Portrait photography, 35mm lens, cattura il volto preoccupato di una persona anziana che guarda diverse boccette di pillole su un tavolo, profondità di campo che sfoca leggermente lo sfondo, duotone blu e grigio.

Frattura d’Anca e Troppi Farmaci: Un Mix Pericoloso per la Sopravvivenza?

Ragazzi, oggi voglio parlarvi di un argomento che tocca molti dei nostri cari più anziani e che, ammettiamolo, spesso sottovalutiamo: le fratture d’anca, in particolare quelle chiamate “intertrocanteriche”. Sono quelle fratture che avvengono in una zona specifica del femore, vicino all’articolazione dell’anca. Purtroppo, sono frequentissime negli over 65, complici l’osteoporosi e le cadute accidentali. E non sono una passeggiata: chi se le procura spesso affronta un percorso di guarigione più lungo e complicato rispetto ad altri tipi di frattura d’anca.

Ma c’è un altro fattore che entra in gioco, un “ospite” spesso presente nella vita degli anziani: la polifarmacia. Suona complicato? In realtà è un termine che indica semplicemente l’assunzione regolare di tanti farmaci diversi, di solito cinque o più. E credetemi, è più comune di quanto si pensi. Negli USA e in Europa, quasi la metà degli over 65 rientra in questa categoria, e tra chi si frattura l’anca la percentuale sale addirittura oltre il 50%!

Ora, la domanda sorge spontanea: questa “abbuffata” di pillole, necessaria per gestire magari diverse malattie croniche, che impatto ha quando un anziano si rompe il femore in quel punto delicato e deve subire un intervento chirurgico? È proprio quello che si sono chiesti i ricercatori di uno studio multicentrico giapponese, i cui risultati mi hanno fatto riflettere parecchio.

Cos’è la Polifarmacia e Perché Dovremmo Preoccuparcene?

Prima di tuffarci nello studio, capiamo meglio questa polifarmacia. Come dicevo, significa prendere cinque o più farmaci prescritti regolarmente. Non stiamo parlando della pastiglia presa al bisogno o dell’integratore della nonna, ma di terapie croniche.
Perché è così diffusa negli anziani? Beh, semplice:

  • Con l’età, è più facile avere più malattie croniche contemporaneamente (ipertensione, diabete, problemi cardiaci, artrosi…).
  • Il corpo cambia e metabolizza i farmaci in modo diverso.
  • A volte si accumulano prescrizioni da diversi medici senza una visione d’insieme.

Il problema è che tanti farmaci insieme possono interagire tra loro, aumentare il rischio di effetti collaterali e, come vedremo, influenzare pesantemente l’esito di eventi traumatici come una frattura. Già si sapeva che troppi farmaci aumentano il rischio di cadute (e quindi di fratture) e di riospedalizzazione. Ma cosa succede *dopo* l’intervento per una frattura intertrocanterica?

Lo Studio Giapponese: Cosa Hanno Indagato?

I ricercatori hanno messo insieme i dati di ben 11 ospedali in Giappone, analizzando i casi di pazienti over 65 operati per frattura intertrocanterica tra il 2016 e il 2020. Hanno escluso i casi di politrauma e quelli con un quadro clinico già molto compromesso (usando un indice chiamato Charlson Comorbidity Index, o CCI, escludendo chi aveva un punteggio > 3), proprio per cercare di isolare l’effetto della polifarmacia in sé, e non solo delle malattie sottostanti.

L’obiettivo principale era chiarissimo: vedere se c’era una differenza nella sopravvivenza a un anno dall’intervento tra chi prendeva meno di 5 farmaci (gruppo non-polifarmacia) e chi ne prendeva 5 o più (gruppo polifarmacia). Come obiettivo secondario, hanno anche controllato se ci fossero differenze nelle complicanze post-operatorie (delirio, trombosi venosa profonda, infezioni, problemi cardiaci o polmonari…).

Per fare un confronto il più possibile “pulito”, hanno usato tecniche statistiche avanzate. In una prima analisi, hanno “accoppiato” pazienti dei due gruppi con caratteristiche simili per età, sesso, indice di massa corporea (BMI), stato di salute generale (punteggio ASA), mobilità prima della frattura (Parker Mobility Score) e tipo di frattura. Hanno così creato quasi 500 coppie di pazienti molto simili, tranne che per il numero di farmaci assunti. In una seconda analisi, hanno usato metodi statistici (regressione di Cox con imputazione multipla) sull’intero gruppo di pazienti idonei (oltre 1600) per confermare i risultati tenendo conto di tutte le variabili.

La Scoperta Chiave: Polifarmacia e Sopravvivenza Non Vanno d’Accordo

E qui arriva il dato che fa pensare. Nell’analisi sui pazienti “accoppiati”, è emerso che il gruppo in polifarmacia aveva un tasso di sopravvivenza a un anno significativamente più basso: 91,3% contro il 94,0% del gruppo che prendeva meno farmaci. Sembra una piccola differenza? Pensateci: significa quasi 3 persone in più su 100 che non ce la fanno nel primo anno dopo l’intervento, solo per il fatto di prendere tanti farmaci.

Macro fotografia, obiettivo da 80 mm, alti dettagli di varie pillole e capsule colorate che si riversano da una bottiglia di prescrizione ambra su una superficie di legno testurizzata, focalizzazione precisa sulle pillole, illuminazione laterale controllata creando ombre morbide.

L’analisi statistica più complessa sull’intero campione ha confermato questo risultato: la polifarmacia è risultata un fattore di rischio indipendente per una minore sopravvivenza, insieme ad altri fattori già noti come l’età avanzata, essere di sesso maschile e avere uno stato di salute generale più precario (ASA-PS più alto). Al contrario, avere un BMI normale o più alto (quindi non essere sottopeso) e una migliore mobilità prima della frattura sono risultati protettivi.

E le Complicanze Post-Operatorie? Nessuna Differenza Significativa

Qui c’è un aspetto interessante e un po’ controintuitivo. Nonostante l’impatto sulla sopravvivenza a lungo termine, lo studio non ha trovato un legame significativo tra polifarmacia e l’insorgenza di complicanze acute subito dopo l’intervento, come il delirio (che comunque era la più frequente, colpendo circa il 17% dei pazienti in entrambi i gruppi), infezioni urinarie o polmoniti.

Come si spiega? I ricercatori ipotizzano che queste complicanze immediate siano forse più legate a fattori legati all’intervento stesso (durata, perdita di sangue), alla gestione post-operatoria (mobilizzazione precoce, idratazione) o a condizioni specifiche del paziente (come un deficit cognitivo preesistente per il delirio) piuttosto che al numero totale di farmaci assunti. È come dire che il “peso” farmacologico si fa sentire più sul lungo periodo che nell’immediato post-operatorio, dove altri fattori prendono il sopravvento.

Allora, Cosa Possiamo Fare? La Polifarmacia è un Nemico Modificabile!

Questa è la parte più importante, secondo me. Lo studio ci mette di fronte a un fattore di rischio – la polifarmacia – che, a differenza dell’età o del sesso, è potenzialmente modificabile. Cosa significa? Significa che forse possiamo fare qualcosa!

L’idea che emerge forte e chiara è la necessità di una revisione attenta della terapia farmacologica in questi pazienti. Non si tratta di sospendere farmaci a caso, ovviamente, ma di un lavoro di squadra. Immaginate un team multidisciplinare: l’ortopedico che opera, il geriatra che conosce le problematiche dell’anziano, e una figura chiave come il farmacista clinico. Insieme, potrebbero valutare ogni singolo farmaco: è ancora necessario? La dose è appropriata per l’età e la condizione attuale del paziente? Ci sono interazioni pericolose? Si può semplificare la terapia?

Questo approccio, magari inserito in programmi di cura “ortogeriatrici” che combinano competenze ortopediche e geriatriche, potrebbe davvero fare la differenza. Non solo per gestire i farmaci, ma per prendersi cura dell’anziano a 360 gradi: nutrizione, mobilità, funzione cognitiva.

Certo, lo studio ha i suoi limiti (è retrospettivo, fatto solo in Giappone, non ha potuto considerare tutti i fattori confondenti come la fragilità o lo stato cognitivo), ma il messaggio è potente: quando un anziano si frattura l’anca e prende tanti farmaci, dobbiamo drizzare le antenne. Ottimizzare la sua terapia potrebbe non solo prevenire effetti collaterali, ma letteralmente migliorare le sue possibilità di sopravvivere all’anno successivo.

Insomma, la prossima volta che pensiamo a un anziano dopo una frattura d’anca, non fermiamoci solo all’osso rotto. Diamo un’occhiata attenta anche a quella lista di farmaci: potrebbe nascondersi lì una chiave importante per il suo futuro. Servono sicuramente altri studi, magari prospettici, per confermare questi dati e capire quali interventi di revisione farmacologica siano più efficaci, ma la strada sembra tracciata.

Fonte: Springer

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