Credere da Grandi: Cosa Conta Davvero nell’Infanzia? Uno Sguardo Globale
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi affascina da sempre: la fede. Che si creda in un Dio unico, in molteplici divinità o in forze spirituali impersonali, la religione è una parte fondamentale della vita per miliardi di persone nel mondo. Ma vi siete mai chiesti perché alcune persone crescono credenti e altre no? Quali esperienze della nostra infanzia plasmano le nostre convinzioni spirituali da adulti?
Mi sono imbattuto in uno studio scientifico vastissimo, pubblicato su Nature Scientific Reports, che ha cercato di rispondere proprio a queste domande. Pensate: hanno analizzato i dati di oltre 200.000 persone provenienti da ben 22 paesi diversi, sparsi in tutto il globo! Un lavoro immenso, parte del Global Flourishing Study (GFS), che cerca di capire cosa ci rende felici e realizzati, includendo anche la dimensione spirituale.
Le Ipotesi Iniziali: Cosa Pensavamo di Sapere?
Intuitivamente, molti di noi penserebbero che crescere in una famiglia religiosa porti quasi automaticamente a essere religiosi da adulti. La teoria dell’apprendimento sociale, dopotutto, ci dice che impariamo osservando gli altri, specialmente i nostri genitori e le figure di riferimento. Se vediamo comportamenti che dimostrano una fede sincera (quelle che i ricercatori chiamano “dimostrazioni che aumentano la credibilità” o CREDs), è più probabile che interiorizziamo quelle credenze.
Altre teorie hanno puntato su fattori come:
- Differenze di genere: Si è spesso pensato che le donne siano più religiose degli uomini, forse per differenze nella capacità di “mentalizzare” (pensare alla mente altrui, inclusa quella di Dio) o per diverse pressioni sociali.
- Relazioni familiari: La qualità del rapporto con i genitori, la struttura familiare (genitori sposati, divorziati, single), sono state considerate influenti. Si pensava che famiglie “non tradizionali” fossero meno efficaci nel trasmettere norme religiose.
- Status socioeconomico: La vecchia idea della secolarizzazione suggerisce che con lo sviluppo economico, le persone abbiano meno bisogno della sicurezza esistenziale offerta dalla religione. Quindi, ci si aspetterebbe che chi cresce in condizioni economiche difficili sia più portato a credere.
- Esperienze difficili: Abusi, sentirsi degli “outsider”, problemi di salute durante l’infanzia… si è ipotizzato che queste esperienze potessero aumentare il bisogno di controllo o di conforto, spingendo verso la fede. Ma c’era anche l’ipotesi contraria: un abuso potrebbe far sentire rifiutati da Dio.
- Immigrazione: L’esperienza migratoria potrebbe rafforzare l’identità religiosa come legame con le proprie origini, oppure portare ad adottare le norme (anche non religiose) del nuovo paese.
La maggior parte di queste idee, però, sono state testate principalmente in contesti occidentali, quelli che gli scienziati chiamano scherzosamente “WEIRD” (Western, Educated, Industrialized, Rich, and Democratic). Ma il mondo è molto più variegato di così! E qui entra in gioco la forza di questo studio globale.

I Risultati: Un Mosaico Sorprendente e Complesso
Ebbene, tenetevi forte: i risultati di questo studio sono un vero e proprio scossone a molte certezze. La scoperta più eclatante è l’enorme variabilità culturale. Praticamente tutti i fattori esaminati (stato civile dei genitori, status socioeconomico infantile, abusi, sentirsi outsider, immigrazione, salute infantile, rapporto con madre e padre) hanno mostrato associazioni con la credenza in Dio solo in alcuni paesi, e spesso in modi diversi!
Pensate, non c’è stato nessun singolo predittore che avesse un’associazione consistente e statisticamente significativa in tutti e 22 i paesi analizzati. Un risultato che ci dice quanto sia fondamentale considerare il contesto.
Quando i ricercatori hanno aggregato i dati di tutti i paesi (facendo una sorta di “media globale”), solo tre fattori sono emersi come predittori significativi della credenza in Dio, dei o forze spirituali in età adulta:
- Frequentazione delle funzioni religiose durante l’infanzia (intorno ai 12 anni): Questo è risultato il predittore più forte. Chi andava a messa, in moschea, al tempio, ecc., più frequentemente da bambino, aveva una probabilità significativamente maggiore di credere da adulto. Più si frequentava, più forte era l’associazione. Sembra proprio che essere immersi in un ambiente religioso da piccoli lasci un segno duraturo.
- Coorte di nascita (età): In generale, le coorti più anziane tendevano a credere di più rispetto ai più giovani (18-24 anni). Questo potrebbe indicare un effetto dell’età (si diventa più religiosi invecchiando?) o un effetto generazionale (le nuove generazioni sono meno religiose?). Probabilmente entrambe le cose giocano un ruolo, ma anche qui c’è variabilità tra paesi.
- Genere: In media, le donne sono risultate leggermente più propense a credere rispetto agli uomini. Un dato spesso osservato, ma attenzione: non è universale!
I Predittori che Emergono (Ma con Riserva)
Anche per questi tre fattori “principali”, però, la variabilità tra paesi è notevole. Prendiamo la frequentazione religiosa infantile: è un predittore forte in paesi come Giappone, Svezia, Hong Kong, Regno Unito, Israele, Germania, Polonia, Spagna e Australia (paesi, notate bene, con tassi di religiosità relativamente più bassi o misti). Ma in molti paesi africani analizzati (Nigeria, Kenya, Sudafrica, Egitto, Tanzania) o nelle Filippine, Indonesia, India e Brasile, questa associazione era molto più debole o addirittura non significativa. Perché? Forse perché in società dove la credenza in Dio è quasi universale (97-100% in alcuni paesi africani dello studio), la frequentazione da bambino è la norma e non fa molta differenza rispetto al contesto culturale generale che supporta la fede anche in età adulta.

Anche l’età/coorte mostra schemi diversi. Negli Stati Uniti, ad esempio, le persone più anziane sono significativamente più credenti dei giovani. Ma in Giappone e Spagna, per alcune fasce d’età più avanzate, la tendenza è addirittura opposta! Questo sfida l’idea che si diventi universalmente più religiosi con l’età.
E il genere? Sì, in media le donne credono di più, specialmente in paesi come Australia, Svezia, USA, Israele, Germania, Turchia, Spagna e Regno Unito. Ma in altri contesti, come alcuni paesi africani o tra specifici gruppi religiosi (es. Musulmani e Ebrei Ortodossi in Israele, secondo ricerche precedenti), questa differenza si attenua o si inverte. Alcuni studiosi suggeriscono che la differenza di genere nella religiosità sia minore nei paesi con minore uguaglianza di genere.
L’Importanza Cruciale del Contesto Culturale
Cosa ci dicono tutti questi risultati così eterogenei? Che il contesto culturale è re. Molti fattori che davamo per scontati come influenti sulla fede (lo status economico, le difficoltà familiari, persino gli abusi) non hanno un impatto universale. Il loro effetto dipende tantissimo dalla società in cui si cresce.
Facciamo qualche esempio concreto tratto dallo studio:
- Aver subito abusi da bambini predice una maggiore probabilità di credere da adulti in Australia, Giappone e Svezia, ma una minore probabilità in Polonia. Nella maggior parte degli altri paesi, non c’è un’associazione significativa.
- Sentirsi un “outsider” da piccoli è associato a maggiore fede in Australia, Giappone, Svezia e Regno Unito, ma non altrove.
- Essere immigrati da bambini aumenta la probabilità di credere in Australia, Spagna, Germania, Indonesia e Svezia (forse perché provengono da paesi più religiosi?), ma la diminuisce in Israele e negli USA. In molti altri paesi, non fa differenza.
- Avere i genitori divorziati è legato a maggiore fede in Giappone, ma a minore fede in Israele e Polonia.
Questi pattern suggeriscono che l’influenza di un’esperienza infantile sulla fede adulta dipende da come quella esperienza interagisce con le norme, i valori e le strutture di supporto presenti in quella specifica cultura. Forse, in società meno religiose o più secolarizzate (come Giappone, Svezia, Regno Unito), le esperienze individuali (positive o negative che siano) hanno un peso maggiore nel determinare il percorso spirituale di una persona, semplicemente perché c’è più “spazio” per la variabilità individuale nelle credenze. Dove la religione è la norma indiscussa, forse queste esperienze contano meno rispetto alla pressione culturale generale.

Cautele e Prospettive Future
Ovviamente, come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. È cross-sezionale, il che significa che osserva le persone in un dato momento e trova associazioni, ma non può stabilire con certezza rapporti di causa-effetto. Le esperienze infantili sono state riportate retrospettivamente dagli adulti, quindi c’è il rischio di distorsioni della memoria (recall bias). Inoltre, potrebbero esserci altri fattori non misurati che influenzano sia le esperienze infantili sia la fede adulta (confondimento).
I ricercatori ne sono consapevoli e hanno usato tecniche statistiche (come il calcolo degli E-values) per valutare quanto robusti fossero i loro risultati rispetto a potenziali fattori confondenti non misurati. L’associazione con la frequentazione religiosa infantile, ad esempio, sembra abbastanza solida.
La bellezza del Global Flourishing Study è che seguirà queste stesse persone per altri quattro anni. Questo permetterà di capire meglio i cambiamenti nel tempo, di distinguere forse meglio gli effetti dell’età da quelli generazionali, e di testare ipotesi più complesse.
In Conclusione: Un Mosaico Complesso
Quindi, cosa ci portiamo a casa da questo affascinante viaggio nella psicologia della religione su scala globale? Direi principalmente questo: non esistono formule semplici per predire chi crederà in Dio da adulto. Le nostre esperienze infantili contano, certo, ma il loro impatto è profondamente modellato dalla cultura in cui viviamo.
Lo studio demolisce l’idea che ci siano predittori universali della fede validi ovunque e per chiunque. Ci ricorda, ancora una volta, quanto sia pericoloso generalizzare partendo da studi condotti solo in una piccola parte del mondo (quella “WEIRD”).
La frequentazione religiosa da bambini sembra essere il fattore più consistentemente associato alla fede adulta, ma anche questo legame si indebolisce o scompare in contesti culturali diversi. Per il resto, è un intricato mosaico dove status economico, relazioni familiari, genere, età e persino traumi infantili giocano ruoli diversi a seconda del palcoscenico culturale.
Questo studio è un invito potente a studiare la religione e la spiritualità con uno sguardo veramente globale, apprezzando la ricchezza e la complessità delle esperienze umane. E ci lascia con più domande che risposte, il che, secondo me, è il segno di una ricerca davvero stimolante!

Fonte: Springer
