Esofagite da Radioterapia? La PET/CT con 18F-FAPI-04 ci Vede Chiaro (e Prima!)
Ciao a tutti, appassionati di scienza e curiosi! Oggi voglio parlarvi di una di quelle scoperte che, secondo me, possono davvero fare la differenza nella vita dei pazienti oncologici. Immaginate di dover affrontare un nemico tosto come il cancro esofageo localmente avanzato (quello che i medici chiamano LA-ESCC). La terapia standard, spesso, è una combinazione bella strong di chemio e radioterapia (la cosiddetta chemio-radioterapia concomitante o CCRT). Funziona, eh, ma come tutte le armi potenti, può avere degli effetti collaterali. Uno dei più comuni e fastidiosi? L’esofagite da radiazioni (RE).
Ma cos’è esattamente l’esofagite da radiazioni?
Pensate all’esofago come al tubo che porta il cibo dalla bocca allo stomaco. Quando viene irradiato, può infiammarsi. E quando si infiamma, sono dolori! Parliamo di disfagia (difficoltà a deglutire), odinofagia (dolore quando si deglutisce) e un fastidioso dolore dietro lo sterno. Insomma, un calvario che può compromettere la qualità della vita e, nei casi peggiori, costringere a interrompere la radioterapia. Capite bene che trovare un modo per “fiutare” l’arrivo di questa esofagite prima che diventi un problema serio sarebbe una manna dal cielo. E qui entra in gioco la protagonista della nostra storia: la PET/CT con 18F-FAPI-04.
Un tracciante “investigatore”: l’18F-FAPI-04
Forse avete già sentito parlare della PET (Tomografia a Emissione di Positroni), una tecnica di imaging che usa dei traccianti radioattivi per “vedere” cosa succede dentro il corpo a livello molecolare. L’18F-FAPI-04 è un tracciante relativamente nuovo che ha un bersaglio specifico: la Proteina di Attivazione dei Fibroblasti (FAP). Questa proteina, pensate un po’, si “accende” e aumenta la sua espressione quando i tessuti si stanno rimodellando, guarendo da una ferita, o in presenza di malattie come l’artrite, l’aterosclerosi e, appunto, diversi tipi di cancro. È come se fosse un segnale luminoso che dice: “Ehi, qui sta succedendo qualcosa di intenso!”.
Studi recenti hanno già dimostrato che la PET/CT con traccianti che puntano alla FAP, come il 68Ga-FAPI-04, è super efficace per diagnosticare vari tumori. E l’18F-FAPI-04, in particolare, si è rivelato sicuro e molto specifico. C’era persino un caso riportato in letteratura di un paziente con esofagite che mostrava un’aumentata captazione di 68Ga-FAPI proprio dove l’esofago era ispessito. Da qui l’idea: e se l’18F-FAPI-04 PET/CT potesse aiutarci a scovare l’esofagite da radiazioni?
Lo studio che ci apre gli occhi
Ed eccoci al dunque! Un gruppo di ricercatori ha condotto uno studio prospettico proprio per rispondere a questa domanda. Hanno arruolato 30 pazienti con carcinoma squamoso dell’esofago localmente avanzato, tutti destinati a ricevere la chemio-radioterapia. Questi pazienti sono stati sottoposti a una PET/CT con 18F-FAPI-04 prima di iniziare la radioterapia e poi di nuovo durante il trattamento, dopo aver ricevuto circa 40 Gray (Gy) di radiazioni (l’unità di misura della dose assorbita).
Settimanalmente, i medici valutavano l’eventuale comparsa e la gravità dell’esofagite da radiazioni, usando i criteri del Radiation Therapy Oncology Group (RTOG), una scala standard.
Il parametro chiave che hanno analizzato sulle immagini PET è stato il cosiddetto TBRblood (target-to-background ratio in blood), che in parole povere misura quanto il tracciante si concentra nell’esofago rispetto al sangue. Hanno anche calcolato il ΔTBRblood, cioè la variazione di questo valore tra prima e durante la radioterapia. L’obiettivo era vedere se ci fosse una correlazione tra questi valori e l’insorgenza o la gravità dell’esofagite.

Risultati? Promettentissimi!
Ebbene sì, i risultati sono stati davvero incoraggianti!
- I pazienti che hanno sviluppato esofagite da radiazioni mostravano valori di TBRblood (durante la radioterapia) e di ΔTBRblood significativamente più alti rispetto a quelli che non l’hanno sviluppata.
- Non solo: quelli con un’esofagite di grado 3 (la forma più severa presa in considerazione in modo specifico) avevano valori di TBRblood e ΔTBRblood ancora più elevati rispetto a chi aveva un’esofagite di grado inferiore.
L’analisi statistica multivariata, quella che cerca di capire quali fattori sono veramente predittivi al netto di altre variabili, ha identificato il ΔTBRblood come un “detective” significativo sia per l’esofagite di qualsiasi grado sia, specificamente, per quella di grado 3. In pratica, un aumento importante della captazione del FAPI nell’esofago durante la terapia sembra essere un campanello d’allarme molto affidabile.
Pensate che il 70% dei pazienti nello studio (21 su 30) ha sviluppato esofagite, e il 20% (6 su 30) ha raggiunto il grado 3. Queste percentuali sono in linea con quanto già si sapeva, ma ora abbiamo uno strumento in più per identificare precocemente questi pazienti.
Perché è una notizia così importante?
Ve lo dico subito: poter prevedere chi svilupperà un’esofagite severa, e farlo magari già a metà del percorso di radioterapia (intorno ai 40 Gy), è un vantaggio enorme. Permetterebbe ai medici di intervenire prima, magari con terapie di supporto più mirate o, in casi selezionati, ricalibrando il piano di trattamento radioterapico per proteggere meglio l’esofago, senza compromettere l’efficacia sul tumore. L’esofagite di grado 3 non è uno scherzo: può portare a ulcere, perforazioni e persino alla formazione di fistole tra esofago e trachea. Complicazioni che peggiorano drasticamente la qualità di vita e possono avere un impatto negativo sulla sopravvivenza a lungo termine.
Questo studio è il primo a dimostrare che la PET/CT con 18F-FAPI-04 può essere un metodo efficace per rilevare l’esofagite da radiazioni. Rispetto ad altri studi che hanno usato la PET con 18F-FDG (il tracciante “classico” per i tumori), l’18F-FAPI-04 sembra offrire una predizione con un’accuratezza (AUC, area sotto la curva ROC) persino superiore e in un momento precedente del trattamento.
Certo, qualche “ma” c’è sempre (per ora)
Come ogni studio scientifico serio, anche questo ha le sue limitazioni, e gli autori sono i primi a sottolinearlo. Si tratta di uno studio condotto in un singolo centro e con un numero di pazienti relativamente piccolo (30). Quindi, prima di poter dire “Eureka!” e applicare questa metodica nella pratica clinica di tutti i giorni, serviranno studi più ampi, multicentrici, per confermare questi risultati promettenti.
Inoltre, per evitare che la risposta del tumore alle terapie “confondesse” i risultati, i ricercatori hanno escluso dall’analisi le regioni del tumore primario. Questo potrebbe aver portato a una sottostima dei parametri, anche se l’analisi dell’SUV massimo dei tumori primari potrebbe aver mitigato questo aspetto. Infine, sarebbe interessante vedere se scansioni PET/CT con 18F-FAPI-04 eseguite in momenti diversi dopo la radioterapia potrebbero identificare un punto temporale ancora più precoce per la predizione.
In conclusione: una speranza concreta
Nonostante le cautele d’obbligo, io trovo che questa ricerca apra scenari davvero interessanti. La possibilità di utilizzare la PET/CT con 18F-FAPI-04 per “vedere” l’esofagite da radiazioni mentre si sta sviluppando, soprattutto nelle sue forme più severe, è un passo avanti notevole. Poter identificare i pazienti a rischio con una singola scansione FAPI a metà della radioterapia ha un potenziale enorme per guidare le decisioni cliniche, personalizzare le cure e, in definitiva, migliorare la vita di chi combatte contro il cancro esofageo. Staremo a vedere gli sviluppi futuri, ma la strada sembra quella giusta!

Fonte: Springer
