Fotografia subacquea di una lussureggiante prateria di Posidonia oceanica, obiettivo grandangolare 20mm, luce solare che penetra la superficie dell'acqua illuminando le foglie verdi brillanti e il fondale sabbioso, alcuni pesciolini nuotano tra le piante, alta definizione, messa a fuoco precisa.

Praterie Marine: I Nostri Eroi Nascosti Contro il Cambiamento Climatico (e Quanto Carbonio Rischiamo di Perdere!)

Ciao a tutti, appassionati di scienza e del nostro meraviglioso pianeta! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta particolarmente a cuore e che, fidatevi, dovrebbe stare a cuore a tutti noi: le praterie marine e il loro incredibile ruolo nello stoccaggio del carbonio. Sì, avete capito bene, quelle distese verdissime che ondeggiano sotto la superficie del mare non sono solo belle da vedere, ma sono delle vere e proprie superstar nella lotta contro il cambiamento climatico. Parliamo del cosiddetto “carbonio blu”.

Le Praterie Marine: Più che Semplici “Alghe”

Prima di tutto, sfatiamo un mito: le praterie marine non sono alghe! Sono piante vere e proprie, con radici, fusti e foglie, che formano vasti ecosistemi costieri. Questi ecosistemi, insieme a mangrovie e paludi salmastre, sono noti per la loro capacità di sequestrare e immagazzinare carbonio organico (Corg). Pensate che, pur coprendo solo una piccola frazione della superficie oceanica (circa il 2%), sono responsabili di quasi la metà del seppellimento annuale di Corg nei sedimenti oceanici. Impressionante, vero?

Il problema è che, come spesso accade, stiamo mettendo a rischio questi preziosi alleati. Il declino globale delle praterie marine non solo riduce la loro capacità di assorbire nuovo carbonio, ma rischia di liberare nell’atmosfera quello immagazzinato per secoli nei suoli sottostanti, trasformando un pozzo di carbonio in una nuova fonte di emissioni di gas serra. Un vero disastro!

Una Nuova Stima Globale: Facciamo Chiarezza sui Numeri

Per anni, abbiamo avuto stime sulla quantità di carbonio immagazzinato dalle praterie marine, ma c’era molta incertezza. I dati erano limitati e non catturavano appieno la diversità di questi habitat. Ma la scienza, per fortuna, non si ferma mai! Recentemente, grazie a un imponente lavoro di raccolta e analisi di dati da oltre 2700 carotaggi di suolo marino sparsi per il globo, abbiamo un quadro molto più chiaro e, devo dire, affascinante.

Cosa ci dice questo nuovo studio? Beh, la stima mediana globale dello stock di Corg nel suolo delle praterie marine è di circa 24.2 Mg Corg ha-1 (megagrammi di carbonio organico per ettaro) nei primi 30 cm di suolo. Questo valore è inferiore del 27% rispetto alle stime globali precedenti. Non fraintendetemi, è comunque una quantità enorme, ma questa revisione è fondamentale. Perché? Perché affina le stime “Tier 1” dell’IPCC (il Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) che vengono usate per la contabilità del carbonio nei paesi che non hanno dati locali. Avere numeri più precisi significa poter elaborare politiche climatiche più efficaci.

È interessante notare come, anno dopo anno, con l’aggiunta di nuovi dati, le stime medie e mediane globali siano progressivamente diminuite, stabilizzandosi solo di recente. Questo suggerisce che i dati iniziali erano probabilmente sbilanciati verso habitat con altissimi stock di carbonio, mentre ora abbiamo una visione più rappresentativa della realtà globale, includendo anche praterie in contesti più minerogenici, con suoli a minor contenuto di Corg, che prima erano sottorappresentate.

Scatto macro di vibranti pale di alghe verdi sott'acqua, lenti macro da 60 mm, dettagli elevati, messa a fuoco precisa, filtro della luce solare attraverso l'acqua creando motivi di luce scredita sul fondo sabbioso. Alcune piccole particelle di sedimento sono visibili sulle foglie.

Oltre al carbonio nel suolo, lo studio ha anche fornito dati aggiornati sulla biomassa delle praterie: in media, parliamo di 0.66 Mg C ha-1 per la biomassa epigea (foglie) e 1.37 Mg C ha-1 per quella ipogea (radici e rizomi). È curioso notare come la stima della biomassa ipogea sia superiore del 50% rispetto a studi precedenti, sottolineando l’importanza delle parti sotterranee di queste piante.

Non Tutte le Praterie Sono Uguali: La Variabilità è la Chiave

Una delle scoperte più interessanti è la grande variabilità negli stock di carbonio. Non tutte le praterie marine sono uguali, e questo dipende da tanti fattori.

Innanzitutto, l’identità tassonomica e il gruppo funzionale della prateria giocano un ruolo cruciale. Generi come Posidonia (la nostra Posidonia oceanica mediterranea ne è un esempio lampante), Thalassia e Syringodium, così come le praterie miste, mostrano gli stock di carbonio nel suolo più elevati. E non a caso, questi generi hanno anche la biomassa sotterranea maggiore. C’è una relazione, capite? Specie grandi e persistenti, che formano praterie stabili per anni, tendono ad accumulare più carbonio. Producono più biomassa, soprattutto radici e rizomi che contribuiscono direttamente al carbonio del suolo, e le loro foglie aiutano a intrappolare particelle organiche provenienti da altre fonti. Inoltre, la stabilità dell’ambiente sedimentario riduce la risospensione e la remineralizzazione del carbonio.

Al contrario, specie piccole ed effimere, come alcune Halophila o Ruppia, che sono spesso colonizzatrici pioniere di habitat instabili o disturbati, tendono ad avere stock di carbonio inferiori. Tuttavia, attenzione! Anche queste specie “minori” possono, in alcuni casi, trovarsi associate a stock di carbonio notevoli, magari perché si sono insediate su suoli precedentemente arricchiti da specie più persistenti o perché crescono in ambienti deposizionali vicino a mangrovie. Insomma, la faccenda è complessa e affascinante!

Questo ci dice una cosa importante: quando stimiamo il carbonio blu, dobbiamo considerare il tipo di prateria. Estrarre dati da una prateria di Posidonia e applicarli a una di Halophila porterebbe a sovrastime, e viceversa.

Poi c’è la geografia. Gli stock di carbonio variano anche a livello regionale. Ad esempio, sono stati riscontrati stock più elevati nell’Atlantico Tropicale, nel Pacifico Orientale Tropicale e nelle regioni temperate dell’Africa meridionale (anche se queste ultime due sono ancora poco campionate). E la geomorfologia costiera? Anche quella conta! Stock più elevati si trovano in piccoli delta, ambienti carsici e aree areiche (senza fiumi importanti). I piccoli delta, in particolare, sembrano offrire condizioni ideali: ambienti riparati, deposizionali, con potenziale apporto di carbonio terrestre e materiale inorganico che aiuta a seppellire e preservare il carbonio organico. Pensate alle praterie di Posidonia nel Mediterraneo o a quelle di Enhalus e Thalassia nell’Indo-Pacifico centrale: specie persistenti, ad alta biomassa, in contesti favorevoli.

Paesaggio sottomarino grandangolare di una fitta prato di alghe di Posidonia Oceanica che si estende verso la superficie illuminata dal sole, lente grandangole larghe da 10-24 mm, focus acuta in tutta la scena, scuole di piccoli pesci d'argento che nuotano tra le lame lunghe e scure di alghe di alghe scuro, acqua turchese limpide, patch sabbiose visibili tra le sezioni di Meadow.

Nonostante tutti questi fattori, una buona parte della variabilità globale rimane ancora inspiegata. Questo suggerisce che altri fattori su scala locale (idrologia, sedimentologia, storia dei disturbi) giocano un ruolo determinante. Quindi, i modelli migliori per stimare il carbonio saranno quelli locali o regionali.

Il Prezzo della Perdita: Emissioni e Costi Sociali da Capogiro

E veniamo al punto dolente. Cosa succede se non proteggiamo queste preziose praterie? Lo studio ha provato a fare una stima di “primo ordine” delle potenziali emissioni di CO2. Combinando i dati sugli stock di carbonio con le mappe del rischio di declino rapido delle praterie, si stima che, se non si interviene, potremmo perdere circa 5.25 Mg C ha-1 entro il 2050, assumendo che il 53% del carbonio nel suolo venga remineralizzato e rilasciato. Aggiungendo la perdita della biomassa (altri 2.01 Mg C ha-1), e proiettando il tutto sulla superficie globale stimata delle praterie marine (circa 433,281 km2), arriviamo a una cifra sconcertante: 1,154 Teragrammi (Tg) di CO2 emessi entro il 2050. Per darvi un’idea, un Teragrammo equivale a un milione di tonnellate!

Tradotto in termini economici, utilizzando un costo sociale del carbonio di 185 dollari (USD 2020) per Mg di CO2, la mancata protezione di questi habitat potrebbe costarci la bellezza di 213 miliardi di dollari (con un range tra 123 e 314 miliardi) entro il 2050. E questa è una stima conservativa, perché considera solo la perdita degli stock esistenti nei primi 30 cm di suolo e non il mancato sequestro futuro di carbonio!

Perché 30 Centimetri? Una Scelta Conservativa e Realistica

Qualcuno potrebbe chiedersi perché ci si concentra sui primi 30 cm di suolo, quando studi precedenti consideravano profondità fino a 1 metro. La scelta è ponderata. Innanzitutto, la maggior parte dei dati disponibili proviene da carotaggi inferiori al metro (ottenere carote più lunghe sott’acqua è complicato e non sempre possibile, specie se il suolo è sottile). Inoltre, estrapolare linearmente i dati da carote corte a 1 metro può portare a sovrastime, specialmente in suoli ricchi di carbonio.

Ma soprattutto, per la contabilità del carbonio, è appropriato usare la profondità che è effettivamente a rischio di perdita. Non sappiamo ancora con certezza fino a che profondità gli stock di carbonio siano influenzati dal degrado delle praterie, ma minacce come la pesca a strascico, una delle più impattanti, sembrano agire proprio nei primi 10-30 cm di suolo. Inoltre, lo strato superficiale del suolo marino contiene generalmente più carbonio labile, quello più facilmente remineralizzabile. Quindi, limitare le stime ai primi 30 cm è un approccio più cauto e, probabilmente, più realistico.

Scatto diviso, mezzo sott'acqua che mostra un fiorente lettino di alghe con una tartaruga marina verde (Chelonia mydas) che pascola pacificamente, metà sopra l'acqua che mostra una costa calma e soleggiata con palme, lenti grandangoli di 15 mm, focalizzarsi in modo forte su entrambe le metà, acqua chiara che rivela i dettagli del fondo sabbioso e del mare.

Oltre il Carbonio: I Molteplici Benefici delle Praterie Marine

È fondamentale ricordare che il valore delle praterie marine va ben oltre il carbonio. Questi ecosistemi sono cruciali per:

  • Sostenere la biodiversità, offrendo cibo e rifugio a innumerevoli specie, incluse alcune a rischio di estinzione.
  • Supportare la pesca e quindi i mezzi di sussistenza di molte comunità costiere.
  • Proteggere le coste dall’erosione, smorzando l’energia delle onde.
  • Migliorare la qualità dell’acqua, filtrando nutrienti e sedimenti.

La conservazione di questi habitat, quindi, porta con sé una miriade di co-benefici che rendono il loro valore inestimabile.

Cosa Ci Dice Questo Studio (e Cosa Dobbiamo Fare)?

Questo nuovo studio ci fornisce una comprensione più robusta e affidabile degli stock globali di carbonio nelle praterie marine. La stima centrale è più bassa di quanto pensassimo, ma è anche più solida e rappresenta meglio la realtà globale. Questo è un passo avanti enorme per informare le politiche climatiche e i meccanismi di finanziamento, come i crediti di carbonio blu, che stanno prendendo sempre più piede.

Certo, ci sono ancora lacune da colmare: dobbiamo capire meglio i fattori che guidano la variabilità degli stock di carbonio, l’entità della remineralizzazione dopo la perdita delle praterie, il destino del carbonio rilasciato e migliorare le mappe della distribuzione globale di questi ecosistemi. Ma una cosa è chiarissima: il beneficio di conservare gli stock di carbonio esistenti nelle praterie marine è immenso.

Anche con un approccio più conservativo, le emissioni potenziali dovute alla perdita di questi habitat sono significative su scala globale. Proteggere le praterie marine esistenti è una delle strategie più costo-efficaci per la mitigazione del cambiamento climatico attraverso soluzioni basate sulla natura. E, come abbiamo visto, i vantaggi non si fermano qui.

Insomma, amici, abbiamo dei veri e propri tesori sommersi da custodire. La scienza ci sta dando strumenti sempre più precisi per capirne il valore. Ora tocca a noi agire per proteggerli, per il bene del clima, della biodiversità e del nostro futuro.

Fonte: Springer

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