Prime lens, 35mm portrait, film noir. Un'immagine evocativa di un cervello stilizzato con percorsi neurali luminosi, e piccole molecole di PRI-002 che interagiscono con essi, simboleggiando la speranza e l'innovazione nella lotta contro l'Alzheimer. L'illuminazione è drammatica ma speranzosa.

Alzheimer: Una Nuova Speranza Orale? Vi racconto lo studio su PRI-002!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi sta davvero a cuore e che, ne sono convinto, accenderà una scintilla di speranza in molti di voi. Parliamo di Alzheimer, quella malattia subdola che ruba i ricordi e l’autonomia, e di una nuova potenziale arma per combatterla, o almeno per tenerla a bada. Si chiama PRI-002, e la cosa affascinante è che si tratta di un trattamento orale. Immaginate la differenza rispetto alle terapie attuali, spesso complesse e invasive!

Recentemente è stato pubblicato uno studio, un trial di fase 1b, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio il PRI-002 in pazienti con deterioramento cognitivo lieve (MCI) o Alzheimer in fase iniziale. E i risultati, lasciatemelo dire, sono piuttosto incoraggianti, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e la tollerabilità del farmaco.

Ma cos’è esattamente PRI-002 e come funziona?

Per capirlo, dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Una delle principali cause sospettate dell’Alzheimer è l’accumulo nel cervello di una proteina chiamata beta-amiloide (Aβ). Questa proteina, quando si aggrega in forme tossiche chiamate oligomeri, diventa una vera canaglia: danneggia le sinapsi (i punti di contatto tra i neuroni), compromette la funzionalità delle cellule nervose e, alla lunga, contribuisce alla progressione della malattia. Pensate agli oligomeri come a piccoli “bulli” che disturbano la comunicazione tra i neuroni.

Ecco, PRI-002 è un peptide (un piccolo frammento di proteina) progettato specificamente per fare una cosa: disassemblare questi oligomeri tossici di Aβ, trasformandoli di nuovo in monomeri, cioè singole molecole di Aβ, che sono considerate molto meno dannose. L’idea è che, togliendo di mezzo questi “bulli”, si possa ridurre la neurotossicità e magari, dico magari, ripristinare parte della funzionalità sinaptica, specialmente nelle fasi iniziali della malattia. Non è fantastico?

Lo studio clinico: cosa abbiamo scoperto?

Lo studio di cui vi parlo era randomizzato, in doppio cieco (né i pazienti né i medici sapevano chi prendeva il farmaco e chi il placebo) e si è svolto in un unico centro. Hanno partecipato 20 pazienti, tra i 50 e gli 80 anni, con MCI o Alzheimer lieve. Di questi, 19 sono stati effettivamente inclusi nell’analisi finale: 9 hanno ricevuto 300 mg di PRI-002 al giorno per 28 giorni, mentre 10 hanno ricevuto un placebo.

L’obiettivo primario era chiarissimo: valutare la sicurezza e la tollerabilità del PRI-002. E qui arrivano le buone notizie: il farmaco è stato ben tollerato! Pensate che nel gruppo che ha assunto PRI-002 ci sono stati meno eventi avversi (16 in totale) rispetto al gruppo placebo (27 eventi avversi). Nessun evento avverso grave è stato riportato, e non ci sono state variazioni significative negli esami del sangue, nell’elettrocardiogramma (ECG), nell’elettroencefalogramma (EEG) o nella risonanza magnetica (MRI). Un dettaglio importante: non sono state osservate le cosiddette ARIA (Anomalie di Imaging Correlate all’Amiloide), che sono effetti collaterali a volte visti con altri trattamenti anti-amiloide, come gli anticorpi monoclonali. Questo è un punto a favore non da poco!

Macro lens, 60mm, high detail, precise focusing, controlled lighting. Una visualizzazione artistica di oligomeri di beta-amiloide, simili a piccole catene aggrovigliate, che vengono delicatamente 'smontati' da molecole di PRI-002, rappresentate come piccole chiavi o forbici molecolari, su uno sfondo che ricorda il tessuto cerebrale.

Quindi, dal punto di vista della sicurezza, PRI-002 ha superato l’esame a pieni voti. Ma che dire della sua azione nel cervello e dei possibili effetti sulla cognizione?

Farmacocinetica e primi segnali di efficacia

I ricercatori hanno anche studiato come il farmaco si comporta nell’organismo (farmacocinetica). Hanno misurato i livelli di PRI-002 nel sangue e, cosa molto interessante, anche nel liquido cerebrospinale (CSF), il fluido che circonda cervello e midollo spinale. Trovarlo lì significa che il farmaco riesce ad attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere il suo bersaglio. I livelli nel CSF erano bassi, ma rilevabili, e si sospetta che i valori reali possano essere anche più alti a causa di un possibile legame del farmaco alle provette di raccolta (un dettaglio tecnico, ma importante).

Per quanto riguarda i biomarcatori dell’Alzheimer nel CSF (come le proteine tau, Aβ 1-40, Aβ 1-42 e gli stessi oligomeri di Aβ), non sono state osservate variazioni significative dopo 28 giorni di trattamento. Questo, onestamente, non mi sorprende più di tanto. Ventotto giorni sono un periodo molto breve per aspettarsi cambiamenti marcati nei biomarcatori, che di solito richiedono mesi, se non anni, per modificarsi. Tuttavia, c’è un dato intrigante: nei pazienti trattati con PRI-002, si è osservata una correlazione inversa tra i livelli di farmaco nel sangue al primo giorno e le variazioni nelle concentrazioni di oligomeri Aβ nel CSF. In parole povere, sembra che chi aveva più farmaco in circolo tendesse ad avere una maggiore riduzione (o un minor aumento) degli oligomeri. È un indizio, una pista da seguire, che suggerisce che forse dosi maggiori o trattamenti più lunghi potrebbero fare la differenza.

E ora, la parte che forse aspettavate con più ansia: ci sono stati effetti sulla memoria? Ebbene sì, qualcosa di molto interessante è emerso! I pazienti sono stati sottoposti a una serie di test cognitivi chiamati CERAD. In particolare, nel test di apprendimento di una lista di parole (CERAD word list), i pazienti che avevano ricevuto PRI-002 hanno mostrato un miglioramento significativo alla visita di controllo del giorno 56 (cioè 4 settimane DOPO la fine del trattamento) rispetto sia al loro stato iniziale sia al gruppo placebo. E la cosa notevole è che tutti e 9 i pazienti trattati con PRI-002 hanno mostrato un miglioramento in questo test! L’effetto è stato definito “ampio” (Cohen’s d effect size: 0.94), il che supporta l’idea che si tratti di un vero effetto del trattamento.

Prime lens, 35mm, depth of field, duotone (blu e grigio). Un paziente anziano, con un'espressione concentrata ma serena, mentre esegue un test di memoria con un neuropsicologo in un ambiente clinico accogliente e luminoso. L'immagine trasmette un senso di speranza e impegno nella ricerca.

Certo, bisogna essere cauti. Lo studio è piccolo e la durata del trattamento breve. Ma vedere un miglioramento, e non solo un rallentamento del declino, in un test di memoria dopo sole 4 settimane di trattamento (e che persiste anche dopo la sospensione) è qualcosa che fa riflettere. Potrebbe essere che smontando gli oligomeri tossici, PRI-002 permetta alle sinapsi e ai neuroni di “respirare” e funzionare un po’ meglio, anche prima che si vedano grossi cambiamenti nei biomarcatori più “lenti”.

Perché PRI-002 potrebbe essere un game-changer?

Negli ultimi anni, abbiamo assistito all’approvazione di alcuni anticorpi monoclonali (come lecanemab e donanemab) che mirano anch’essi alla beta-amiloide. Questi farmaci hanno dimostrato di poter rallentare la progressione della malattia, il che è già un passo avanti enorme. Tuttavia, si tratta di terapie endovenose, costose e non prive di effetti collaterali, come le già citate ARIA.

PRI-002 appartiene a una classe di farmaci relativamente nuova, i peptidi all-d-enantiomerici. Questi composti combinano i vantaggi delle piccole molecole (resistenza agli enzimi, bassa immunogenicità, potenziale per la somministrazione orale e per attraversare la barriera emato-encefalica) con quelli dei biologici (alta specificità per il bersaglio). Il fatto che PRI-002 sia orale e che in questo studio non abbia mostrato segnali di ARIA lo rende particolarmente interessante. Potrebbe rappresentare un’opzione più semplice, più sicura e forse adatta anche per trattamenti a lungo termine o addirittura preventivi.

L’idea che PRI-002 possa non solo rallentare il declino, ma addirittura portare a un miglioramento della funzione cognitiva, come suggerito dai dati sugli animali e da questo primo segnale nell’uomo, è davvero entusiasmante. Se confermato, significherebbe poter “salvare” le sinapsi nelle fasi iniziali della malattia, restituendo ai pazienti parte delle loro capacità.

Cosa ci aspetta?

Questo studio di fase 1b, pur con i suoi limiti di numerosità e durata, ha gettato basi solide. Ha dimostrato che PRI-002 è sicuro e ben tollerato in pazienti con MCI o Alzheimer lieve, e ha fornito primi, promettenti indizi di un possibile beneficio cognitivo. I ricercatori stessi sottolineano che questi risultati sono da considerarsi generatori di ipotesi per studi futuri più ampi.

E infatti, la buona notizia è che uno studio di fase 2 è già iniziato nel 2024! Questo studio coinvolgerà più pazienti, utilizzerà dosi probabilmente più alte e avrà una durata di trattamento più lunga. Sarà fondamentale per confermare questi primi segnali e per capire meglio il potenziale di PRI-002 come terapia modificante la malattia.

Io, come potete immaginare, seguirò con grandissimo interesse gli sviluppi. La strada per sconfiggere l’Alzheimer è ancora lunga e irta di sfide, ma ogni passo avanti, ogni nuova molecola promettente come PRI-002, ci avvicina un po’ di più all’obiettivo. E la prospettiva di un trattamento orale, sicuro ed efficace, è qualcosa per cui vale davvero la pena tifare!

Telephoto zoom, 100mm, action tracking. Un gruppo di ricercatori in un laboratorio moderno e luminoso, che lavorano con impegno e collaborazione attorno a complessi strumenti scientifici. Uno di loro osserva con attenzione un campione, simboleggiando il progresso della ricerca sull'Alzheimer.

Continuerò ad aggiornarvi su questa e altre novità dal mondo della ricerca sull’Alzheimer. Restate sintonizzati e, soprattutto, non perdiamo la speranza!

Fonte: Springer

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