Immagine fotorealistica di una folla divisa da una barricata della polizia, da un lato manifestanti pacifici con cartelli contro l'odio, dall'altro lato sostenitori di un evento controverso che entrano in un edificio. Scena urbana al tramonto, luce drammatica, obiettivo zoom 24-70mm, stile fotogiornalistico.

Predicatori d’Odio Down Under: Come l’Australia Combatte l’Estrema Destra (e Cosa Possiamo Imparare)

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, è diventato sempre più rilevante a livello globale: l’estremismo di destra e, in particolare, i tour di personaggi internazionali che diffondono ideologie d’odio. Mi sono imbattuto in uno studio affascinante che analizza proprio questo fenomeno in Australia tra il 2015 e il 2019, e credo ci siano parecchi spunti interessanti anche per noi.

Chi Sono Questi “Predicatori” e Cosa Dicono?

Parliamoci chiaro, l’Australia è vista come un mercato appetibile per certi personaggi. Figure come Milo Yiannopoulos, Lauren Southern, Stefan Molyneux e persino Nigel Farage hanno organizzato dei veri e propri tour lì, prima che il COVID mettesse tutto in pausa (anche se, ahimè, sembra stiano tornando alla carica). Ma cosa vanno a raccontare? Beh, le solite, tristi storie: suprematismo bianco, retorica anti-islamica, odio contro l’immigrazione, misoginia. Il tutto condito, spesso, da omofobia.

Questi tour non sono solo “conferenze”. Sono veri e propri strumenti per costruire reti tra gruppi di estrema destra, allargare la loro base di sostenitori e raccogliere fondi. Pensate che uno di questi personaggi, Tommy Robinson, ha dichiarato che la sua più grande base di fan fuori dal Regno Unito era proprio in Australia! Questo ci fa capire quanto siano forti e pericolosi questi legami transnazionali. L’odio non conosce confini, purtroppo.

Le ideologie sono variegate, ma con un filo conduttore:

  • Suprematismo bianco e culturale (la “civiltà occidentale” superiore a tutte, l’arte aborigena definita “spazzatura”).
  • Odio anti-islamico (spesso mascherato da difesa dei “valori australiani”, con teorie come la “Grande Sostituzione”).
  • Sentimenti anti-immigrazione e anti-multiculturalismo.
  • Misoginia e anti-femminismo (il femminismo definito “un cancro”).
  • Sfruttamento di tensioni locali (critiche alle comunità indigene, battute crudeli sui richiedenti asilo).
  • Attacchi alla “correttezza politica”.

Personaggi come Yiannopoulos hanno definito l’arte aborigena “crap” (spazzatura) e proclamato la superiorità della civiltà occidentale perché quella aborigena “non è riuscita a inventare la ruota”. Lauren Southern ha bollato un sobborgo di Sydney a maggioranza musulmana come una “no-go zone” sotto la “legge della Sharia”. Stefan Molyneux ha diffuso teorie razziste sull’intelligenza e criticato ferocemente la cultura aborigena. Sono discorsi che mirano a deumanizzare, dividere e normalizzare l’odio.

La Scusa della Libertà di Parola e i Rischi Reali

E qui, spesso, casca l’asino. La difesa più comune usata da questi personaggi e dai loro sostenitori è quella della libertà di parola. “Stiamo solo esprimendo un’opinione!”, dicono. Ma c’è una bella differenza tra esprimere un’opinione e diffondere odio che danneggia intere comunità. Lo studio distingue bene tra diversi tipi di discorsi d’odio, da quelli più generici a quelli mirati, fino all’incitamento a politiche discriminatorie.

I rischi non sono astratti. Questi discorsi d’odio hanno un impatto devastante sul senso di appartenenza delle minoranze, minano le relazioni comunitarie e la coesione sociale. Creano un clima in cui discriminazione e violenza diventano più accettabili, più “normali”. Pensate all’attacco di Christchurch: il terrorista citò proprio un video di Lauren Southern sulla “Grande Sostituzione” come una delle sue motivazioni. Le parole hanno conseguenze, a volte tragiche.

Fotografia realistica di una protesta pacifica contro un evento pubblico, manifestanti con cartelli colorati con slogan contro l'odio e il razzismo, polizia sullo sfondo che osserva, stile reportage, obiettivo 35mm, profondità di campo media, luce diurna.

Le Leggi Contro l’Odio? Spesso Inefficaci

L’Australia ha leggi contro la discriminazione razziale (come il Racial Discrimination Act) e leggi penali contro l’incitamento all’odio. Eppure, lo studio evidenzia come queste armi legali si siano rivelate poco efficaci contro questi tour. Perché? I processi sono lunghi, complessi, richiedono prove difficili da ottenere (oltre ogni ragionevole dubbio per il penale), e nel frattempo l’oratore è già bello che tornato a casa sua, magari dopo aver incassato pure un bel po’ di soldi dai biglietti (che potevano costare anche centinaia di dollari!).

Insomma, citare in giudizio questi personaggi dopo che hanno parlato è spesso come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Serve qualcosa di più immediato, di più preventivo.

L’Arma Segreta (ma Controversa): Il Migration Act

E qui entra in gioco uno strumento che, secondo lo studio, si è rivelato molto più efficace: il Migration Act 1958. In particolare, la Sezione 501, che dà al Ministro dell’Immigrazione (o a un suo delegato) il potere discrezionale di rifiutare o cancellare un visto per motivi di “carattere”.

Cosa significa? Significa che se c’è il ragionevole sospetto che una persona, una volta in Australia, possa:

  • Vilipendere una parte della comunità australiana.
  • Incitare alla discordia.
  • Rappresentare un pericolo per la comunità (anche attraverso attività che disturbano l’ordine pubblico o minacciano violenza).

…beh, il visto può saltare. E non serve la prova che l’abbia già fatto in Australia, basta il rischio che lo faccia, magari basandosi sul suo “curriculum” all’estero.

Questo potere è stato usato per negare il visto a Yiannopoulos per un secondo tour (dopo commenti particolarmente odiosi sull’attentato di Christchurch), e anche a Gavin McInnes (fondatore dei Proud Boys) e Tommy Robinson. È un potere discrezionale, certo, e criticato da alcuni per il rischio di abusi (ad esempio contro rifugiati), ma in questo specifico contesto sembra essere stato l’unico strumento legale davvero rapido ed efficace per fermare l’arrivo di certi personaggi. È una decisione basata sul rischio, più che sul reato già commesso sul suolo australiano.

Immagine fotorealistica di uno schermo di laptop che mostra un sito di notizie online con titoli riguardanti la cancellazione di un visto per un personaggio controverso, luce ambientale da ufficio, obiettivo 50mm prime, messa a fuoco precisa sullo schermo.

Ma Non è Solo Questione di Visti: Le Altre Contromisure Vincenti

Lo studio, però, non si ferma qui. Sottolinea l’importanza di altre strategie che si sono dimostrate efficaci nel contrastare questi tour dell’odio:

1. Restrizioni delle Piattaforme Online: Molti di questi personaggi usano i social media (Facebook, Twitter, YouTube, ma anche piattaforme più di nicchia come Gab) e piattaforme di finanziamento (Patreon, GoFundMe) per diffondere il loro messaggio e raccogliere fondi. Bannarli o demonetizzare i loro contenuti può avere un impatto. Certo, la trasparenza e la coerenza delle piattaforme su chi bannare e perché lasciano ancora a desiderare, ma è una strada da percorrere.
2. Attivismo dal Basso (Grassroots): Le proteste funzionano! Petizioni come quella organizzata dall’avvocatessa Nyadol Nyuon (che raccolse oltre 81.000 firme contro McInnes e Robinson) e le manifestazioni fuori dai luoghi degli eventi hanno avuto un peso enorme. Non solo mandano un messaggio forte di rifiuto, ma creano anche disturbo, attirano l’attenzione dei media (quelli critici) e, non da ultimo, generano costi.
3. Pressione Economica: Le proteste spesso richiedono un grande dispiegamento di forze dell’ordine. In alcuni casi, la polizia australiana ha presentato il conto (salato!) agli organizzatori dei tour per i costi di gestione della sicurezza. Yiannopoulos e gli organizzatori del tour di Southern/Molyneux si sono ritrovati con fatture da decine di migliaia di dollari (che pare non abbiano pagato, ma questo potrebbe aver influito su future richieste di visto). Anche i boicottaggi verso le aziende associate o i media che danno spazio a questi personaggi (come la campagna Sleeping Giants Oz) possono fare la differenza.
4. Forte Opposizione Politica e Civica: È fondamentale che leader politici (soprattutto quelli non allineati all’estrema destra, ovviamente), leader civici e figure accademiche prendano una posizione chiara e forte contro questi discorsi. Il silenzio, come sottolinea lo studio, può essere interpretato come accettazione e normalizzazione dell’odio. Serve una “contro-narrazione” potente.
5. Copertura Mediatica Critica: Sebbene alcuni media (come Sky News Australia, secondo lo studio) abbiano dato ampio spazio acritico a questi personaggi, è cruciale che altri media forniscano un’informazione corretta, contestualizzando le loro ideologie e denunciandone la pericolosità, invece di limitarsi a riportare le loro provocazioni per fare click.

Foto realistica di una mano che firma una petizione online su un tablet, lo schermo mostra il testo della petizione contro discorsi d'odio, luce morbida e focalizzata sul tablet, obiettivo macro 85mm, alto dettaglio.

Cosa Possiamo Imparare?

Questa analisi del caso australiano ci dice molto. Ci dice che l’estrema destra usa strategie precise per diffondere odio e costruire reti, spesso mascherandosi dietro la libertà di parola. Ci dice che le leggi tradizionali faticano a contrastare questo fenomeno in modo tempestivo. Ma ci dice anche che non siamo impotenti.

L’uso mirato di strumenti legali come il rifiuto del visto basato sul rischio per la comunità, unito a una forte mobilitazione della società civile, all’attivismo online e offline, alla pressione economica e a una chiara presa di posizione da parte di leader politici e media responsabili, può davvero fare la differenza.

Serve vigilanza, serve coraggio nel chiamare l’odio con il suo nome e servono strategie coordinate. L’Australia ci mostra che è possibile arginare questi fenomeni, anche se la battaglia è continua e richiede l’impegno di tutti noi. E voi, cosa ne pensate?

Fonte: Springer

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