PFAS e Sindrome Metabolica: Un Legame Pericoloso che Cambia con l’Età?
Avete mai sentito parlare dei PFAS? Probabilmente sì, sono quelle sostanze chimiche un po’ ovunque, dai rivestimenti antiaderenti delle padelle ad alcuni imballaggi alimentari, e sono soprannominati “inquinanti eterni” perché, beh, non se ne vanno facilmente dall’ambiente e nemmeno dal nostro corpo. Ebbene, mi sono imbattuto in uno studio recente che ha cercato di capire che tipo di legame ci sia tra l’esposizione a questi composti e la sindrome metabolica, quella brutta bestia che raggruppa problemi come obesità addominale, pressione alta, glicemia sballata e colesterolo fuori controllo. La cosa affascinante? Hanno guardato se questo legame cambia a seconda dell’età. E ragazzi, i risultati sono piuttosto intricati!
Ma cos’è esattamente questa Sindrome Metabolica?
Prima di addentrarci nei meandri dello studio, facciamo un piccolo ripasso. La sindrome metabolica (MetS) non è una malattia singola, ma un insieme di fattori di rischio che, messi insieme, aumentano drasticamente le probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e altre patologie croniche. Pensatela come un campanello d’allarme che il nostro corpo ci invia. Negli ultimi trent’anni, la sua incidenza è schizzata alle stelle, diventando un problema di salute pubblica globale. Certo, stile di vita sedentario, dieta scorretta e l’avanzare dell’età sono fattori ben noti, ma sembra che non bastino a spiegare tutto. Ed è qui che entrano in gioco gli inquinanti ambientali come i PFAS, sospettati di agire come interferenti endocrini, mandando all’aria il nostro delicato equilibrio ormonale e metabolico.
Lo studio: un’indagine approfondita su dati americani
I ricercatori hanno fatto le cose in grande, analizzando i dati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES) raccolti tra il 2003 e il 2018. Parliamo di un campione bello robusto di 5850 partecipanti, suddivisi in quattro fasce d’età: adolescenti (12-19 anni), giovani adulti (20-39 anni), adulti di mezza età (40-59 anni) e anziani (dai 60 anni in su). L’obiettivo era duplice: capire se i singoli composti PFAS fossero associati alla sindrome metabolica e ai suoi singoli componenti (come pressione alta, colesterolo HDL basso, trigliceridi alti, ecc.) e, cosa ancora più interessante, se l’esposizione a un *mix* di PFAS avesse un effetto combinato, e come tutto ciò variasse con l’età.
Hanno misurato nel siero dei partecipanti sei tipi di PFAS, tra cui i “famosi” PFOA e PFOS, ma anche PFNA, PFHxS, PFDA e MeFOSAA. E poi, via con le analisi statistiche, usando modelli piuttosto sofisticati come la regressione di Poisson modificata, la regressione lineare multipla, la regressione per somma ponderata di quantili (WQS) e la regressione bayesiana con kernel machine (BKMR). Non vi annoierò con i dettagli tecnici, ma sappiate che sono strumenti potenti per districare relazioni complesse e valutare gli effetti congiunti di più sostanze.
Risultati individuali: un quadro variegato a seconda dell’età
E qui le cose si fanno interessanti e, devo dire, un po’ sorprendenti. Sembra proprio che l’età giochi un ruolo cruciale nel modo in cui i PFAS interagiscono con il nostro metabolismo.
- Negli adolescenti, ad esempio, livelli più alti di acido perfluorononanoico (PFNA) sono risultati associati a una maggiore prevalenza di sindrome metabolica. Un aumento di una unità di PFNA (trasformato logaritmicamente, per i più tecnici) corrispondeva a un aumento del 42% della prevalenza di MetS. Non proprio una bella notizia per i più giovani.
- Passando ai giovani adulti, la situazione si ribalta per un altro composto: l’acido perfluoroesansolfonico (PFHxS) sembrava avere un effetto quasi “protettivo”, essendo associato a un minor rischio di sindrome metabolica.
- Un trend simile è stato osservato negli adulti di mezza età, dove l’acido 2-(N-Metilperfluorottano sulfonamido) acetico (MeFOSAA) era negativamente associato alla prevalenza di MetS.
Quindi, non tutti i PFAS si comportano allo stesso modo e, soprattutto, il loro impatto sembra cambiare a seconda della fase della vita in cui ci troviamo. Questo potrebbe dipendere da tanti fattori: diverse vie di esposizione (i bambini piccoli, ad esempio, potrebbero essere più esposti attraverso la polvere domestica o il contatto con oggetti contaminati), diversa sensibilità biologica, o persino il modo in cui il nostro corpo metabolizza ed elimina queste sostanze nelle diverse età.
Ma non è finita qui. Lo studio ha anche esaminato l’associazione tra i singoli PFAS e i livelli di marcatori metabolici specifici, come il colesterolo e i parametri dell’omeostasi del glucosio. E qui, soprattutto per i giovani adulti e gli adulti di mezza età, è emersa una chiara associazione positiva tra l’esposizione a singoli PFAS e i livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL (quello “cattivo”), colesterolo non-HDL e, curiosamente, anche colesterolo HDL (quello “buono”). Un quadro complesso, che suggerisce un’alterazione generale del metabolismo lipidico.
E l’effetto cocktail? Cosa succede quando i PFAS agiscono insieme?
Sappiamo che nella vita reale non siamo esposti a un solo PFAS alla volta, ma a un vero e proprio mix. Quindi, i ricercatori hanno usato i modelli WQS e BKMR per vedere se questo “effetto cocktail” fosse legato alla sindrome metabolica. Sorprendentemente, l’analisi complessiva delle miscele di PFAS non ha mostrato associazioni significative con la sindrome metabolica in nessuna delle fasce d’età esaminate. Questo potrebbe sembrare contraddittorio rispetto ai risultati sui singoli PFAS, ma potrebbe indicare che gli effetti dei vari composti, alcuni magari negativi e altri apparentemente protettivi o nulli, si “annullino” a vicenda quando si considera il quadro generale della MetS.
Tuttavia, scavando più a fondo, soprattutto negli adulti di mezza età, la miscela di PFAS è risultata:
- Correlata negativamente con l’ipertrigliceridemia (cioè, associata a un minor rischio di trigliceridi alti).
- Collegata positivamente a un maggior rischio di ipertensione.
- Associata a livelli più elevati di colesterolo HDL.
Insomma, anche l’effetto combinato non è semplice da interpretare e sembra colpire selettivamente alcuni componenti della sindrome metabolica, in particolare negli adulti di mezza età. La disregolazione lipidica, cioè un’alterazione del metabolismo dei grassi, sembra essere un tema ricorrente, soprattutto per quanto riguarda il colesterolo.
Perché queste differenze tra le età?
Gli autori dello studio ipotizzano diverse ragioni per queste associazioni specifiche per età. Come accennato, le fonti di PFAS e il loro contributo all’esposizione umana variano in base ai comportamenti e ai modelli alimentari tipici delle diverse fasi della vita. Ad esempio, l’esposizione ai PFAS durante la gravidanza è stata correlata positivamente con il rischio di MetS nei bambini e negli adolescenti in altri studi. D’altro canto, uno studio sugli anziani non aveva trovato alcuna relazione tra PFAS e MetS.
Inoltre, i PFAS sono noti per essere interferenti endocrini. Possono interagire con proteine leganti gli acidi grassi e attivare molteplici recettori nucleari, come i recettori attivati dai proliferatori dei perossisomi (PPARs), che giocano un ruolo chiave nel metabolismo. È interessante notare come, ad esempio, il PFHxS abbia dimostrato di aumentare l’adipogenesi (la formazione di cellule adipose) anche senza l’attivazione di un agonista del PPARγ, mentre la maggior parte degli altri PFAS necessita di questo “aiuto”. Ancora, l’esposizione al PFOA nei ratti ha portato a una riduzione dei livelli di trigliceridi, colesterolo totale e HDL nel fegato e nel siero, un effetto che potrebbe spiegare alcune delle associazioni negative osservate.
La sensibilità biologica agli inquinanti ambientali varia anche con le fasi della vita. I sistemi fisiologici potrebbero rispondere diversamente e la loro capacità di reazione potrebbe diminuire con l’età, specialmente negli anziani. I bambini e i giovani, che consumano maggiori quantità di acqua e cibo in proporzione al loro peso corporeo e hanno tassi respiratori e metabolici più elevati, potrebbero subire un’esposizione chimica maggiore rispetto agli anziani. Questo potrebbe spiegare perché gli impatti dell’esposizione ai PFAS sulla MetS sembrano più pronunciati negli individui più giovani.
Cosa ci portiamo a casa da questo studio?
Questo studio, pur essendo trasversale (cioè fotografa una situazione in un dato momento, senza poter stabilire un rapporto di causa-effetto definitivo), è molto importante. Innanzitutto, ci dice che il legame tra PFAS e sindrome metabolica è tutt’altro che semplice e lineare. L’età è un fattore discriminante fondamentale, e anche il tipo specifico di PFAS conta parecchio. La co-esposizione a miscele di PFAS sembra particolarmente legata alla disregolazione lipidica (alterazioni dei grassi nel sangue) nei giovani adulti e negli adulti di mezza età, con un aumento dei livelli di colesterolo totale, LDL, non-HDL e HDL.
Sebbene la miscela di PFAS non sia stata significativamente correlata al rischio complessivo di sindrome metabolica, ha mostrato associazioni specifiche con l’ipertensione (positiva) e con bassi livelli di HDL e ipertrigliceridemia (negative) negli adulti di mezza età. Questi risultati sottolineano le complesse relazioni tra l’esposizione ai PFAS e la sindrome metabolica, fornendo nuove intuizioni sui rischi per la salute umana legati a questi “inquinanti eterni”.
Sicuramente, come sottolineano gli stessi autori, servono ulteriori studi, soprattutto prospettici (che seguono le persone nel tempo) e meccanicistici (che indagano i meccanismi biologici alla base), per capire meglio l’impatto causale dei PFAS sul rischio di sindrome metabolica. Nel frattempo, questi risultati ci ricordano ancora una volta l’importanza di monitorare l’esposizione a queste sostanze e di continuare la ricerca per proteggere la nostra salute, con un occhio di riguardo per le fasce d’età più giovani, che sembrano essere particolarmente sensibili.
Insomma, la storia dei PFAS e del nostro metabolismo è ancora tutta da scrivere, ma ogni nuovo studio aggiunge un tassello importante a questo complesso puzzle. E io, da curioso quale sono, non vedo l’ora di scoprire cosa ci riserverà il futuro della ricerca!
Fonte: Springer