Potere in Evoluzione: Come la Guerra in Ucraina sta Riscrivendo l’Identità dell’UE (e la Nostra)
Ciao a tutti! Viviamo in tempi che definire “interessanti” è un eufemismo, non trovate? La guerra in Ucraina ci ha sbattuto in faccia una realtà cruda: il mondo è diventato tremendamente imprevedibile. E in questo scenario, l’Unione Europea, quel gigante spesso percepito come lento e burocratico, si è trovata a dover fare i conti con sé stessa, a cambiare pelle quasi in tempo reale. Oggi voglio portarvi con me in un viaggio per capire questa trasformazione, usando una lente un po’ diversa dal solito: quella del potere pragmatista e del concetto affascinante di “potere proteiforme”.
Ma che diavolo è il “Potere Proteiforme”?
Lasciamo perdere per un attimo le classiche definizioni di potere come dominio o forza bruta. Qui parliamo di qualcosa di più sottile e, se volete, più organico. Immaginate il potere non come una clava da brandire, ma come la capacità di navigare in acque agitate, di innovare e improvvisare quando le mappe non servono più. È la capacità di adattarsi, di cambiare forma (proprio come il dio greco Proteo, da cui il nome) per raggiungere un obiettivo in un mondo che, diciamocelo, spesso rema contro.
Secondo l’approccio pragmatista che esploriamo qui, il potere è un processo di crescita, non solo di sopravvivenza. È la capacità di “fare mondi”, di causarne la nascita e la trasformazione. E la cosa più interessante? Questa trasformazione non riguarda solo il mondo esterno, ma anche noi stessi. Cambiamo il mondo e, nel farlo, veniamo cambiati dalle nostre stesse azioni. È un’idea potente, no? Pensateci: a volte la soluzione a un problema non è forzare la realtà, ma trasformare noi stessi per renderla tollerabile o addirittura vantaggiosa.
Questo concetto si sposa alla perfezione con l’idea di “potere proteiforme” sviluppata da studiosi come Katzenstein e Seybert. Loro hanno acceso i riflettori sulla capacità di adattamento, agilità e auto-trasformazione di fronte a quella che chiamano “incertezza radicale”. Ecco, la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina nel febbraio 2022 è l’esempio perfetto di questa incertezza radicale.
L’Invasione Russa: Uno Shock che ha Rotto gli Schemi (e i Tabù)
Ricordate quei giorni? Nonostante gli allarmi lanciati dagli USA, molti in Europa faticavano a credere che potesse succedere davvero. Come ha ammesso lo stesso Alto Rappresentante Josep Borrell, non eravamo preparati. La velocità e la portata degli eventi erano eccezionali. Ci siamo trovati tutti sorpresi, impreparati di fronte alla brutalità dell’aggressione e anche alla tenacia della resistenza ucraina.
Questa situazione di shock, di “incertezza radicale”, è il terreno fertile dove il potere proteiforme, o meglio, quello che potremmo chiamare potere evolutivo, prospera. Il potere evolutivo è quella forza che emerge quando le vecchie abitudini non funzionano più e siamo costretti a cambiare, ad adattarci, a trasformarci per rispondere a sfide impreviste. Si contrappone al potere di mantenimento (sustaining power), quello che usiamo ogni giorno per mantenere stabili le nostre relazioni e il mondo così come lo conosciamo.
Di fronte all’invasione, l’UE ha dovuto fare proprio questo: evolvere. Borrell ha parlato esplicitamente della necessità di accettare il cambiamento, di adattarsi, privilegiando flessibilità e resilienza. E ha sottolineato come l’UE abbia dovuto “rompere tabù”. Decisioni considerate impossibili fino a un giorno prima sono diventate realtà in poche ore o giorni.
Caso Studio 1: Armi Letali via EPF – Il Tabù Infranto
Uno degli esempi più lampanti di questa trasformazione è stato l’utilizzo del Fondo Europeo per la Pace (EPF) per finanziare la consegna di armi letali all’Ucraina. Attenzione, l’EPF esisteva già dal marzo 2021. Era stato creato proprio per superare i limiti precedenti, permettendo all’UE di fornire equipaggiamento militare (anche letale, seppur con molte cautele e dibattiti iniziali) a paesi partner. Era già un passo importante, un “tabù rotto modestamente, silenziosamente”, come ha detto un intervistato.
Ma nessuno nel 2021 avrebbe immaginato quello che sarebbe successo. L’idea era di usare l’EPF principalmente per partner africani, per sfide come il terrorismo o la costruzione della pace. L’invasione russa ha cambiato tutto. Il 27 febbraio 2022, pochissimi giorni dopo l’attacco, l’UE ha approvato un primo pacchetto da 500 milioni di euro dall’EPF per armi all’Ucraina. Una cifra enorme, superiore a tutti gli impegni presi fino a quel momento con quel fondo.
Questo è stato un momento “spartiacque”, come l’ha definito Ursula von der Leyen. L’UE, tradizionalmente vista (e auto-percepita) come un attore di pace, normativo, stava finanziando attivamente l’invio di armi in una guerra interstatale. “Un altro tabù è caduto. Il tabù che l’Unione Europea non fornisse armi in una guerra”, ha dichiarato Borrell.
Questa mossa ha avuto conseguenze enormi:
- Il budget iniziale dell’EPF si è rivelato subito insufficiente, costringendo a un aumento massiccio (fino a 12 miliardi di euro nel giugno 2023).
- L’orientamento del fondo si è spostato drasticamente verso Est e verso un conflitto tradizionale.
- Ha contribuito a trasformare l’immagine dell’UE in quella di un attore più “geopolitico” e disposto a correre rischi.
Certo, questo ha sollevato interrogativi sulla coerenza con l’identità “pacifista” dell’UE e questioni legali e di responsabilità. Ma dimostra una capacità di auto-trasformazione notevole: l’UE ha guadagnato potere cambiando sé stessa e i propri strumenti.
Caso Studio 2: EUMAM – Addestrare sul Suolo Europeo
Un altro esempio affascinante di questa “creatività dell’azione” è la missione di assistenza militare dell’UE all’Ucraina (EUMAM), lanciata nell’ottobre 2022. L’idea non era nuova. L’Ucraina l’aveva richiesta già nel 2021, ma all’epoca non se ne fece nulla. C’erano troppe resistenze, timori di provocare la Russia. Alcuni paesi erano contrari.
Poi è arrivata la guerra. E, come ha detto Borrell, quelle discussioni che si trascinavano da mesi (“Dobbiamo mandare una missione di addestramento in Ucraina?”, “No, dai, militari in Ucraina…”) sono state spazzate via dall’urgenza. Ciò che prima era impensabile è diventato necessario. E la missione è partita, “rapidamente – beh, rapidamente per gli standard europei”, ha ammesso Borrell con onestà.
Ma la vera innovazione, il vero “salto evolutivo” qui, sta nel dove si svolge questa missione. L’UE ha grande esperienza in missioni di addestramento militare, ma le ha sempre condotte fuori dai propri confini. L’EUMAM, invece, addestra i soldati ucraini principalmente in Polonia e Germania, cioè sul territorio dell’UE. Questo ha richiesto un’interpretazione creativa (alcuni direbbero forzata) dei Trattati, che parlano di missioni “fuori dall’Unione”.
Anche qui, vediamo l’UE diventare un attore più disposto a correre rischi. Addestrare l’esercito di un paese in guerra contro una potenza nucleare, anche se sul proprio territorio, non è privo di pericoli (disinformazione, sabotaggio, escalation). Eppure, l’UE ha deciso di farlo, dimostrando una trasformazione significativa rispetto alla sua tradizionale avversione al rischio in ambito CSDP (Politica di Sicurezza e Difesa Comune). È un altro tassello nella costruzione di quella che Borrell chiama “l’Europa geopolitica”.
I Limiti del Potere Proteiforme: Quando la Macchina si Inceppa
Bello tutto questo parlare di agilità, adattamento, evoluzione. Ma siamo onesti: l’UE non è esattamente una gazzella. Nonostante gli sforzi evidenti, la sua natura complessa, multilivello, intergovernativa pone dei limiti significativi a questa capacità proteiforme.
Il primo grande ostacolo è proprio l’intergovernamentalismo. La politica estera e di sicurezza richiede l’unanimità (o quasi) dei 27 Stati membri. E mettere d’accordo 27 teste, con interessi e sensibilità diverse, è un’impresa titanica, specialmente in tempi di crisi. Lo abbiamo visto con l’EPF: anche se la decisione iniziale è stata unanime, nel tempo sono emerse opposizioni (Ungheria) o malumori (Germania, paesi neutrali). Lo abbiamo visto con l’EUMAM: le discussioni pre-invasione si erano arenate per i veti incrociati, e anche dopo, la pianificazione ha risentito delle tensioni tra gli stati (es. tra Germania e Polonia). Perché l’UE rompa un tabù, spesso serve che quel tabù sia già caduto (o stia cadendo) a livello nazionale in molti paesi chiave.
Il secondo problema sono le classiche patologie burocratiche. Regole finanziarie rigide, procedure complesse, “tunnel vision” istituzionale… tutto questo rallenta la capacità di reazione rapida di fronte all’incertezza radicale. Anche l’amministrazione dell’EPF, divisa tra diverse strutture (SEAE, Commissione), soffre di queste complessità e potenziali frizioni.
Questi ostacoli non impediscono del tutto il manifestarsi del potere evolutivo – l’UE sta cambiando – ma ne limitano la velocità e l’efficacia. Non serve essere super agili per trasformarsi nel tempo, ma certo, un po’ più di scioltezza non guasterebbe.
Cosa ci Insegna Tutto Questo?
Allora, che conclusioni possiamo trarre da questo viaggio nel potere in trasformazione dell’UE?
Innanzitutto, che guardare all’UE attraverso la lente del potere pragmatista ed evolutivo ci offre una prospettiva ricca e sfumata. Ci aiuta a capire come un attore complesso come l’Unione possa, di fronte a shock esterni, non solo reagire ma anche reinventarsi, cambiando i propri strumenti, le proprie norme e persino la propria identità. L’uso dell’EPF e il lancio dell’EUMAM sono esempi potenti di questa capacità di auto-trasformazione.
In secondo luogo, ci ricorda che il potere non è solo controllo o dominio (anche se questi aspetti esistono, pensiamo alle sanzioni). C’è anche un potere che deriva dalla creatività, dalla flessibilità, dalla capacità di imparare e adattarsi. Forse, per l’UE, fissarsi troppo sull’agilità fine a sé stessa potrebbe essere controproducente. L’importante è coltivare la capacità di adattamento e la consapevolezza che i mezzi che sviluppiamo oggi possono aprire la strada a fini che ieri non potevamo nemmeno immaginare.
Infine, il futuro resta incerto. Gli esiti a lungo termine della guerra e della risposta europea sono tutt’altro che scritti. Il potere evolutivo, per sua natura, non ha un traguardo fisso. Ma proprio per questo, l’approccio pragmatista ci invita a riconoscere le tante possibilità che ancora esistono, le tante opportunità all’orizzonte. Se l’UE vuole davvero costruire quella “resilienza” e “autonomia strategica” di cui tanto parla, dovrà continuare a coltivare questa sensibilità, questa capacità di navigare l’incertezza, sia fuori che dentro i propri confini.
È un processo affascinante, a tratti frustrante, ma senza dubbio cruciale per il futuro dell’Europa. E, in fondo, anche per il nostro.
Fonte: Springer