Illustrazione concettuale fotorealistica di cellule tumorali prostatiche (in blu scuro) in un microambiente. Una cellula al centro (con PGC1α attivo, magari leggermente più luminosa) rilascia molecole (rappresentanti SRM inibito o altri segnali, in rosso/arancio) che si diffondono verso le cellule circostanti, inducendo un rallentamento della loro crescita (visibile da una minore densità o attività). Lente prime 35mm, profondità di campo per focalizzare sull'interazione cellulare, duotono blu e arancio.

Cancro alla Prostata: La Proteina PGC1α Invia Messaggi Segreti per Fermare il Tumore!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che mi appassiona profondamente: la lotta contro il cancro alla prostata. Sapete, è una delle forme tumorali più diffuse tra gli uomini e, purtroppo, ancora una delle principali cause di morte per cancro nel nostro genere. Capire cosa succede a livello molecolare quando questo tumore si sviluppa e diventa aggressivo è fondamentale, ed è qui che entra in gioco la nostra ricerca.

Una proteina sorprendente: PGC1α

Negli ultimi anni, insieme ad altri gruppi di ricerca, abbiamo scoperto che una proteina chiamata PGC1α (che sta per Peroxisome proliferator-activated receptor gamma coactivator 1-alpha, un nome un po’ complicato, lo so!) gioca un ruolo cruciale. Abbiamo visto che quando le cellule tumorali della prostata perdono PGC1α, subiscono una sorta di “riprogrammazione” metabolica e genetica che le rende più cattive, più propense a formare metastasi. Insomma, PGC1α sembra agire come un soppressore tumorale. Ma c’è di più, molto di più di quanto immaginassimo inizialmente!

Il colpo di scena: PGC1α comunica a distanza!

La vera sorpresa è arrivata quando abbiamo iniziato a sospettare che PGC1α non agisse solo *all’interno* della cellula tumorale (quello che chiamiamo effetto “cellula-autonomo”). E se potesse influenzare anche le cellule vicine? Un po’ come un vicino di casa che ti avvisa di un pericolo imminente. Questo meccanismo si chiama effetto paracrino.

Per scoprirlo, abbiamo fatto un’analisi dettagliata di quali geni venivano attivati o spenti quando PGC1α era presente o assente. E indovinate un po’? Abbiamo notato che PGC1α modificava l’espressione di geni che codificano per proteine destinate ad essere “spedite” fuori dalla cellula, nel cosiddetto secretoma.

Abbiamo quindi raccolto il “brodo di coltura” (il mezzo liquido in cui crescono le cellule) da cellule di cancro alla prostata in cui avevamo riattivato PGC1α. Abbiamo chiamato questo liquido “mezzo condizionato” (CM). Poi, abbiamo usato questo CM per nutrire altre cellule tumorali prostatiche (sia quelle sensibili agli androgeni, come le LNCaP e 22Rv1, sia quelle indipendenti, come le PC3 e DU145).

Il risultato? Incredibile! Il CM proveniente dalle cellule con PGC1α attivo inibiva la crescita delle cellule tumorali riceventi! Era come se le cellule “buone” (con PGC1α) inviassero un messaggio alle cellule “cattive” dicendo loro: “Ehi, rallenta!”. Questo effetto era dose-dipendente: più CM “buono” aggiungevamo, più la crescita rallentava. Abbiamo confermato questo anche con esperimenti di co-coltura, dove cellule con e senza PGC1α crescevano insieme: la presenza delle cellule PGC1α-positive rallentava progressivamente la crescita delle altre.

Immagine fotorealistica di piastre di coltura cellulare in un laboratorio di ricerca. In primo piano, una piastra multi-pozzetto con cellule tumorali prostatiche colorate con cristalvioletto, mostrando differenze di densità cellulare tra i pozzetti trattati con diversi mezzi condizionati. Sullo sfondo, un microscopio e altre attrezzature da laboratorio. Illuminazione controllata da laboratorio, lente macro 60mm, alta definizione.

Il complice necessario: ERRα

Ma PGC1α non fa tutto da solo. Sapevamo già dai nostri studi precedenti che gran parte della sua azione soppressiva all’interno della cellula dipende da un partner, un recettore nucleare chiamato ERRα. Ci siamo chiesti: serve ERRα anche per questo effetto paracrino a distanza?

Per rispondere, abbiamo usato cellule in cui PGC1α era inducibile, ma in cui avevamo “spento” il gene ERRα usando la tecnica CRISPR-CAS9. Abbiamo prodotto il CM da queste cellule e… bingo! Senza ERRα, l’effetto di PGC1α sulla crescita delle cellule riceventi spariva. Era chiaro: l’asse PGC1α-ERRα è fondamentale anche per questa comunicazione tra cellule.

Alla ricerca del messaggero segreto

Ok, PGC1α ed ERRα inviano un messaggio che frena la crescita. Ma qual è questo messaggio? Le cellule comunicano all’esterno in vari modi: possono rilasciare piccole molecole, proteine libere o racchiudere i loro messaggi in piccole “bolle” chiamate vescicole extracellulari (EVs).

Abbiamo iniziato separando il CM in base al peso molecolare. Abbiamo scoperto che l’attività anti-proliferativa era contenuta nella frazione “pesante” (> 10 kDa), escludendo quindi piccole molecole o peptidi. Questa frazione contiene sia proteine più grandi che le EVs.

Le EVs sono molto studiate nel cancro, quindi abbiamo separato le EVs dal resto del liquido (la frazione solubile, senza EVs). Sorprendentemente, le EVs prodotte dalle cellule con PGC1α non avevano alcun effetto sulla crescita delle altre cellule. Invece, il liquido *privato* delle EVs manteneva tutta l’attività soppressiva! Questo ci ha fatto capire che il messaggio era probabilmente una o più proteine solubili secrete.

Identikit del messaggero: la Spermidina Sintasi (SRM)

A questo punto, dovevamo scoprire quale fosse questa proteina misteriosa. Abbiamo usato una tecnica potentissima, la spettrometria di massa (LC/MS), per analizzare tutte le proteine presenti nel CM delle cellule con e senza PGC1α. Abbiamo trovato 169 proteine la cui quantità cambiava significativamente. Molte erano legate al metabolismo o allo spazio extracellulare, cosa che ci aspettavamo data la funzione di PGC1α.

Per essere sicuri che non fosse solo un artefatto della coltura cellulare, abbiamo fatto lo stesso esperimento *in vivo*, usando un modello murino di cancro alla prostata che avevamo sviluppato, in cui i topi perdevano sia il gene Pten (un altro noto soppressore tumorale) sia Pgc1α. Abbiamo isolato il liquido presente tra le cellule tumorali (liquido interstiziale tumorale, TIL) e analizzato le proteine.

Incrociando i dati *in vitro* e *in vivo*, abbiamo trovato una proteina la cui quantità era costantemente ridotta quando PGC1α era attivo: la Spermidina Sintasi (SRM). Questo enzima è coinvolto nella produzione di poliammine, come la spermidina e la spermina, molecole note per essere dei veri e propri “carburanti” per la crescita cellulare, specialmente nei tumori.

Visualizzazione 3D fotorealistica della proteina Spermidina Sintasi (SRM) con evidenziate le regioni chiave. Sfondo astratto che richiama il metabolismo delle poliammine. Lente macro 100mm, illuminazione drammatica per enfatizzare la struttura, dettagli molecolari precisi.

Abbiamo verificato che PGC1α, insieme a ERRα, reprime direttamente l’espressione del gene SRM, legandosi addirittura al suo promotore (la regione che ne controlla l’accensione). Quindi, PGC1α dice alla cellula: “Produci e rilascia meno SRM!”.

La prova del nove: SRM è davvero il colpevole?

Se la nostra ipotesi era corretta, manipolare i livelli di SRM avrebbe dovuto influenzare l’effetto paracrino di PGC1α. E così è stato!

  • Abbiamo preso le cellule con PGC1α attivo (che quindi producevano poco SRM) e le abbiamo costrette a produrre più SRM (sovraespressione). Il CM prodotto da queste cellule “modificate” perdeva la sua capacità di frenare la crescita delle cellule vicine! Era come se avessimo neutralizzato il messaggio di stop. Questo lo abbiamo confermato anche in esperimenti *in vivo* con xenotrapianti nei topi.
  • Al contrario, abbiamo preso cellule normali (senza PGC1α indotto) e abbiamo ridotto artificialmente la loro produzione di SRM (silenziamento genico). Il CM prodotto da queste cellule “silenziate” acquisiva la capacità di rallentare la crescita delle cellule riceventi, proprio come faceva il CM delle cellule PGC1α-positive!

Questi esperimenti ci hanno dato la prova definitiva: la repressione della secrezione di SRM è un meccanismo chiave attraverso cui PGC1α esercita il suo effetto soppressivo paracrino. Riducendo l’SRM nell’ambiente circostante, si riduce la disponibilità di poliammine, e le cellule tumorali vicine faticano a crescere.

Dalla provetta al paziente: implicazioni cliniche

Tutto questo è affascinante in laboratorio, ma ha un riscontro nei pazienti? Assolutamente sì! Abbiamo analizzato i dati di espressione genica provenienti da diverse coorti di pazienti con cancro alla prostata. E abbiamo trovato una chiara correlazione inversa: i tumori con bassi livelli di PGC1α avevano alti livelli di SRM, e viceversa. Questa relazione era ancora più forte se consideravamo l’attività combinata di PGC1α ed ERRα.

Ma la cosa più importante è che questa relazione ha un valore prognostico. Abbiamo classificato i pazienti in base ai livelli di PGC1α e SRM nei loro tumori. I pazienti con alti livelli di PGC1α e bassi livelli di SRM avevano una prognosi significativamente migliore (cioè, un minor rischio di recidiva) rispetto ai pazienti con bassi livelli di PGC1α e alti livelli di SRM.

Grafico di sopravvivenza Kaplan-Meier fotorealistico visualizzato su uno schermo di computer in un ambiente clinico/di ricerca. Le curve mostrano la differenza nella sopravvivenza libera da malattia tra gruppi di pazienti con cancro alla prostata stratificati per espressione di PGC1α e SRM. Focus nitido sul grafico, sfondo leggermente sfocato con elementi di laboratorio/ufficio medico. Lente prime 50mm, profondità di campo.

Cosa ci portiamo a casa?

Questa ricerca ci ha aperto gli occhi su un ruolo completamente nuovo e inaspettato di PGC1α nel cancro alla prostata. Non è solo un regolatore metabolico interno alla cellula, ma agisce anche come un “vigile urbano” che, attraverso la repressione di SRM, invia segnali all’esterno per rallentare la crescita tumorale diffusa.

Questo amplia enormemente la nostra visione di PGC1α come soppressore tumorale multifattoriale e suggerisce che l’asse PGC1α-ERRα-SRM potrebbe essere un nuovo bersaglio terapeutico o un utile marcatore prognostico per identificare i pazienti a maggior rischio e, magari un giorno, sviluppare terapie più mirate basate sulla medicina di precisione. La strada è ancora lunga, ma ogni scoperta come questa ci avvicina un po’ di più all’obiettivo!

Fonte: Springer

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