Un'immagine concettuale che rappresenta l'intersezione tra creatività umana e intelligenza artificiale nel contesto del diritto d'autore. Mostra una mano umana che interagisce con un'interfaccia digitale luminosa che simboleggia l'IA, con simboli di copyright e ingranaggi stilizzati sullo sfondo. Prime lens, 35mm, depth of field, duotone blu e argento per un look moderno e tecnologico, con un leggero effetto bokeh per concentrare l'attenzione sull'interazione.

Plagio AI: Quando l’Intelligenza Artificiale Diventa il Tuo Co-Autore (e Forse Non Lo Sai)

Amici, parliamoci chiaro. Da un po’ di tempo a questa parte, il mondo del diritto d’autore sembra un pugile suonato all’angolo, costretto a rispondere a colpi che arrivano da un universo parallelo. E come se non bastasse, l’intelligenza artificiale (AI) è salita sul ring, aggiungendo una dimensione di complessità che ci sta facendo girare la testa. In questi giorni, sentiamo un gran parlare di contenuti generati dall’AI, di quelli “assistiti” dall’AI, dei dilemmi etici e di come vengono addestrate queste nuove intelligenze. Ma, e c’è un “ma” grosso come una casa, forse stiamo trascurando delle questioni che hanno un impatto pratico e teorico enorme, proprio sotto il nostro naso.

Mi sono immerso in questa riflessione e voglio portarvi con me in un viaggio per capire come il panorama attuale, spinto anche dalle ambizioni (non prettamente legate al copyright, va detto) dell’Unione Europea, stia scuotendo le fondamenta del diritto d’autore. Parliamo di concetti che davamo per scontati: cos’è un’opera d’ingegno? Come si evolve la prova della paternità? Possiamo ancora fidarci delle vecchie presunzioni? E soprattutto, ci aspetta una rivoluzione copernicana in questo campo?

Dall’altro lato, guardando al futuro, mi chiedo: come possiamo usare le nuove regole sulla trasparenza, che l’UE sta mettendo a punto con il suo AI Act, per ristrutturare e adattare il copyright? Quali effetti possiamo prevedere, considerando che siamo in un settore dove la competizione è più agguerrita di una finale dei mondiali?

Ma l’AI è un autore o uno strumento? E chi decide?

Negli ultimi anni, il dibattito scientifico sull’AI è esploso, e il copyright non è rimasto a guardare. Si discute animatamente sulla valutazione dei contenuti generati dall’AI, sulla possibilità di creare nuovi diritti specifici (i cosiddetti diritti sui generis), sull’interpretazione dell’uso di opere esistenti per addestrare l’AI, sulle questioni etiche e sulla classificazione delle opere “assistite” dall’AI. Mentre lentamente emergono delle risposte e iniziamo a vedere più chiaramente alcuni dilemmi, ecco che spuntano nuovi problemi, molto pratici e attuali. Ed è proprio su questi che, secondo me, dobbiamo concentrarci, quasi prima ancora di aver risolto le questioni già sul tavolo.

La domanda che mi ronza in testa è: come facciamo a determinare la natura e la quantità dell’assistenza fornita dall’AI? Come proviamo il suo grado e la sua importanza? E che impatto ha tutto questo sulla percezione di ciò che sembra un’opera d’ingegno? Questo ci porta dritti a un’altra questione: il processo per cui qualcosa viene “qualificato come opera” è stato davvero oggettivo finora? Possiamo trarre conclusioni valide solo guardando l’opera, senza sapere chi l’ha creata?

Anche se il diritto d’autore non si basa su presunzioni riguardo allo status di “opera” (siamo più abituati alle presunzioni di paternità), in sostanza, la natura di una creazione come opera d’ingegno è spesso considerata un punto di partenza quasi automatico. Una domanda fondamentale è: mentre le aspirazioni dell’AI Act dell’UE sulla trasparenza potrebbero avere implicazioni per il diritto d’autore, quale impatto potrebbero avere sulle presunzioni e sulle basi esistenti del copyright?

Per capirci qualcosa, ho analizzato la letteratura scientifica e mi sono addentrato in un’analisi dottrinale, partendo da esempi nazionali per mostrare come alcune nozioni e regole considerate fondamentali per il copyright non siano uniformi, non solo a livello globale, ma nemmeno all’interno dell’Unione Europea. Si può ipotizzare che la soglia estremamente bassa per l’accesso alla protezione del diritto d’autore, legata anche al principio della protezione senza formalità, abbia già generato parecchie incertezze. Queste incertezze sono particolarmente esacerbate dalla comparsa massiccia di opere assistite dall’AI, che hanno dato una nuova dimensione a quello che è già considerato una forma specifica di plagio.

Un'immagine concettuale che mostra una mano umana che digita su una tastiera futuristica, con linee di codice e simboli di copyright che fluttuano intorno. Sullo schermo del computer, un'interfaccia AI complessa. L'illuminazione è controllata, con un focus preciso sulla mano e sulla tastiera, suggerendo l'interazione tra uomo e macchina. Macro lens, 60mm, high detail.

Il legame indissolubile (o quasi) tra autore e opera

Il diritto d’autore, come lo conosciamo oggi, ha già fornito risposte, nuove o riconsiderate, a molte domande e si basa su principi fondamentali che offrono un punto di partenza stabile. L’oggetto della protezione sembra un punto fermo, anche se i confini precisi di questo oggetto sono in continua evoluzione. Questo perché la regolamentazione mira essenzialmente a incoraggiare il lavoro creativo – che sia per ragioni culturali, di incentivo agli investimenti o altro è una considerazione importante – ma lo fa attraverso le opere individuali e originali create dagli autori. Al creatore viene concesso il diritto d’autore non solo per la sua attività creativa, ma anche per l’opera individuale e originale da lui creata. Questo legame tra creatore e creazione significa che non possiamo considerare il creatore senza la sua creazione, né la creazione senza il suo creatore.

Tuttavia, ciò non significa che la forza e il contenuto della relazione tra l’opera e il suo creatore siano sempre gli stessi. Molti fattori determinano e arricchiscono questa relazione. Così, nel caso di certi tipi di opere, il legame è spesso più debole: pensiamo a certe opere funzionali o su commissione, o a certe forme di creazione collettiva. È chiaro che il creatore mantiene una “distanza” maggiore, scegliendo di non esercitare i propri diritti, trasferendoli quando possibile, o addirittura dedicando la propria opera al pubblico dominio. D’altra parte, senza il creatore, è difficile definire l’opera, o almeno il suo status. Man mano che ci allontaniamo dal momento della creazione, questa relazione si trasforma gradualmente, svanendo costantemente – ma è ancora rilevante anche nel pubblico dominio. Crea una seria confusione nel sistema e richiede risposte specifiche se non sappiamo chi sia il creatore: da quale momento calcolare la durata della protezione? Cosa dovrebbe succedere al diritto d’autore che sorge automaticamente? Il creatore ha fatto una dichiarazione valida riguardo all’uso dell’opera – anche in relazione alla sua dedica al pubblico dominio? La legislazione sulle opere orfane dimostra che il diritto d’autore può rispondere solo alle situazioni più incerte con un “trattamento sintomatico”, generando confusione.

Esaminando le fonti del diritto, l’essenza di questa relazione tra opera e creatore non è necessariamente ovvia. La Convenzione di Berna, ad esempio, si concentra sull’opera protetta, ma poi specifica i diritti degli autori sulle loro opere. L’approccio varia anche tra i paesi. Alcuni partono dalla definizione dell’opera protetta, altri dall’autore. Ad esempio, la legge austriaca sul diritto d’autore inizia affermando che l’opera nel suo complesso e nelle sue parti gode della protezione del diritto d’autore. La legge ungherese segue una logica simile. Altre leggi, come quella danese, affermano che la persona che crea un’opera letteraria o artistica ne ha il diritto d’autore, combinando i due approcci.

Perché questa differenza di approccio è importante? La definizione di “opera” è una questione fondamentale, poiché determina chi è soggetto al diritto d’autore. Nonostante l’interazione, prendiamo l’opera come punto di partenza e da essa “risaliamo” all’autore come soggetto della protezione. Ciò suggerisce anche che, che un determinato brano musicale, scritto, grafica, fotografia, progetto architettonico, software, ecc. costituisca o meno un’opera d’ingegno, possa essere valutato oggettivamente. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) sottolinea che un’opera d’arte può essere protetta dal diritto d’autore se è una creazione intellettuale dell’autore che riflette la sua personalità e che si esprime nelle scelte libere e creative fatte nella creazione, imprimendo all’opera il suo “tocco personale”.

La sfida dell’originalità e le presunzioni di paternità

Riconoscere il carattere individuale e originale di un’opera non significa che chiunque possa identificare l’autore da essa. E la sua identificabilità come opera d’arte non implica l’identificabilità da parte di chiunque. Un secolo fa, si parlava semplicemente di “riconoscibilità da parte di altri”. Oggi, è tutt’altro che chiaro in tutti i casi se un prodotto che sembra un’opera d’arte soddisfi effettivamente i criteri di un’opera d’arte. La sfida di identificare il carattere individuale e originale di un’opera è particolarmente interessante quando viene pubblicata in forma anonima o quando il suo proprietario è sconosciuto. In questi casi, il “tocco personale” dell’opera può essere identificato senza conoscere la personalità del creatore, il che, per quanto paradossale possa sembrare, dimostra che, nonostante la stretta interdipendenza tra creatore e opera, il carattere individuale e originale di un’opera può essere identificato all’interno del genere dato, in relazione allo spazio creativo esistente e, essenzialmente, ad altre opere.

Secondo la dottrina, la determinazione se qualcosa si qualifichi come opera è “una questione di fatto che, in caso di controversia, il tribunale determinerà oggettivamente, se necessario, sulla base di una perizia”. Poiché la protezione del diritto d’autore sorge automaticamente quando un’opera viene creata, e non esiste un registro obbligatorio dei dati del titolare dei diritti, registri volontari di opere e varie soluzioni tecniche possono aiutare a identificare l’autore, ma la questione se sia considerata un’opera viene tipicamente esaminata solo in caso di controversia.

Gli utenti sono supportati, in una certa misura, da presunzioni sull’identità del creatore. L’articolo 15 della Convenzione di Berna stabilisce presunzioni su chi ha il diritto di intentare azioni per violazione nei paesi dell’Unione. Il punto di partenza è il nome che appare sull’opera nel modo consueto. Presunzioni molto simili si trovano nelle legislazioni nazionali. Ad esempio, secondo la presunzione di paternità o proprietà nella legge tedesca sul diritto d’autore, la persona designata come autore nel modo consueto sulle copie di un’opera pubblicata o sull’originale di un’opera artistica è considerata l’autore dell’opera in assenza di prove contrarie. Anche la legge francese sul diritto d’autore afferma che lo status di autore appartiene, in assenza di prove contrarie, alla persona o alle persone sotto il cui nome l’opera è pubblicata.

Come utenti, possiamo presumere che un prodotto che porta il nome di qualcuno come autore e che sembra essere un’opera d’ingegno, o è elencato in uno dei registri pertinenti, sia effettivamente un’opera d’ingegno. Ma non c’è altro ricorso se non i requisiti concettuali legali che variano da giurisdizione a giurisdizione. È importante notare che, in una controversia su questo punto, è irrilevante se le parti stesse che hanno stipulato un contratto per la creazione o l’uso dei “materiali” in questione, siano esse stesse dichiarate opere d’ingegno, poiché la protezione del diritto d’autore non è creata da un accordo.

Un'aula di tribunale stilizzata, dove un giudice esamina un'opera d'arte digitale su un tablet. Sullo sfondo, simboli legali e ingranaggi che rappresentano il processo decisionale. L'immagine dovrebbe trasmettere la complessità della valutazione del copyright nell'era digitale. Prime lens, 35mm, film noir, con forti contrasti e ombre per un effetto drammatico.

Co-autorialità: un puzzle complicato, ora con l’AI

La co-autorialità è una delle istituzioni fondamentali del diritto d’autore che, pur avendo un impatto molto significativo sul contenuto del copyright, è modellata dalle diverse soluzioni degli Stati membri dell’UE. Le convenzioni internazionali e dell’UE sono sorprendentemente silenziose su questo argomento, o almeno lo affrontano solo in relazione a poche sotto-questioni inevitabili. Le opere collettive, in senso stretto, presentano una sfida interessante alla logica rigida del diritto d’autore. In tali casi, un’opera è creata dalla decisione congiunta di più autori, le cui parti sono inseparabili nel senso che non possono essere utilizzate indipendentemente. Tuttavia, lo sforzo unificato dei co-autori verso un obiettivo comune non significa che contribuiscano equamente al carattere individuale e originale dell’opera, ma che ogni “contributo, anche se identificabile per capitolo, scena, o persino per riga, partitura musicale, pennellata, ecc., si dissolve nell’unità dell’opera collettiva”. Ecco perché il diritto d’autore è anche di proprietà congiunta e, in caso di dubbio, equamente condivisa dai co-autori.

Sebbene la paternità non possa essere oggetto di un accordo, le opere congiunte creano una situazione specifica per quanto riguarda i diritti patrimoniali sotto diversi aspetti. Da un lato, a causa della loro interdipendenza, i co-autori sono più vincolati, ma dall’altro, la loro relazione è caratterizzata da una notevole flessibilità. Secondo la legge tedesca, ad esempio, i co-autori possono rinunciare ciascuno alla propria quota dei diritti di sfruttamento, e quando fanno tale dichiarazione, la loro quota spetta agli altri co-autori. Secondo la legge ungherese, gli autori sono completamente liberi di determinare la proporzione dei diritti che condividono, anche definendo un singolo co-autore come titolare dei diritti patrimoniali o addirittura come soggetto. Poiché non c’è obbligo di giustificare o fornire prove, un co-autore può essere “lasciato in secondo piano” – nel caso più estremo con una quota dello zero per cento – anche se il suo contributo creativo non può essere considerato affatto piccolo.

È in questa matrice intrinsecamente incoerente e non standardizzata che l’AI è emersa. L’intelligenza artificiale viene sempre più spesso definita un co-autore. Questo, per molti versi, mette a dura prova il nostro quadro concettuale. Determinare il contributo dell’AI alla creazione, dove e come è stata incorporata nel processo creativo, è di per sé una sfida. Questioni simili sono sorte con le opere collettive, come si è visto nelle complessità del software. Indubbiamente, anche nel caso dell’AI, sorgono domande fondamentali: come provare, quale metodo di indagine utilizzare e i suoi limiti.

Se proviamo a valutare il ruolo dell’AI nel processo creativo, alcuni principi di base stanno iniziando a cristallizzarsi: in alcuni casi che sembrano semplici possiamo già delineare quale potrebbe essere il suo status di copyright. In linea con il sistema di coordinate secondo cui animali e macchine non possono essere autori, la direzione che sembra emergere nel caso dei contenuti generati dall’AI è che nel caso di contenuti puramente generati dall’AI non possiamo parlare di protezione del diritto d’autore del prodotto finale. Nel processo di creazione, l’umanità utilizza strumenti da migliaia di anni, ma tra questi strumenti ce ne sono alcuni che, negli ultimi decenni, hanno limitato gravemente lo spazio creativo, pur avendo una forte influenza sulla creazione e sulla natura dell’opera. Inizialmente, non c’era alcun suggerimento che questi strumenti avessero cessato di essere “strumenti”. Come ha spiegato un tribunale nel Regno Unito in una sentenza del 1985 sul ruolo e la percezione del computer: supporre che il computer sia una sorta di autore è come supporre che quando si scrive con una penna, la penna sia l’autore, non la persona che scrive con la penna.

Il nuovo volto del plagio: quando l’AI “crea” per te

Questo scenario evidenzia due principali aree di incertezza dal punto di vista dell’AI: da un lato, quale dovrebbe essere esattamente il destino e la percezione dei contenuti generati esclusivamente dall’AI, senza creatività umana da parte dell’utente finale, se non l’opera dell’autore; e dall’altro, come dovrebbe essere sviluppato lo status e la valutazione dei prodotti assistiti dall’AI. Quest’ultimo solleva questioni particolarmente interessanti. L’AI può essere utilizzata in vari modi e per vari scopi praticamente in qualsiasi fase del processo creativo; viceversa, in qualsiasi fase dell’uso dell’AI – che si tratti di prompting, generazione e post-elaborazione – può esserci un input umano creativo secondo i nostri concetti e categorie esistenti.

Una domanda cruciale, che necessita di risposte immediate, è se la persona fisica che ha creato l’opera con l’aiuto dell’AI sia davvero un “co-autore”. Se sì, il diritto d’autore le apparterrebbe solo in una certa proporzione? Alcune società di gestione collettiva utilizzano già moduli di registrazione dedicati per opere realizzate specificamente con intelligenza artificiale. Ad esempio, il modulo di Artisjus (società di gestione ungherese) include una dichiarazione di paternità in cui l’utente dichiara di aver partecipato come persona fisica alla creazione dell’opera, che è una sua creazione e di aver utilizzato l’AI. Questa interpretazione tratta l’AI come uno strumento, assumendo che il copyright dell’opera creata sia interamente di proprietà del dichiarante e che il rischio della titolarità del copyright sia trasferito a quest’ultimo. Ciò dimostra che anche se il creatore afferma di essere un “co-autore” di un’applicazione AI, è considerato autore al 100% dell’opera risultante.

Ma cosa succederebbe se l’autore, pur non utilizzando il modulo di registrazione AI, avesse fatto uso di intelligenza artificiale? E quale applicazione, per quale scopo e in che modo? Attualmente, l’ipotesi predefinita sembra essere che i prodotti “che si presentano come opere” siano opere protette da copyright, e che qualsiasi contestazione possa essere utilizzata per dimostrare che si tratta in realtà di contenuti generati dall’AI. Di chi sarà il compito di mettere in discussione questo, di rilevare questo nuovo specifico concetto di plagio? L’utente che ha commissionato l’opera? Il pubblico o altri creatori del genere? Il gestore dei diritti collettivi? O il gestore dell’applicazione AI in questione?

Le domande che sorgono sono di vasta portata: chi sarebbe interessato, chi sosterrà i costi delle perizie, quali mezzi di prova possono essere utilizzati. Un’indagine molto istruttiva condotta da Artisjus nel 2023 tra i cantautori ungheresi mostra che i compositori sono fondamentalmente aperti all’uso dell’AI, e molti l’hanno già utilizzata/la stanno utilizzando. Nel test che faceva parte dell’indagine, una percentuale relativamente alta di partecipanti ha riconosciuto le canzoni scritte al 100% dall’AI, ma dove era coinvolta la co-produzione AI-umano, quasi nessuno ha sospettato l’uso dell’AI, queste sono state considerate interamente prodotte dall’uomo.

Un primo piano di un documento digitale o un'immagine con un watermark sottile e futuristico che indica 'Generato da AI'. L'immagine è ad alta definizione, con illuminazione controllata per enfatizzare il dettaglio del watermark. Macro lens, 100mm, high detail, precise focusing.

Trasparenza e AI Act: una luce in fondo al tunnel?

Le tecniche di trasparenza previste dalla legislazione UE sull’AI, come filigrane (watermark), identificazioni tramite metadati, metodi crittografici per provare la provenienza e l’autenticità dei contenuti, metodi di registrazione (logging), impronte digitali (fingerprints), non eliminerebbero, da sole, questa incertezza. Questi strumenti sono progettati principalmente per affrontare questioni come la disinformazione e la manipolazione, la frode, l’impersonificazione e l’inganno dei consumatori. Come recita la legislazione, è opportuno richiedere ai fornitori di integrare soluzioni tecniche che “consentano la marcatura in un formato leggibile dalla macchina e il rilevamento che l’output è stato generato o manipolato da un sistema AI e non da un essere umano”. Questo può ovviamente aiutare a identificare le opere protette da copyright, ma il legislatore dell’UE in questa legge affronta il copyright in modo significativo solo in relazione all’addestramento dei modelli AI – la regola della trasparenza non risolve il dilemma di base per le opere create in una “co-autorialità” tra esseri umani e AI.

Tuttavia, può cambiare il copyright nel senso che inverte il punto di partenza: se un marcatore incorporato indica l’uso dell’AI, ciò potrebbe far sorgere la presunzione che si tratti di un prodotto generato dall’AI senza alcun contributo individuale e originale umano, e che l’autore coinvolto nel processo creativo debba provare di aver svolto attività creative che soddisfano il requisito di originalità.

Tra i due estremi – quando non c’è input creativo da parte dell’utente, cioè il contenuto è interamente generato dall’AI, e quando l’AI è coinvolta solo come mero strumento – è proprio la cooperazione tra l’AI e l’autore e la sua valutazione ad essere in discussione. È qui che si rivela il valore aggiunto individuale e originale dell’utente, ma dove c’è anche spazio per l’AI per dare un contributo apparentemente creativo.

Nonostante le molte questioni aperte, la Risoluzione dell’UE del 2020 adotta un approccio fondamentalmente binario: sottolinea la differenza tra creazione umana assistita dall’AI e creazione generata dall’AI, enfatizzando che laddove l’AI è utilizzata solo come strumento per assistere l’autore nel processo di creazione, il quadro esistente dei diritti di proprietà intellettuale si applica ancora. Raccomanda inoltre che la titolarità dei diritti, se del caso, dovrebbe essere assegnata solo a persone fisiche o giuridiche che hanno creato l’opera legalmente.

Verso un nuovo concetto di plagio?

Attualmente, sono essenzialmente i metodi esistenti a determinare caso per caso se l’utente dell’AI abbia esercitato un’attività creativa individuale di natura originale in relazione a una data opera. Se la risposta a questa domanda è affermativa, si può continuare a rispondere all’interno del quadro del copyright esistente. Il Tribunale Internet di Pechino nel caso Li Yunkai ha affermato che, sebbene la tecnologia avanzi e i nostri strumenti diventino più intelligenti, e quindi sia richiesto meno intervento umano, ciò non dovrebbe impedirci di continuare a utilizzare il sistema del diritto d’autore per incoraggiare la creazione, poiché la promozione della creatività è uno scopo fondamentale della legge sul diritto d’autore nel suo complesso.

Ci sono molte definizioni di plagio, la più tipica è l’appropriazione non autorizzata dell’opera intellettuale di un’altra persona, rivendicandola (anche con modifiche) come propria. Ciò implica – e finora non è stato necessario nessun altro approccio – che il plagio può essere commesso appropriandosi dell’opera di qualcun altro, sia essa ancora protetta da copyright o di pubblico dominio. Nel contesto dell’AI, questo solleva la questione di cosa succede quando qualcuno afferma di essere l’autore di un output generato dall’AI che non contiene il suo contributo creativo individuale e originale. L’attribuzione di contenuti che “sembrano” essere un’opera d’arte costituisce anch’essa plagio? Dal mio punto di vista, anche con una sola interpretazione teleologica del concetto di plagio, la conclusione corretta potrebbe essere quella di includere questo caso nell’ambito del plagio, anche se il prodotto in questione potrebbe non essere soggetto a copyright.

Se, come nel caso della citazione, l’utente dell’AI indica sull’output finale che è stata utilizzata l’AI, ciò può ridurre il problema, ma può anche sollevare una serie di nuove questioni, la più pressante delle quali è: qual è un “ambito ragionevole” di utilizzo che non toglie ancora il carattere di paternità all’output finale? Il problema con la filigranatura e altre moderne tecniche di identificazione è simile: come descritto in precedenza, l’impatto più rilevabile a questo riguardo potrebbe essere nell’invertire l’onere della prova, ma se il legislatore dovesse forzare lo sviluppo dei dati sul copyright nel processo di sviluppo dei metadati, potrebbe emergere un sistema di copyright più chiaro e trasparente.

L’AI Act dell’UE può essere inteso come un quadro generale e, sebbene di natura orizzontale, influisce solo indirettamente sugli aspetti del copyright. Spetta alla legislazione sul diritto d’autore collegarsi ad esso e, riconoscendo l’importanza della trasparenza per il copyright, portare un impatto positivo inaspettato sulla catena degli utenti del copyright come effetto collaterale dell’AI Act, che ora dovrebbe essere consapevolmente modellato. Tuttavia, ciò richiede un approccio legislativo attivo da parte dell’UE, che non può restare a guardare dopo l’istituzione teorica e generale dei requisiti di trasparenza.

Se vediamo le nuove circostanze come un’opportunità, non solo si risolverà la relazione tra il creatore e l’AI che usa come “co-autore”, ma potrebbe anche esserci la possibilità che vengano affrontati i problemi della “produzione di massa di copyright” e della soglia di ingresso estremamente bassa, che covano da decenni. In ogni caso, il nostro compito è trovare l’autore in questo “rumore”, scoprire e affrontare adeguatamente la creatività umana, anche in presenza di competitività, incentivi agli investimenti e produzione di massa di varie opere. E, credetemi, non è una passeggiata.

Fonte: Springer

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