Pini Mediterranei alla Prova del Futuro: La CO2 Extra Non Aiuta il Più Debole
Ragazzi, parliamoci chiaro: il nostro pianeta sta cambiando, e lo sta facendo in fretta. Sentiamo parlare ogni giorno di aumento della CO2 nell’atmosfera, di temperature che salgono e, soprattutto in alcune zone come il nostro amato Mediterraneo, di siccità sempre più frequenti e cattive. Tutto questo, ovviamente, mette a dura prova le nostre foreste. Ma come reagiscono gli alberi, specialmente quelli più giovani, a questo cocktail di cambiamenti? È una domanda che mi affascina da tempo.
In particolare, mi sono concentrato su due specie di pino molto diffuse da noi, il Pinus pinaster (il pino marittimo, per capirci) e il Pinus pinea (il pino domestico, quello dei pinoli!), che spesso vivono fianco a fianco. Hanno esigenze simili, ma una differenza cruciale: il Pinus pinea sembra cavarsela meglio quando l’acqua scarseggia. La domanda che mi (e ci) tormentava era: l’aumento della CO2, che in teoria dovrebbe “fertilizzare” le piante aiutandole a crescere, potrebbe cambiare le carte in tavola? Potrebbe dare una mano al Pinus pinaster, quello meno resistente alla siccità, tanto da farlo competere alla pari col cugino più tosto?
Cosa Abbiamo Combinato in Laboratorio?
Per vederci chiaro, abbiamo messo su un esperimento bello tosto. Abbiamo preso delle giovani piantine di entrambe le specie, nate da seme, e le abbiamo fatte crescere in condizioni super controllate, dentro delle speciali camere di crescita. Immaginatevi degli acquari giganti per piante, dove possiamo decidere tutto: luce, temperatura, umidità e, ovviamente, la concentrazione di CO2.
Abbiamo creato due scenari: uno con la CO2 di oggi (circa 380 parti per milione, ppm) e uno con un livello “futuristico” di 800 ppm, quello che potremmo raggiungere entro il 2100 se non cambiamo rotta. E poi, la prova del nove: l’acqua. Metà delle piantine di ogni gruppo (per specie e per CO2) se la sono goduta, ben irrigate (mantenendo il terreno al 75% della sua capacità idrica massima). L’altra metà, invece, l’abbiamo messa a stecchetto, simulando una bella siccità (prima al 40%, poi addirittura al 10% della capacità idrica).
Per circa 5 mesi (161 giorni per la precisione), abbiamo monitorato queste piantine come dei figli. Abbiamo misurato di tutto:
- Quanto crescevano in altezza e diametro.
- Come distribuivano la loro biomassa: quante foglie, quanto fusto, quante radici? Il rapporto tra parte aerea e radici (il famoso shoot:root ratio) è un indicatore chiave!
- Come se la cavavano con la fotosintesi (An): quanta CO2 riuscivano ad “acchiappare” per produrre zuccheri?
- Quanto “sudavano”, cioè quanta acqua perdevano attraverso gli stomi (la conduttanza stomatica, gwv).
- E, di conseguenza, quanto erano efficienti nell’usare l’acqua (WUE e WUEi): quanta biomassa producevano per ogni goccia d’acqua “spesa”? L’abbiamo misurata sia a livello di foglia (WUEi, intrinseca) che di pianta intera (WUE).
Insomma, un check-up completo per capire le loro strategie di sopravvivenza.
L’Effetto ‘Fertilizzante’ della CO2: Funziona!
Partiamo dalle buone notizie (almeno in parte). Crescere con più CO2 ha fatto bene a entrambe le specie. Abbiamo visto chiaramente che le piantine nell’ambiente arricchito di CO2 (e[CO2]) sono cresciute di più, accumulando più biomassa totale rispetto a quelle a CO2 normale (a[CO2]). Non solo: facevano più fotosintesi (An più alta) ed erano più brave a gestire l’acqua, sia a livello di foglia (WUEi maggiore) che di pianta intera (WUE maggiore).
Però, c’è un “ma”. Per essere più efficienti con l’acqua, queste piante hanno parzialmente chiuso i loro stomi, quelle piccole aperture sulle foglie che regolano gli scambi gassosi. Quindi, sì, più crescita e più efficienza, ma con una “respirazione” fogliare (la gwv) leggermente ridotta. È un classico compromesso che le piante mettono in atto.

Ma Quando l’Acqua Scarseggia…
Qui le cose si fanno interessanti e le differenze tra le due specie emergono prepotentemente. Come previsto, la siccità ha picchiato duro. Tutte le piantine sotto stress idrico (WS) sono cresciute meno di quelle ben irrigate (WW). Hanno anche cambiato strategia di crescita: hanno investito proporzionalmente di più nelle radici rispetto alla parte aerea (il rapporto fusto+foglie/radici, SRR, si è abbassato). È logico: se l’acqua scarseggia nel terreno, meglio avere un apparato radicale più sviluppato per cercarla!
E qui notiamo una prima differenza: il Pinus pinaster, quello meno tollerante alla siccità, ha accentuato questa strategia più del Pinus pinea, mostrando un SRR ancora più basso sotto stress. Sembra quasi dire: “Ok, panico, tutte le risorse alle radici!”.
Ma la differenza più marcata l’abbiamo vista nella fisiologia. Sotto stress idrico, il Pinus pinaster ha mostrato tassi di fotosintesi (An) e conduttanza stomatica (gwv) inferiori rispetto al Pinus pinea. In pratica, di fronte alla siccità, il pinaster “chiude i rubinetti” e rallenta il metabolismo più drasticamente del pinea.
Il Confronto Diretto: Pinus pinea vs Pinus pinaster
Mettendo insieme i pezzi, il quadro è chiaro: il Pinus pinea gestisce meglio la carenza d’acqua. Anche se sotto stress riduce le sue performance rispetto a quando è ben irrigato (ovviamente!), lo fa in misura minore rispetto al Pinus pinaster. Riesce a mantenere una fotosintesi relativamente più alta, pur controllando la perdita d’acqua.
E la CO2 extra? Aiuta? Sì, come abbiamo visto, aiuta entrambe le specie a stare un po’ meglio anche in condizioni di siccità. Le piantine stressate ma con più CO2 (WS a e[CO2]) sono cresciute quasi come quelle ben irrigate a CO2 normale (WW a a[CO2]). L’aumento di CO2 ha permesso loro di fare più fotosintesi nonostante la ridotta apertura stomatica, migliorando l’efficienza nell’uso dell’acqua (WUEi e WUE). Questo effetto benefico è stato particolarmente evidente nel Pinus pinea.
Ma ecco il punto cruciale, la vera scoperta: l’aumento di CO2 non ha cambiato la classifica. Il Pinus pinea era più performante del Pinus pinaster sotto stress idrico con la CO2 normale, e lo è rimasto anche con la CO2 extra. L’arricchimento di CO2 ha aiutato entrambi, ma non ha colmato il divario di tolleranza alla siccità tra le due specie. La nostra ipotesi che le differenze tra specie si sarebbero ridotte con più CO2 è stata smentita dai fatti. Il Pinus pinea mantiene il suo vantaggio relativo.

Un altro dettaglio interessante riguarda l’allocazione della biomassa. Ci aspettavamo che la CO2 extra spingesse le piante a investire ancora di più nelle radici in caso di siccità, ma non è stato così evidente. Le piante con più CO2 hanno prodotto foglie leggermente più spesse e coriacee (SLA e LAR più bassi), il che potrebbe offrire una maggiore protezione contro la disidratazione, ma non c’è stato un chiaro spostamento di biomassa verso le radici indotto dalla CO2.
Cosa Significa Tutto Questo per le Nostre Foreste?
Beh, i risultati del nostro esperimento, seppur condotto in condizioni controllate, ci danno un’indicazione importante per il futuro delle foreste miste mediterranee dove queste due specie convivono. Sembra proprio che il Pinus pinea, grazie alla sua maggiore tolleranza intrinseca alla siccità, sia destinato a mantenere (e forse ad aumentare) il suo vantaggio competitivo sul Pinus pinaster in uno scenario futuro con più CO2 ma anche, e soprattutto, con più aridità.
L’effetto “fertilizzante” della CO2, pur presente, non sembra sufficiente a ribaltare le gerarchie di tolleranza allo stress idrico. Questo potrebbe significare che, nelle aree più aride o che lo diventeranno, potremmo assistere a una progressiva riduzione del Pinus pinaster a favore del Pinus pinea o di altre specie ancora più resistenti.
Certo, bisogna essere cauti. Un esperimento in camera di crescita non è la foresta reale. Le condizioni di campo sono molto più complesse, con siccità magari più lunghe e intense, temperature estreme, competizione con altre piante, ecc. Inoltre, abbiamo studiato solo le piantine, la fase più delicata, ma le dinamiche degli alberi adulti potrebbero essere diverse.

Tuttavia, i nostri risultati sono un tassello importante. Ci dicono che, anche in un mondo più ricco di CO2, la capacità di resistere alla sete rimarrà probabilmente il fattore chiave che determinerà chi vince e chi perde tra specie vicine ma con diverse strategie idriche. Il Pinus pinea sembra avere le carte migliori in mano per affrontare il futuro climatico mediterraneo, e l’abbondanza di CO2 non sembra poter cambiare questo destino. Una lezione affascinante su come la natura si adatta, o non si adatta, ai grandi cambiamenti che noi stessi stiamo innescando.
Fonte: Springer
