Placenta Percreta: Quando un Parto Gemellare Diventa una Corsa Contro il Tempo
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa di veramente intenso, una di quelle storie mediche che ti fanno trattenere il respiro. Parliamo di emorragie in gravidanza, un nemico silenzioso che, purtroppo, è ancora la causa principale di morte materna nel mondo. E tra le cause più subdole e pericolose c’è lei: la placenta percreta.
Cos’è la Placenta Percreta e Perché Fa Così Paura?
Immaginate la placenta, quell’organo meraviglioso che nutre il bambino durante la gravidanza. Normalmente, si attacca alla parete interna dell’utero. Ma a volte, qualcosa va storto. Nella cosiddetta “placenta accreta spectrum”, i villi coriali, delle specie di radici della placenta, invadono il muscolo uterino (il miometrio) più del dovuto.
Ci sono tre livelli di “appiccicosità”, diciamo così:
- Placenta Accreta: I villi si attaccano al miometrio, ma non lo invadono profondamente.
- Placenta Increta: I villi penetrano più a fondo nel miometrio.
- Placenta Percreta: Questo è il livello più grave. I villi attraversano tutto lo spessore della parete uterina, arrivando fino allo strato esterno (la sierosa) e, a volte, invadendo persino organi vicini come la vescica, la parete rettale o i vasi sanguigni pelvici. È una situazione rara (colpisce circa il 5-7% dei casi di placenta accreta, che a sua volta si verifica in circa 1 gravidanza su 2500), ma estremamente pericolosa.
Il problema principale? Al momento del parto, la placenta non si stacca come dovrebbe. Anzi, tentare di staccarla può scatenare un’emorragia massiva, quasi impossibile da controllare con i metodi tradizionali. Spesso, l’unica soluzione è l’isterectomia (la rimozione dell’utero), ma anche questa può non bastare se l’invasione è estesa. Si rischiano gravi disturbi della coagulazione e, purtroppo, la morte della madre.
Una Storia al Limite: Gravidanza Gemellare e Placenta Percreta
Ora vi racconto un caso che illustra perfettamente la drammaticità di questa condizione. Parliamo di una donna afghana di 34 anni, alla sua terza gravidanza (due parti precedenti con taglio cesareo), in attesa di due gemelli. Arriva in ospedale alla 35ª settimana, con dolore addominale e ritenzione urinaria da 10 giorni. Un quadro già complesso.
Nella sua storia clinica c’erano diversi campanelli d’allarme per la placenta percreta: i precedenti cesarei, la multiparità (più di un figlio), una storia di preeclampsia e anemia in gravidanza. Inoltre, un’ecografia Doppler a 28 settimane aveva già sollevato il sospetto di placenta accreta per il primo gemello (la cui placenta era anche previa, cioè posizionata in basso, vicino o sopra il collo dell’utero). Le era stata richiesta una risonanza magnetica (MRI) per confermare, ma per problemi economici, la paziente l’aveva fatta con un mese e mezzo di ritardo. Purtroppo, a volte, fattori esterni complicano situazioni mediche già delicate.
La risonanza magnetica, arrivata tardi, confermò il peggio: placenta percreta con invasione della vescica e della parete pelvica posteriore e laterale sinistra. Niente intestino o parete addominale, per fortuna, ma la situazione era critica. I sintomi (dolore, ritenzione urinaria con pochissima urina emessa e con sangue) la portarono al ricovero d’urgenza. Aveva anche insufficienza renale acuta (creatinina a 3.1 mg/dL, BUN a 46 mg/dL) e alterazioni degli enzimi epatici.
L’Emergenza in Sala Operatoria
La situazione precipita: il monitoraggio dei bambini (Non-Stress Test) non è rassicurante. Decisione immediata: taglio cesareo d’urgenza con isterectomia programmata (cesareo-isterectomia). Viene assemblata un’équipe multidisciplinare: ginecologo, perinatologo, anestesista, chirurgo vascolare, urologo. Si tenta di inserire dei cateteri ureterali prima dell’intervento, ma è impossibile a causa di un’ostruzione severa.
Si procede con l’intervento. Incisione mediana, taglio cesareo classico. Nascono due bambini sani, con ottimi punteggi Apgar. Un sospiro di sollievo, ma è solo l’inizio della battaglia. Si esegue l’isterectomia totale, ma come temuto, l’emorragia dal pavimento pelvico e dalla cupola vaginale è incontrollabile. Un fiume di sangue.
Si tenta la legatura dei vasi ipogastrici (grossi vasi pelvici) bilateralmente, una manovra standard in questi casi. Niente. Il sanguinamento continua, la paziente sta diventando emodinamicamente instabile, la sua vita è appesa a un filo.
La Soluzione Inaspettata: Il Tamponamento Pelvico e Vaginale
In questi momenti disperati, bisogna pensare fuori dagli schemi. L’équipe chirurgica prende una decisione coraggiosa e, in un certo senso, “semplice”: il tamponamento. Decidono di “impacchettare” la pelvi e la vagina con delle garze lunghe. Due garze vengono stipate in vagina, altre quattro sul pavimento pelvico, e poi il peritoneo viene richiuso sopra. L’idea è creare una pressione meccanica forte e costante sui punti di sanguinamento, dando tempo al corpo (e alle trasfusioni) di stabilizzare la situazione.
Durante l’operazione, la paziente riceve enormi quantità di emoderivati: 6 unità di globuli rossi concentrati, 6 unità di plasma fresco congelato, 6 unità di piastrine, e 2 grammi di fibrinogeno. Viene trasferita in terapia intensiva, intubata. Il primo giorno è in anuria (non produce urina) e necessita di dialisi. Ma poi, lentamente, la situazione migliora.
Il Recupero e le Riflessioni
Dopo 16 ore viene stubata. Il secondo giorno riprende la diuresi e vengono rimosse le garze vaginali. Il terzo giorno, nuovo intervento: si riapre l’addome e si rimuovono le garze pelviche. Miracolosamente, l’emostasi è completa. Non c’è più sanguinamento attivo.
La paziente viene dimessa dopo 8 giorni in buone condizioni generali, senza complicazioni immediate legate al tamponamento, anche se con un catetere Foley (per un problema alla vescica legato all’invasione della placenta) e terapia per l’ipertensione. Un mese dopo, un dolore al fianco fa sospettare una legatura accidentale dell’uretere durante l’intervento. Un’ecografia mostra idroureteronefrosi sinistra (dilatazione dell’uretere e del rene), ma una pielografia endovenosa (IVP) successiva risulta normale. Viene trattata per un’infezione delle vie urinarie e la cosa si risolve.
Questa storia incredibile ci insegna tanto. Sottolinea l’importanza della diagnosi precoce della placenta percreta con ecografia e risonanza magnetica. Una diagnosi tempestiva permette di pianificare il parto in un centro attrezzato, con un team multidisciplinare pronto e scorte di sangue adeguate. Purtroppo, come in questo caso, fattori socio-economici o culturali possono ritardare la diagnosi, aumentando i rischi.
Ci ricorda anche che, nonostante le tecniche chirurgiche avanzate, a volte ci si trova di fronte a emorragie che non rispondono ai trattamenti convenzionali, nemmeno all’isterectomia o alla legatura vascolare. In questi casi estremi, il tamponamento pelvico e vaginale simultaneo si è rivelato una strategia salvavita. È una tecnica semplice, a basso costo, rapida ed efficace, che permette di guadagnare tempo prezioso per stabilizzare la paziente.
Certo, ci sono controversie riguardo al rischio di infezioni o di nuovo sanguinamento alla rimozione delle garze, ma in situazioni “ora o mai più”, può fare la differenza tra la vita e la morte. Come suggeriscono gli autori del case report originale, servirebbero studi più ampi per valutarne la sicurezza a lungo termine e l’applicabilità generale.
La placenta percreta rimane una sfida enorme. Ma sapere che esistono opzioni, anche quelle apparentemente più semplici come un “impacchettamento” ben fatto, per affrontare le situazioni più disperate, dà speranza e sottolinea l’incredibile resilienza del corpo umano e l’ingegnosità della medicina d’urgenza.
Fonte: Springer