Pillole a Go-Go in Uganda: Quando Troppi Farmaci Diventano un Problema Serio!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un tema che, scommetto, tocca molti di noi più da vicino di quanto pensiamo: la polifarmacia. Sembra un parolone, vero? In realtà, è semplicemente quando si prendono tanti farmaci contemporaneamente, di solito cinque o più. E badate bene, non è sempre un male: per pazienti con condizioni complesse come l’insufficienza cardiaca, la tubercolosi o l’HIV, una terapia con più farmaci può essere addirittura salvavita, seguendo le linee guida mediche.
Però, ammettiamolo, spesso questa “abbuffata” di medicinali porta con sé un bel po’ di grattacapi. Pensateci: aumento dei costi sanitari, errori di terapia, ricoveri ospedalieri più frequenti e una sfilza di effetti collaterali poco simpatici. Si va dalle interazioni farmacologiche pericolose, alle reazioni avverse, fino a un maggior rischio di sindromi geriatriche (cadute, fratture), problemi cognitivi, danni ai reni e persino sarcopenia. E non dimentichiamo che ingurgitare un sacco di pillole è uno dei motivi principali per cui i pazienti, alla fine, gettano la spugna e non seguono più le cure come dovrebbero. Insomma, la polifarmacia può diventare un vero e proprio fardello economico sia per il sistema sanitario che per noi pazienti.
La sua diffusione nel mondo? Varia tantissimo, dal 10% al 90%, a seconda dell’età delle persone considerate, di come si definisce la polifarmacia, del sistema sanitario e del luogo. Per darvi un’idea: in Svezia, il 44% degli over 65 è in polifarmacia; in Arabia Saudita, la percentuale sale al 46% tra i pazienti ambulatoriali; e in Polonia, ben il 56% degli ultraottantenni. Uno studio recente in Sudafrica ha addirittura contato una media di 12 farmaci prescritti ai pazienti geriatrici ambulatoriali!
E in Uganda, come siamo messi?
Finora, gli studi in Uganda si erano concentrati su gruppi specifici, come gli anziani con HIV o i pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca. Per esempio, tra gli anziani con HIV in terapia antiretrovirale, la polifarmacia era al 15,3%. Un altro studio su pazienti ricoverati per scompenso cardiaco ha trovato reazioni avverse ai farmaci nel 56% dei casi, strettamente legate proprio alla polifarmacia. Ma mancavano dati sulla popolazione adulta generale che si rivolge agli ambulatori.
Ed è qui che entro in gioco io, o meglio, un interessantissimo studio condotto tra ottobre e dicembre 2023 al Kitgum General Hospital, un ospedale pubblico nel distretto di Kitgum, nel nord dell’Uganda. L’obiettivo? Capire quanto fosse diffusa la polifarmacia tra gli adulti che ricevevano cure ambulatoriali e quali fattori la favorissero.
Chi ha partecipato e come si è svolto lo studio?
Sono stati coinvolti 422 partecipanti, con un’età media di 43 anni. Immaginatevi la scena: ricercatori che, con un questionario strutturato (tradotto anche in lingua Acholi, per capirci meglio!), intervistavano faccia a faccia i pazienti in una stanza tranquilla, garantendo la privacy. Hanno raccolto un sacco di informazioni: età, sesso, indice di massa corporea, abitudini come il fumo, livello di istruzione, presenza di malattie croniche (ipertensione, diabete…), eventuali ricoveri passati, e ovviamente, il numero di farmaci assunti. Ah, per “polifarmacia” si intendeva l’uso contemporaneo di cinque o più medicinali. Sono stati esclusi solo i pazienti gravissimi o che necessitavano di cure immediate.

I dati sono stati poi analizzati con software statistici per scovare le associazioni significative. E i risultati, ragazzi, sono stati piuttosto eloquenti!
I risultati “scottanti” dal Kitgum General Hospital
Tenetevi forte: ben il 43,4% dei partecipanti era in polifarmacia! Praticamente quasi 2 persone su 5. E la cosa interessante è che più di un terzo di loro (il 35,3%) soffriva di malattie croniche, con l’ipertensione (38,3%) e il diabete mellito (17,5%) a farla da padrone.
La maggior parte dei pazienti in polifarmacia assumeva antibiotici (il 91,8%, un dato altissimo!) e analgesici (77,6%). Ma non finisce qui: il 34,4% ha dichiarato di usare farmaci da banco (quelli che compri senza ricetta, per intenderci) e il 14,2% faceva uso di medicine a base di erbe.
Analizzando i dati più a fondo, sono emersi alcuni fattori chiave associati a una maggiore probabilità di polifarmacia:
- Avere una malattia cronica: chi ne soffriva aveva quasi 6 volte (aOR: 5.93) più probabilità di essere in polifarmacia. Logico, no? Più acciacchi, più medicine.
- L’uso di farmaci da banco (OTC): qui la probabilità schizzava alle stelle, ben 16,7 volte (aOR: 16.7) in più rispetto a chi non ne faceva uso. Questo fa riflettere sull’automedicazione!
E la sorpresa? L’uso di medicine a base di erbe era associato a una minore probabilità di polifarmacia (una riduzione del rischio del 64%, aOR: 0.36). Davvero curioso, e meriterebbe un approfondimento!
Tra i farmaci da banco più gettonati c’erano analgesici (40%), antibiotici (36,6% – e qui c’è da preoccuparsi per l’antibiotico-resistenza!), antimalarici (24,8%), antiallergici (23,4%) e integratori (18,6%).
Un altro dato che mi ha colpito è che la maggioranza dei partecipanti (160 persone) ha dichiarato che gli operatori sanitari non avevano spiegato lo scopo e i potenziali effetti collaterali dei farmaci prescritti. D’altro canto, molti (173) si sentivano a proprio agio nel discutere dei loro regimi terapeutici.
Confronto con il resto del mondo e riflessioni
Questo 43,4% di polifarmacia è un dato bello alto, paragonabile a quello trovato in Svezia tra gli over 65 (44%) e in Arabia Saudita tra i pazienti ambulatoriali (46%). Probabilmente perché tutti questi studi si sono concentrati su pazienti ambulatoriali. È però più basso rispetto a studi su popolazioni molto anziane (over 80 in Polonia, 56%) o su pazienti geriatrici in Sudafrica (dove la media era di 12 farmaci!). Questo perché, ovviamente, gli anziani tendono ad avere più malattie croniche e quindi necessitano di più farmaci.
È interessante notare come questo tasso sia significativamente più alto rispetto a uno studio precedente condotto a Kampala, sempre in Uganda, su pazienti ambulatoriali over 50 con HIV (15,3%). Le differenze potrebbero dipendere dal fatto che i partecipanti allo studio di Kitgum erano lì perché malati e in cerca di cure, mentre nello studio di Kampala molti erano lì solo per il rinnovo della terapia antiretrovirale e stavano bene. Inoltre, lo studio di Kitgum ha considerato tutti i farmaci assunti, inclusi quelli non prescritti.
Il fatto che le malattie croniche aumentino il rischio di polifarmacia non sorprende. Chi ha più patologie spesso si ritrova con una lunga lista di medicinali, con tutti i rischi connessi (reazioni avverse, scarsa aderenza, interazioni). Per questo, una revisione attenta e regolare delle terapie farmacologiche sarebbe fondamentale. Un altro fattore che potrebbe aver contribuito è che lo studio è stato condotto in una struttura pubblica dove i farmaci sono gratuiti. Si sa che il costo dei medicinali può influenzare negativamente l’aderenza alle terapie.

L’associazione fortissima tra uso di farmaci da banco e polifarmacia è un campanello d’allarme. Chi compra farmaci in farmacia privata potrebbe assumerli contemporaneamente a quelli prescritti in ospedale, aumentando il rischio. È un po’ come aggiungere ingredienti a una ricetta senza consultare lo chef!
Cosa ci portiamo a casa da questo studio?
Beh, prima di tutto che la polifarmacia è una realtà diffusa e preoccupante tra i pazienti ambulatoriali adulti al Kitgum General Hospital. Le malattie croniche e l’uso di farmaci da banco sono i principali “colpevoli”.
C’è un bisogno urgente di mettere in atto strategie per mitigare questo fenomeno, specialmente per chi soffre di patologie croniche o fa largo uso di medicinali OTC. Bisognerebbe far rispettare di più le linee guida prescrittive e la disciplina tra gli operatori sanitari. E poi, ragazzi, è fondamentale aumentare la consapevolezza pubblica sui pericoli dell’automedicazione, sottolineando i rischi di costi aggiuntivi, reazioni avverse e interazioni farmacologiche.
E quella storia delle medicine a base di erbe che sembrano “proteggere” dalla polifarmacia? Merita sicuramente ulteriori ricerche per capire meglio questa relazione.
Lo studio ha i suoi punti di forza: il sito scelto accoglie pazienti da più distretti, quindi è rappresentativo. Il questionario è stato pre-testato e i ricercatori ben addestrati. La dimensione del campione era buona. Certo, ci sono anche dei limiti: essendo uno studio trasversale, non si possono stabilire relazioni di causa-effetto. E poi, essendo stato condotto in una struttura pubblica, i risultati potrebbero non riflettere la realtà delle cliniche private.
In conclusione, la situazione al Kitgum General Hospital ci dice che dobbiamo tenere gli occhi aperti sulla polifarmacia. È un problema che richiede attenzione, strategie mirate e, perché no, un pizzico di curiosità in più verso approcci complementari, come quello delle erbe medicinali, sempre sotto la guida di esperti, ovviamente!
Fonte: Springer
