Piante Acquatiche: Le Nostre Inaspettate Alleate Contro la CO₂? Ecco Cosa Abbiamo Scoperto!
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di una cosa che mi sta particolarmente a cuore e che, scommetto, incuriosirà anche voi. Avete presente i laghetti, gli stagni, quelle zone umide piene di piante acquatiche? Ecco, potrebbero nascondere un segreto importantissimo per il nostro pianeta, soprattutto quando si parla di quel birichino del carbonio e dei gas serra.
Noi scienziati siamo sempre a caccia di soluzioni naturali per mitigare i cambiamenti climatici, e una delle grandi domande è: come possiamo “catturare” più anidride carbonica (CO₂) dall’atmosfera? Beh, sembra che le piante acquatiche, le cosiddette macrofite sommerse, abbiano un ruolo da protagoniste in questa storia, soprattutto se “nutrite” nel modo giusto.
Il Problema del Carbonio e il Superpotere delle Piante Acquatiche
Partiamo da un presupposto: i laghi e gli specchi d’acqua emettono gas serra, principalmente CO₂ e metano (CH₄). Fa parte del ciclo naturale del carbonio. Ma cosa succede se in questi ambienti c’è un bell’apporto di carbonio inorganico disciolto (DIC), in particolare sotto forma di bicarbonato (HCO₃⁻)? Il bicarbonato, per intenderci, è una forma di carbonio che le piante acquatiche possono usare per la fotosintesi, un po’ come noi usiamo l’ossigeno per respirare (ma al contrario, ovviamente!).
Le piante terrestri hanno gli stomi sulle foglie per “respirare” CO₂ dall’aria. Ma quelle sommerse? Loro hanno un problema: la CO₂ si diffonde in acqua mooolto lentamente, tipo diecimila volte meno che in aria! E non hanno stomi funzionali. Quindi, per loro, poter usare il bicarbonato è una manna dal cielo. È come avere una fonte di cibo extra sempre disponibile.
Finora, la ricerca si era concentrata molto su come il bicarbonato influisce sulla crescita e sulla forma di queste piante. Ma noi ci siamo chiesti: che impatto ha tutto questo sulla loro capacità di immagazzinare carbonio e sulle emissioni di gas serra dell’intero sistema? Una domanda da un milione di dollari, considerando l’urgenza climatica!
Il Nostro Esperimento: Un Anno con le “Piantine” Sotto Lente
Per capirci qualcosa di più, abbiamo messo in piedi un esperimento in grande stile, o quasi. Abbiamo usato dei “mesocosmi”, che sono fondamentalmente dei grossi vasconi che simulano un piccolo ecosistema lacustre. Dentro ci abbiamo messo una pianta molto diffusa e bravissima a usare il bicarbonato: il Myriophyllum spicatum, una specie che si trova un po’ ovunque, dall’Europa all’Asia al Nord America.
Abbiamo creato quattro scenari diversi, aggiungendo quantità crescenti di bicarbonato (da zero, il nostro controllo, fino a una dose bella sostanziosa) e abbiamo monitorato tutto per un anno intero. Un anno! Questo è importante, perché abbiamo potuto osservare sia i periodi di crescita rigogliosa che quelli di decomposizione delle piante. Abbiamo misurato di tutto:
- I flussi di CO₂ e CH₄ (cioè quanto gas veniva rilasciato o assorbito dall’acqua).
- Quanto carbonio finiva nelle piante stesse.
- Quanto carbonio si accumulava nei sedimenti sul fondo.
- Quanto carbonio restava nell’acqua.
- Persino la quantità di microrganismi produttori e consumatori di metano!
La nostra ipotesi? Pensavamo che più bicarbonato avrebbe fatto crescere di più le piante, aumentando lo stoccaggio di carbonio nel sistema e riducendo il rilascio di CO₂. Per il metano, invece, ci aspettavamo effetti meno marcati.
Risultati Sorprendenti: Meno CO₂, Metano Stabile e Più Carbonio Immagazzinato!
Ebbene, i risultati sono stati davvero affascinanti! Partiamo dalla CO₂: l’aggiunta di bicarbonato ha ridotto significativamente il flusso di CO₂ verso l’atmosfera. Anzi, nei trattamenti con più bicarbonato, il sistema tendeva proprio ad assorbire CO₂! Immaginate: più “cibo” carbonioso per le piante, più fotosintesi, meno CO₂ che scappa via. I numeri parlano chiaro: nei trattamenti con alte dosi di bicarbonato, il flusso medio annuo di CO₂ era di -14.04 mol m⁻²yr⁻¹, contro i -3.48 del controllo. Un bel colpo!
E il metano (CH₄)? Qui la sorpresa: l’aggiunta di bicarbonato ha avuto un effetto inibitorio non significativo sulle emissioni di metano. In pratica, non è cambiato molto. Questo è importante, perché a volte si teme che più biomassa vegetale porti a più decomposizione e quindi più metano. Nel nostro caso, non è stato così evidente, o almeno, non in maniera preoccupante.
Ma la vera chicca è lo stoccaggio del carbonio. Con più bicarbonato, abbiamo visto un aumento del carbonio immagazzinato nell’acqua e nelle piante stesse. L’intero sistema diventava più “bravo” a trattenere carbonio. Pensate che con l’aggiunta elevata di bicarbonato, la biomassa secca media annua del Myriophyllum spicatum era circa 2.5 volte superiore rispetto al controllo! Più piante, più carbonio bloccato nella loro struttura. Per quanto riguarda il carbonio nei sedimenti, l’effetto è stato minimo, il che suggerisce che il grosso del lavoro lo fanno l’acqua e le piante vive.
Cosa Significa Tutto Questo? Implicazioni per il Futuro
Quello che abbiamo osservato è che “fertilizzare” questi sistemi acquatici con carbonio inorganico disciolto, come il bicarbonato, può trasformarli in veri e propri campioni nell’assorbire CO₂ e nello stoccare carbonio. E questo senza peggiorare significativamente il problema del metano, almeno nel contesto del nostro studio.
Perché la CO₂ diminuisce? Beh, uno dei fattori chiave sembra essere il pH dell’acqua. Aggiungendo bicarbonato, il pH tende a salire leggermente. Con un pH più alto (tra 7 e 8.5, tipico di molte acque naturali), la forma dominante di carbonio inorganico diventa proprio il bicarbonato, e la CO₂ disciolta diminuisce. Le piante, quindi, si “concentrano” sull’usare il bicarbonato, e meno CO₂ è disponibile per diffondere nell’atmosfera. Anche il fosforo e l’ossigeno disciolto giocano un ruolo, influenzando la crescita delle piante e, di conseguenza, l’assorbimento di CO₂.
Per il metano, la faccenda è più complessa. Sembra che il carbonio organico disciolto (DOC) sia il principale attore. L’aggiunta di bicarbonato può portare a un aumento del DOC, ma questo DOC, derivando in parte dalle macrofite, potrebbe essere più “recalcitrante”, cioè più difficile da decomporre rapidamente in metano. Inoltre, non abbiamo visto grandi cambiamenti nelle popolazioni di microrganismi metanogeni (che producono metano) o metanotrofi (che lo consumano) nei sedimenti.
Quindi, in parole povere, dare più bicarbonato alle nostre amiche piante acquatiche le aiuta a crescere rigogliose, a “mangiare” più CO₂ e a immagazzinare più carbonio. È un po’ come dare il giusto fertilizzante a una pianta da orto per farla produrre più frutti.
Un Occhio al Futuro: Laghi e Zone Umide Come Spugne di Carbonio
Questi risultati aprono scenari davvero interessanti. Pensiamo a tutti quei laghi poco profondi, stagni e zone umide che ricevono naturalmente (o a causa delle attività umane) un bel po’ di carbonio inorganico dai bacini circostanti. Se questi sistemi sono dominati da macrofite sommerse, potrebbero già estar svolgendo un ruolo cruciale come pozzi di carbonio, aiutandoci a contrastare l’aumento della CO₂ atmosferica.
Certo, il nostro è stato un esperimento in mesocosmi, e la realtà dei laghi naturali è molto più complessa. Ma i meccanismi che abbiamo identificato sono fondamentali. La capacità delle piante acquatiche di utilizzare il bicarbonato, l’influenza del pH e del fosforo sulla CO₂, e il ruolo del DOC per il metano sono tutti pezzi di un puzzle che stiamo iniziando a comporre.
In un mondo che si scalda, ridurre le emissioni di gas serra è una priorità assoluta. Sfruttare gli ecosistemi naturali per immagazzinare carbonio è diventato un punto focale. I nostri risultati sottolineano l’importanza degli ecosistemi acquatici dominati da macrofite sommerse. Promuovere la crescita di queste piante, magari attraverso opere di ripristino ecologico in laghi che hanno perso la loro vegetazione, potrebbe non solo migliorare la salute del lago (acque più limpide, più biodiversità) ma anche potenziare la sua capacità di stoccare carbonio.
Insomma, la prossima volta che vedete un lago pieno di “alghe” (che spesso sono in realtà piante superiori!), pensate che lì sotto potrebbe esserci un piccolo esercito che lavora silenziosamente per noi, aiutandoci a tenere a bada la CO₂. E noi, con la ricerca, stiamo cercando di capire come aiutarle a fare ancora meglio il loro lavoro!
Fonte: Springer