PFAS in Gravidanza: Un Cocktail Chimico che Minaccia la Salute Materna?
Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di un argomento che mi sta molto a cuore e che, purtroppo, riguarda da vicino la salute di tante future mamme: i PFAS. Magari ne avete sentito parlare, sono quelle sostanze chimiche un po’ ovunque, dai rivestimenti antiaderenti delle padelle ai tessuti impermeabili, fino alle schiume antincendio. Il problema? Sono super persistenti, si accumulano nell’ambiente e nel nostro corpo, e la scienza sta iniziando a capire che potrebbero non essere così innocui, specialmente durante un periodo delicato come la gravidanza.
Mi sono imbattuto in uno studio recente, condotto in una zona specifica degli Stati Uniti, l’Arkansas centrale, che ha messo sotto la lente d’ingrandimento proprio questo: come l’esposizione ai PFAS, sia singolarmente che come “cocktail” (perché purtroppo siamo esposti a un mix di queste sostanze), influenzi la salute cardiometabolica delle donne in dolce attesa. E i risultati, ve lo dico subito, fanno riflettere.
Ma cosa sono esattamente i PFAS e perché preoccuparsene in gravidanza?
I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono una grande famiglia di composti chimici creati dall’uomo. La loro forza è anche la loro debolezza: sono incredibilmente stabili, resistenti al calore e all’acqua, il che li rende utili per un sacco di prodotti industriali e di consumo. Ma questa stessa stabilità significa che non si degradano facilmente nell’ambiente. Risultato? Ce li ritroviamo un po’ dappertutto: acqua, suolo, cibo e, ahimè, anche nel nostro sangue.
Studi precedenti hanno già acceso un campanello d’allarme: i PFAS sono considerati interferenti endocrini, cioè possono scombussolare il nostro sistema ormonale. E la cosa ancora più preoccupante è che attraversano la barriera placentare, raggiungendo il feto in via di sviluppo. Immaginate le potenziali conseguenze su organi e sistemi che si stanno formando!
Questo studio si è concentrato sull’Arkansas centrale perché, nonostante ci fossero segnalazioni di contaminazione ambientale (ad esempio, nelle falde acquifere vicino a una base aerea), nessuno aveva ancora indagato i livelli di PFAS nelle persone che vivono lì, che potrebbero avere un’esposizione maggiore rispetto ad altre zone.
Lo studio dell’Arkansas: cosa hanno fatto i ricercatori?
I ricercatori hanno seguito un gruppo di circa 300 donne durante la gravidanza, arruolandole già nelle prime settimane. La cosa interessante è che hanno prelevato campioni di sangue materno in tutti e tre i trimestri. Questo approccio longitudinale è fondamentale perché permette di vedere come cambiano le concentrazioni di PFAS nel tempo e se ci sono periodi di maggiore vulnerabilità.
Hanno misurato ben 27 tipi diversi di PFAS nel siero delle mamme e, contemporaneamente, hanno monitorato diversi parametri della loro salute cardiometabolica:
- Pressione sanguigna (sistolica e diastolica)
- Frequenza cardiaca (pulsazioni)
- Livelli di lipidi nel sangue (trigliceridi, colesterolo totale, colesterolo HDL “buono” e LDL “cattivo”)
- Glucosio e insulina (per valutare il metabolismo degli zuccheri)
Hanno anche raccolto informazioni su fattori che potevano influenzare i risultati, come età, indice di massa corporea (BMI), aumento di peso in gravidanza, etnia, livello di istruzione e reddito.

I risultati chiave: un quadro complesso
Allora, cosa è emerso da questa analisi dettagliata? Prima di tutto, hanno confermato la presenza diffusa di PFAS: tutti i 27 composti misurati sono stati rilevati in almeno un campione, ma sei in particolare erano presenti in oltre il 70% dei campioni in tutti i trimestri. Stiamo parlando di nomi un po’ ostici, ma importanti: PFOS, PFOA, PFBS, PFHxS, PFNA e PFHxA. Questi sono i “soliti sospetti” che troviamo spesso negli studi.
Un dato interessante: confrontando i livelli medi di queste mamme con quelli di donne incinte a livello nazionale (dati NHANES), i livelli di PFOS e PFHxS erano simili, ma quelli di PFNA e PFOA erano significativamente più alti nel campione nazionale. Questo sottolinea come l’esposizione possa variare molto geograficamente.
E come cambiavano i livelli durante la gravidanza? In generale, si è osservata una tendenza alla diminuzione delle concentrazioni di PFAS con l’avanzare della gestazione, specialmente per quelli presenti a livelli più alti. Questo potrebbe essere dovuto a vari fattori, come il passaggio al feto o cambiamenti fisiologici nella mamma (come l’aumento del volume del sangue).
Ma veniamo al dunque: la relazione con la salute materna. Utilizzando modelli statistici sofisticati (che tenevano conto dei vari fattori confondenti e anche dell’effetto combinato del mix di PFAS), i ricercatori hanno trovato associazioni significative:
- Pressione Arteriosa Diastolica (la “minima”): L’esposizione totale ai PFAS (PFASsum) e alcuni PFAS specifici (PFOS, PFOA, PFNA) sono risultati associati a livelli più alti di pressione diastolica durante la gravidanza. Un dato non da poco, considerando i rischi legati all’ipertensione gestazionale.
- Lipidi nel Sangue: Qui la sorpresa. Sia l’esposizione totale che quasi tutti i singoli PFAS ben rilevati (tranne il PFBS) erano associati a livelli più bassi di trigliceridi, colesterolo totale, colesterolo LDL e anche colesterolo HDL. Questo risultato è un po’ in controtendenza rispetto ad altri studi che spesso trovano associazioni positive (PFAS più alti = lipidi più alti).
- Frequenza Cardiaca: L’esposizione ai PFAS (sia totale che per molti singoli composti) era associata a una riduzione della frequenza cardiaca (pulsazioni).
- Metabolismo Glucidico: Non sono emerse associazioni significative con glucosio, insulina o HOMA-IR (un indice di insulino-resistenza) considerando l’intera gravidanza.
Quando hanno analizzato l’effetto del “cocktail” di PFAS (utilizzando una tecnica chiamata quantile g-computation), i risultati hanno confermato le associazioni negative più forti con i trigliceridi, seguiti da colesterolo totale, LDL, HDL e frequenza cardiaca.

Ci sono trimestri più “critici”?
Una domanda cruciale è se esista una finestra temporale durante la gravidanza in cui l’esposizione ai PFAS sia particolarmente dannosa. Analizzando i dati trimestre per trimestre, il quadro è diventato meno netto. Non sono emerse tendenze forti e costanti. Tuttavia, alcuni effetti specifici sono stati notati:
- Nel primo trimestre, livelli più alti di PFBS e PFHxS erano legati a livelli di glucosio più bassi, mentre PFHxA era associato a trigliceridi più bassi. Il mix di PFAS era associato a glucosio più basso.
- Nel secondo trimestre, PFOS più alti erano legati a insulina, trigliceridi e HOMA-IR più alti, mentre PFOA era associato a glucosio leggermente più alto. Il mix di PFAS era associato a un aumento della frequenza cardiaca.
- Nel terzo trimestre, PFOS più alti erano associati a colesterolo HDL più basso.
Questi risultati suggeriscono che potrebbero esserci effetti specifici in determinati periodi, ma sono necessarie ulteriori ricerche per confermarli e capirne il significato clinico. È importante notare che, anche aggiustando i dati per fattori come la funzionalità renale (eGFR) o i livelli di albumina (che possono influenzare le concentrazioni di PFAS), le associazioni principali non cambiavano molto, suggerendo che non fossero semplicemente dovute a questi fattori fisiologici.
Cosa ci portiamo a casa da questo studio?
Questo lavoro è importante per diversi motivi. Innanzitutto, è il primo a monitorare i PFAS in una popolazione, quella dell’Arkansas centrale, finora poco studiata ma potenzialmente a rischio per vari esiti di salute avversi (mortalità infantile più alta, più parti pretermine, più obesità e diabete rispetto alla media USA).
Ci conferma che l’esposizione ai PFAS durante la gravidanza è una realtà e che questa esposizione è associata a cambiamenti nei parametri cardiometabolici materni. L’associazione con una pressione diastolica più alta è un segnale da non sottovalutare. L’associazione con lipidi più bassi è intrigante e merita approfondimenti, perché contrasta con parte della letteratura esistente e potrebbe dipendere da caratteristiche specifiche della popolazione studiata, dalle tempistiche dell’esposizione o dai meccanismi d’azione specifici di questi composti.

Anche se i livelli di alcuni PFAS “storici” come PFOA e PFOS stanno diminuendo grazie alle restrizioni, rimangono presenti e siamo esposti a un mix complesso di sostanze, incluse quelle più recenti. La gravidanza è un periodo di incredibile vulnerabilità e plasticità, e alterazioni anche sottili del metabolismo materno possono avere conseguenze a lungo termine sia per la madre che per il bambino.
Lo studio sottolinea la necessità di continuare a monitorare l’esposizione a questi contaminanti ambientali, soprattutto in popolazioni vulnerabili e in periodi critici come la gravidanza. Servono più ricerche longitudinali per capire meglio gli effetti a lungo termine e per identificare eventuali interventi (magari legati allo stile di vita) che possano limitare l’esposizione o mitigarne gli effetti.
Insomma, i PFAS rimangono un tema caldo e questo studio aggiunge un tassello importante, ricordandoci quanto sia fondamentale proteggere la salute materna dalle insidie nascoste nel nostro ambiente.
Fonte: Springer
