arrivata la sorpresa, o meglio, la doccia fredda. Mentre il ceppo sCJD MM1 adattato al topo cervo mostrava una debole, lentissima replicazione nelle fettine di cervello intero (ma non nel cervelletto), nessuno degli inoculi di prioni umani primari ha attecchito. Le fettine di topo cervo, così suscettibili *in vivo*, sembravano resistere all’infezione *in vitro*. Un bel rompicapo!

Perché Questa Discrepanza? Indagare le Differenze

Questa discrepanza tra *in vivo* e *in vitro* ci ha spinto a scavare più a fondo. Dovevamo capire perché un modello che sembrava così promettente si comportasse in modo così diverso.

1. Velocità di Replicazione: Abbiamo misurato con precisione la velocità con cui i prioni si moltiplicavano nelle diverse condizioni. È emerso che la velocità varia tantissimo a seconda della specie del topo (CD1 vs topo cervo), del ceppo prionico (RML vs sCJD adattato) e persino della regione cerebrale (cervelletto vs cervello intero).

  • Il ceppo RML nelle fettine di cervelletto di topo CD1 si replicava a una velocità impressionante, quasi identica a quella osservata negli animali vivi! E i segni di danno neuronale comparivano con tempistiche simili. Questo confermava la validità del modello POSCA, almeno in questo specifico contesto.
  • Tuttavia, lo stesso RML era più lento nelle fettine di cervello intero di CD1 e ancora più lento nelle fettine di topo cervo (sia cervelletto che cervello intero).
  • Il ceppo sCJD MM1 adattato al topo cervo era estremamente lento nelle fettine di cervello intero di topo cervo (circa 85 giorni per un aumento di 10 volte!).

Curiosamente, *in vivo*, l’RML progredisce più velocemente nel topo cervo che nel topo CD1, l’esatto contrario di quanto visto nelle fettine! Questo suggerisce che non è solo una questione di sequenza della proteina PrPC.

2. Ambiente Molecolare: Forse l’ambiente all’interno della fettina in coltura è diverso da quello del cervello intatto? Abbiamo rianalizzato dati di sequenziamento dell’RNA (che mostrano quali geni sono attivi) da studi precedenti. Ed effettivamente, le fettine in coltura mostrano differenze significative rispetto al tessuto cerebrale *in vivo*:

  • Maggiore espressione di geni legati all’infiammazione e alla fagocitosi (il processo con cui le cellule “mangiano” detriti o agenti patogeni). Le cellule gliali (astrociti e microglia), che svolgono queste funzioni, sembrano essere più “reattive” in coltura, forse a causa dello stress del taglio e della coltivazione.
  • Minore espressione di geni coinvolti nella trasmissione sinaptica e nella funzione neuronale.
  • Cambiamenti nell’espressione di geni legati alla matrice extracellulare (la “struttura di supporto” tra le cellule), che sappiamo poter influenzare la propagazione dei prioni.

Questo ambiente “alterato”, forse più infiammatorio o con una diversa composizione molecolare, potrebbe essere meno permissivo per certi ceppi prionici, specialmente quelli umani che non sono stati “selezionati” per replicarsi in queste condizioni.

Immagine di microscopia confocale che mostra neuroni marcati in fluorescenza (verde) e astrociti (rosso) in una fettina di cervello, obiettivo grandangolare 20mm, messa a fuoco nitida, illustrando le interazioni cellulari nella ricerca neurodegenerativa.

3. Clearance dell’Inoculo: Un’altra ipotesi affascinante: e se le fettine in coltura fossero particolarmente brave a “ripulire” o degradare l’inoculo iniziale, soprattutto quello umano? Abbiamo osservato che il segnale residuo dell’inoculo di sCJD MM1 umano nelle fettine di topo cervo era più basso del previsto subito dopo l’infezione. Forse questi prioni umani sono più “fragili” o più facilmente eliminati in questo ambiente *in vitro*, impedendo all’infezione di stabilirsi?

Cosa Ci Portiamo a Casa?

Il nostro viaggio con le POSCA ci ha insegnato molto. Queste colture organotipiche sono uno strumento prezioso, un ponte tra le cellule isolate e l’animale intero. Sono fantastiche per studiare la cinetica di replicazione di ceppi prionici ben adattati (come l’RML nei topi CD1), per osservare la neurodegenerazione in un contesto più realistico e potenzialmente per testare farmaci contro questi ceppi specifici.

Tuttavia, abbiamo anche scoperto i loro limiti. La suscettibilità *in vivo* non garantisce il successo *in vitro*. La replicazione dei prioni in queste fettine è complessa, dipende dalla specie, dalla regione cerebrale, dal ceppo prionico e, in modo cruciale, dall’ambiente molecolare della coltura stessa, che differisce da quello del cervello vivente.

La resistenza delle fettine di topo cervo ai prioni umani, nonostante la loro suscettibilità *in vivo*, è una lezione importante. Ci dice che la sola corrispondenza della sequenza della proteina PrPC non basta. Ci sono altri fattori, forse legati alla risposta immunitaria locale, alla matrice extracellulare, o a specifici “cofattori” molecolari necessari per la replicazione di certi ceppi, che sono diversi tra *in vivo* e *in vitro*.

Quindi, mentre le POSCA rimangono un modello utile, dobbiamo essere consapevoli delle loro specificità. La sfida di creare un modello *in vitro* robusto e affidabile per i prioni umani rimane aperta. Capire esattamente quali fattori nell’ambiente della coltura ostacolano l’infezione umana sarà fondamentale per superare questo ostacolo e avvicinarci a nuove terapie per queste malattie devastanti. La ricerca continua!

Rappresentazione astratta delle interazioni molecolari all'interno di una coltura di fettine di cervello rispetto a un cervello in vivo, utilizzando reti luminose o particelle, obiettivo grandangolare 10mm, messa a fuoco nitida, enfatizzando la complessità.

Fonte: Springer

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