Frattura del Collo del Femore: Il Segreto è nella Posizione (Assiale) delle Viti?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che sta molto a cuore a noi che ci occupiamo di ossa rotte, in particolare di una delle fratture più comuni e delicate: quella del collo del femore. Sapete, quelle che colpiscono spesso i nostri nonni a causa dell’osteoporosi, ma che possono capitare anche ai più giovani per traumi ad alta energia.
L’Incubo della Frattura del Collo Femorale
Quando ci si rompe il collo del femore, soprattutto se si è giovani o se la frattura non è scomposta negli anziani, l’obiettivo è quasi sempre quello di salvare l’anca originale. Niente protesi, se possibile! Si cerca di rimettere insieme i pezzi con una riduzione anatomica e una fissazione stabile. E qui entrano in gioco loro: le viti cannulate. Sono tra gli strumenti preferiti perché sono poco invasive, facili da usare e permettono una certa compressione dinamica sulla frattura, che aiuta la guarigione.
La tecnica più diffusa prevede l’inserimento di tre viti in una configurazione a triangolo invertito, cercando di metterle il più distanziate possibile per dare maggiore stabilità. Sembra semplice, no? Eppure, nonostante tutti gli sforzi, i fallimenti della fissazione non sono rari (si parla dell’11-32% dei casi!) e a volte il collo del femore collassa o si accorcia. Un vero rompicapo.
Il Dilemma della Posizione: Non Solo Sopra e Sotto, Ma Anche Avanti e Dietro!
Abbiamo studiato tanto come posizionare le viti guardando la radiografia frontale (antero-posteriore, o AP), ma c’è un’altra dimensione da considerare: la vista assiale, quella che ci fa vedere se le viti sono più verso la pancia (anteriori) o verso la schiena (posteriori). Si è visto che il collasso del collo femorale può avvenire anche in questo piano. Alcuni studi suggeriscono che mettere una vite specifica (magari filettata per tutta la sua lunghezza) più indietro possa prevenire il collasso posteriore. Altri ancora hanno notato che proprio la comminuzione (frantumazione) posteriore e l’inclinazione all’indietro del frammento della testa femorale sono problemi frequenti e cause di perdita della riduzione e mancata consolidazione.
Insomma, c’è un gran dibattito, ma poche informazioni precise su quale sia la posizione assiale ideale per massimizzare la stabilità. Ed è qui che entriamo in gioco noi con la nostra curiosità e uno strumento potentissimo: l’analisi agli elementi finiti (FEA).
Simulare per Capire: Il Nostro Studio FEA
Cosa abbiamo fatto? In pratica, abbiamo creato dei modelli computerizzati super dettagliati del femore, partendo da scansioni TAC reali. Abbiamo simulato una frattura specifica (tipo Pauwels II, con un’inclinazione di 50°) e poi abbiamo “operato” virtualmente questi femori inserendo tre viti cannulate. Non ci siamo accontentati: abbiamo creato modelli sia per osso normale che per osso osteoporotico, perché sappiamo che la qualità dell’osso fa una differenza enorme.
L’idea era testare diverse configurazioni:
- Posizione Assiale: Viti messe più anteriormente, centralmente o posteriormente nella testa del femore.
- Configurazione Geometrica: Abbiamo variato leggermente l’angolo di inclinazione delle viti e la distanza tra loro (intervallo inter-vite), creando tre “tipi” di montaggio (tipo 1: angolo 8°, distanza 10mm; tipo 2: angolo 6°, distanza 10mm; tipo 3: angolo 8°, distanza 6mm).
Abbiamo poi applicato delle forze virtuali che simulano il carico sull’anca quando si sta in piedi su una gamba sola (circa 3 volte il peso corporeo sulla testa del femore e 1 volta il peso corporeo per la forza dei muscoli abduttori). L’obiettivo? Misurare dove si concentrava lo stress (usando un parametro chiamato “stress di von Mises”, PVMS) sia sulle viti che sull’osso circostante. La nostra ipotesi era che una posizione più anteriore delle viti avrebbe resistito meglio alle forze che tendono a far piegare il collo del femore all’indietro, aumentando la stabilità.
I Risultati: Anteriorità e Distanza Fanno la Forza!
Ebbene, i risultati dell’analisi FEA sono stati piuttosto chiari e hanno confermato la nostra ipotesi. Ecco il succo:
- Concentrazione dello Stress: In tutti i modelli, lo stress maggiore si concentrava sempre sulla vite inferiore, vicino alla linea di frattura, e sull’osso attorno a questa vite (sia vicino alla testa della vite nella corticale laterale, sia sulla punta della vite nella testa femorale).
- Effetto della Posizione Assiale: Lo stress (sia il picco, PVMS, sia la media) su viti e osso diminuiva significativamente man mano che la posizione delle viti si spostava da posteriore ad anteriore nella vista assiale.
- Effetto della Geometria: Lo stress diminuiva anche quando l’angolo di inclinazione delle viti aumentava (entro certi limiti, nel nostro caso 8° era meglio di 6°) e, soprattutto, quando l’intervallo tra le viti era massimizzato (10 mm era meglio di 6 mm). Confrontando i modelli, l’intervallo tra le viti sembrava avere un impatto maggiore dell’angolo di inclinazione.
- Osteoporosi: Nei modelli con osso osteoporotico, gli stress erano generalmente più alti, come c’era da aspettarsi. In particolare, con le viti in posizione posteriore e/o con intervallo ridotto, i picchi di stress sulla corticale laterale superavano spesso la soglia di resistenza dell’osso, indicando un rischio maggiore di fallimento. Addirittura, nel modello peggiore (tipo 3, posteriore, osteoporotico), lo stress sulla vite si avvicinava pericolosamente (95.6%) al suo limite di snervamento!
- Micro-movimenti: Curiosamente, non abbiamo trovato differenze significative nei micro-movimenti tra i frammenti di frattura tra i vari modelli. Tutti mostravano spostamenti molto piccoli (sotto i 5 mm), suggerendo che, per questo tipo di frattura (Pauwels II), tutte le configurazioni testate potrebbero fornire una stabilità sufficiente per la guarigione, almeno dal punto di vista del movimento.
Perché la posizione anteriore è migliore? Pensiamo che sia perché resiste meglio alle forze di flessione posteriore che agiscono sul collo del femore durante il carico. Il collo del femore ha una naturale antiversione (è leggermente ruotato in avanti), quindi camminando tende a subire una forza che lo piega all’indietro. Una fissazione più anteriore contrasta meglio questa tendenza, prevenendo l’inclinazione posteriore della testa femorale (retroversione), che è una causa comune di fallimento.
Cosa Portiamo a Casa (o in Sala Operatoria)?
Quindi, cosa ci dice questo studio? Che per aumentare la stabilità della fissazione con tre viti cannulate nelle fratture del collo del femore e ridurre lo stress sui materiali (e quindi il rischio di rottura o fallimento):
- È consigliabile posizionare le viti leggermente anteriori rispetto al centro nella vista assiale.
- È fondamentale massimizzare la distanza tra le viti (l’intervallo inter-vite), compatibilmente con l’anatomia del femore del paziente.
Ovviamente, non si può esagerare con l’anteriorità: mettere le viti troppo eccentriche potrebbe accorciarle troppo e distribuire male lo stress. Nel nostro modello, un’inclinazione anteriore di circa 8 gradi sembrava essere un buon compromesso, ma questo va adattato alla geometria specifica di ogni femore. E bisogna essere ancora più cauti nei pazienti con osteoporosi, dove i margini di sicurezza sono ridotti.
Limiti e Prospettive Future
Come ogni studio, anche il nostro ha dei limiti. È un’analisi al computer, non su pazienti reali. Abbiamo semplificato le forze in gioco e il modo in cui le viti interagiscono con l’osso. Non abbiamo considerato la fatica dei materiali nel tempo. Tuttavia, crediamo che i risultati offrano un’indicazione importante e, per quanto ne sappiamo, è la prima volta che si indaga così a fondo l’effetto della posizione assiale delle viti con l’FEA, considerando anche l’osteoporosi.
Il prossimo passo? Servono studi clinici su larga scala per confermare queste scoperte e vedere se applicare questi principi porti davvero a meno complicazioni e migliori risultati per i pazienti. Ma intanto, abbiamo un indizio in più per ottimizzare una tecnica chirurgica già molto diffusa. La ricerca non si ferma mai!
Fonte: Springer