Immagine concettuale che rappresenta il 'peso delle parole': una piuma delicata che cerca di bilanciare un insieme di parole tridimensionali pesanti e metalliche su una vecchia bilancia da gioielliere. Lo sfondo è scuro e suggestivo, illuminazione laterale drammatica, macro lens 90mm, alta definizione, per simboleggiare la delicatezza e l'impatto del linguaggio nell'anoressia.

Il Peso delle Parole: Quando il Linguaggio Svela i Segreti Più Profondi dell’Anoressia Nervosa

Avete mai pensato a quanto possano pesare le parole? Non in senso letterale, ovvio, ma per l’impatto che hanno, per quello che nascondono e rivelano, specialmente quando si tocca la corda delicata della sofferenza psicologica. Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante, quasi da detective dell’anima, per esplorare come le parole che usiamo per raccontarci possano gettare luce su una condizione complessa e dolorosa come l’anoressia nervosa (AN). Mi sono imbattuto in uno studio illuminante, intitolato “The Weight of Words: An analysis of Autobiographical Narratives and Psychopathological Measures in Anorexia Nervosa”, e non ho potuto fare a meno di volerne condividere le riflessioni, cercando di tradurle in un linguaggio che ci parli da vicino.

L’Anoressia Nervosa: Molto Più Che “Non Mangiare”

Prima di addentrarci nel cuore del linguaggio, facciamo un piccolo passo indietro. L’anoressia nervosa non è semplicemente una “dieta andata troppo oltre”. È un disturbo alimentare serissimo, caratterizzato da una restrizione autoindotta dell’apporto calorico, una perdita di peso significativa, una paura matta di ingrassare e una percezione distorta del proprio corpo. Immaginatevi: quello che per molti inizia come un tentativo, magari innocuo, di controllare l’alimentazione, si trasforma in un vero e proprio schema comportamentale che si autoalimenta. E la cosa più insidiosa? Spesso chi ne soffre vive questa restrizione come qualcosa di desiderabile, un segno di autodisciplina, rendendo il disturbo ego-sintonico, cioè in armonia con il proprio Io. Purtroppo, l’AN ha il triste primato del più alto tasso di mortalità tra tutte le malattie psichiatriche. Non è un gioco.

Si parla di due sottotipi principali: uno restrittivo puro (dieta ferrea, digiuno, attività fisica estenuante) e uno con abbuffate seguite da comportamenti di eliminazione. La gravità si misura con l’Indice di Massa Corporea (BMI), che deve essere significativamente basso. Ma dietro i numeri, c’è un universo di fattori biologici, familiari e psicosociali. E la personalità? Gioca un ruolo da protagonista. Spesso troviamo alti livelli di perfezionismo, nevroticismo, motivazione all’evitamento, e bassi livelli di estroversione e autodirezionalità. Nel Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM-2), si parla di pattern di pensiero, sentimento e comportamento relativamente stabili. Nell’AN di tipo restrittivo, i disturbi di personalità più comuni sono quello evitante e quello ossessivo-compulsivo. A volte, si possono rintracciare strutture nevrotiche o addirittura nuclei psicotici, con meccanismi di difesa immaturi come la negazione della magrezza o della gravità della malattia, lo splitting, l’identificazione proiettiva.

La Danza Sottile tra Parole ed Emozioni: La Teoria del Codice Multiplo

Come facciamo a capire come una persona vive le sue esperienze? Un modo è analizzare come ne parla, le parole che sceglie. È qui che entra in gioco la geniale Teoria del Codice Multiplo (MCT) di Wilma Bucci. Immaginatela come una lente d’ingrandimento che ci permette di vedere come colleghiamo le emozioni alle espressioni verbali e ai processi cognitivi. La MCT ci dice che elaboriamo le informazioni su tre livelli:

  • Il sistema sub-simbolico: è il nostro “sentire” primordiale, analogico, che processa informazioni non verbali, cruciale per il nucleo affettivo.
  • Il sistema simbolico non-verbale: opera con immagini, rappresentazioni che emergono dal sistema sub-simbolico.
  • Il sistema simbolico verbale: qui, immagini e rappresentazioni possono essere tradotte in parole.

Le nostre esperienze di vita, comprese quelle emotive, sono organizzate in “schemi di memoria” e “schemi emotivi”, che iniziano a formarsi prestissimo, prima ancora del linguaggio. Gli schemi emotivi sono costellazioni viscerali e rappresentazioni mnemoniche uniche per ognuno di noi. Quindi, quando cerchiamo di raccontare un episodio personale, attingiamo a questi schemi emotivi, tentando di dare forma a esperienze complesse e multidimensionali.

Una giovane donna, ritratto 35mm, toni bicromatici seppia e grigio cenere, il suo sguardo è rivolto lateralmente, pensieroso e velato da una sottile tristezza, riflettendo la complessità interiore dell'anoressia nervosa. Profondità di campo per isolare il soggetto, luce soffusa laterale.

Il Processo Referenziale: Dare Voce all’Indicibile

La capacità di connettere l’esperienza emotiva alla forma verbale è chiamata Processo Referenziale (RP). Questo processo avviene in tre fasi:

  1. Arousal (Attivazione): un’attivazione emotiva, spesso legata a un’esperienza non verbale e a uno schema emotivo.
  2. Funzione Simbolizzante: il momento in cui l’informazione non verbale sull’esperienza emotiva si lega a una memoria autobiografica specifica in forma verbale (un ricordo, un sogno, un’interazione).
  3. Funzione di Riflessione/Riorganizzazione: un linguaggio che permette di trovare nuovi significati nell’esperienza emotiva, una sorta di insight.

In eventi traumatici o difficili, come nel caso dell’AN, l’attivazione degli schemi emotivi può produrre un arousal non regolato e difficile da gestire. La Bucci suggerisce che una dissociazione del RP può indicare una disconnessione degli schemi emotivi: ciò che è codificato nel sistema non verbale è staccato dal sistema simbolico verbale. È come se ci fosse un corto circuito. Questa dissociazione può manifestarsi come un’immagine distorta dell’oggetto, vissuta come separata dal nucleo affettivo, o come un’attivazione del nucleo affettivo (terrore, lotta, fuga, congelamento) senza il riconoscimento della fonte.

Cosa Ci Dicono le Parole delle Pazienti? Lo Studio nel Dettaglio

Lo studio che ha ispirato questo articolo ha coinvolto 40 donne ricoverate per anoressia nervosa restrittiva in fase acuta. Hanno compilato vari test (MMPI-2 per la personalità, EDI-3 per i disturbi alimentari, TAS-20 per l’alessitimia, ERQ per la regolazione emotiva) e hanno partecipato a un’intervista chiamata Relationship Anecdotes Paradigm (RAP), dove raccontavano episodi di interazione con altre persone. Queste interviste sono state registrate, trascritte e analizzate con misure linguistiche computerizzate del RP. L’obiettivo? Capire se ci fossero caratteristiche linguistiche tipiche dell’AN, se fossero associate alla gravità del disturbo, alla capacità di regolare le emozioni e agli aspetti psicopatologici della personalità.

I risultati sono stati davvero interessanti. Innanzitutto, non è emersa una relazione lineare tra BMI e misure linguistiche. Tuttavia, le correlazioni con le scale psicopatologiche dell’EDI-3 hanno rivelato molto. Due misure linguistiche in particolare hanno mostrato forti legami con la gravità dei sintomi dell’AN: il Dizionario della Riflessione (IREF) e la Lista Pesata di Riflessione e Riorganizzazione (IWRRL).

Razionalità e Astrazione: Uno Scudo Contro il Dolore?

Cosa significa? Che nelle narrative autobiografiche delle pazienti, un uso elevato di parole razionali, astratte e intellettualizzate (misurate dall’IREF) era associato a una maggiore gravità dei sintomi. L’IWRRL, invece, mostrava una relazione positiva con l’Insoddisfazione Corporea (EDI3 BD). Sembra quasi che il processo di svalutazione del corpo diventi un significante del processo sintomatico, come se attaccare e denigrare il proprio corpo avesse una funzione di riorganizzazione dell’esperienza, quasi a giustificare il sintomo. Altri studi confermano: chi soffre di AN tende a usare l’intellettualizzazione più di altri per comprendere e spiegare la realtà. È come se la mente cercasse di prendere il sopravvento su un corpo e su emozioni che sfuggono al controllo.

Un dato curioso: l’Indice di Bulimia (EDI3 B) ha mostrato una correlazione negativa con il Dizionario Senso-Somatico. Uno si aspetterebbe il contrario, no? Più impulso a mangiare, più riferimenti all’esperienza senso-somatica. Invece, questa correlazione negativa sembra sottolineare che parlare delle proprie esperienze senso-somatiche riduce la ricerca di cibo e promuove il comportamento restrittivo in questa popolazione. Verbalizzare, anziché agire il sintomo.

Primo piano macro di un vecchio diario aperto con parole scritte a mano, alcune sottolineate o cerchiate. Illuminazione controllata per evidenziare la texture della carta e l'inchiostro, simboleggiando l'analisi delle narrative autobiografiche e il peso delle parole. Focale 100mm, alta definizione, luce calda e soffusa.

Alessitimia e Parole: Un Legame Inaspettato?

Passiamo all’alessitimia, quella difficoltà a identificare e descrivere le proprie emozioni. Nel campione dello studio, il 60% delle partecipanti superava il cut-off clinico, indicando un alto livello di questa difficoltà. E qui, un altro dato che fa riflettere: l’alessitimia ha mostrato correlazioni significative con il Dizionario degli Affetti. A prima vista, sembra una contraddizione: come possono esprimere affetti se sono alessitimiche? Ma secondo la MCT, nominare le emozioni è diverso dal riconoscerle e percepirle. Le esperienze emotivamente coinvolgenti e simbolizzate spesso mancano di etichette affettive esplicite; piuttosto, trasmettono narrazioni autobiografiche significative attraverso cui narratore e ascoltatore possono condividere la stessa esperienza emotiva. Il basso livello di IWRAD (che indica la comunicazione di esperienze emotive attraverso le narrazioni) e l’uso più elevato di parole che nominano affetti sarebbero quindi coerenti con il concetto di alessitimia. È come dire “sono triste” senza sentire veramente la tristezza nel profondo, o senza saperla collegare a un’esperienza specifica in modo integrato.

Inoltre, la forte correlazione negativa tra la Ristrutturazione Cognitiva dell’ERQ (una strategia di regolazione emotiva) e la Somma degli Affetti, e tra l’IREF e la Ristrutturazione Cognitiva, enfatizza la funzione regolatoria disfunzionale dell’astrazione e dell’intellettualizzazione in queste pazienti. Usano l’astrazione come un tentativo di significare e spiegare qualcosa che non può essere profondamente attivato nella loro narrazione.

Il Corpo Parlante e la Difficoltà di Sentire

Il Dizionario Senso-Somatico Italiano ha mostrato un’associazione positiva con la Difficoltà a Identificare i Sentimenti. E la covariazione tra il Dizionario della Riflessione e l’Attività Referenziale Pesata (IREF_IWRAD), che quando è positiva indica una disconnessione, era positivamente correlata con la Difficoltà a Descrivere i Sentimenti. Questo è un altro indicatore del fallimento del Processo Referenziale nel regolare e comunicare le emozioni. L’uso di parole astratte, di parole che nominano affetti o che indicano sintomi corporei sembrerebbe prendere il posto di una reale attivazione emotiva. Il corpo diventa il palcoscenico di un dramma interiore che non trova altre vie d’espressione.

L’Autenticità Messa alla Prova: Il “Peso” della Desiderabilità Sociale

Un aspetto che mi ha colpito particolarmente riguarda la scala Lie (Menzogna/Desiderabilità Sociale) dell’MMPI-2. L’Alta Proporzione di IWRAD (HP IWRAD) ha mostrato una correlazione positiva con questa scala. Questo suggerisce uno sforzo per coinvolgere l’ascoltatore durante l’intervista, forse per dare un’immagine di sé più “accettabile”. Al contrario, la misura della Disfluenza (quelle piccole interruzioni, parole ripetute, pause piene che sfuggono al controllo dell’eloquenza linguistica) correla negativamente con la scala Lie. Secondo queste misure, una maggiore fluidità indicherebbe una maggiore quantità di menzogna e inautenticità. Questo dato è cruciale, considerando quanto ci si affidi ai self-report nei campioni clinici. Se c’è una tendenza a “mentire” o a presentarsi in un certo modo, quanto sono affidabili questi strumenti con persone che faticano a riconoscere aspetti della loro esperienza emotiva?

Il controllo sul cibo non corrisponderà forse anche a un tentativo di controllo sulle proprie emozioni, che però sfugge? Queste scoperte sono molto rilevanti perché dimostrano che le narrazioni libere, a risposta aperta, permettono una valutazione più autentica ed efficace rispetto ai test auto-somministrati, specialmente in popolazioni cliniche con condizioni severe.

Fotografia concettuale, una figura femminile stilizzata di spalle, con il volto parzialmente oscurato da un velo o da un effetto di frammentazione digitale, a rappresentare la dissociazione emotiva, l'alessitimia e la percezione distorta del sé. Pellicola bianco e nero, effetto film noir, per accentuare il senso di mistero e la difficoltà interiore. Focale 35mm.

Il “Peso delle Parole”: Un Titolo Non Casuale

Tornando al titolo dello studio, “Il Peso delle Parole”, per le pazienti con anoressia nervosa questa frase assume una caratteristica particolarmente eterea. L’assenza o la distorsione del contatto con il proprio peso corporeo evidenzia un delicato processo difensivo. Le parole, nel loro tentativo di raccontare, possono essere leggere, quasi impalpabili, o pesanti come macigni, a seconda di come vengono usate per mascherare o rivelare il mondo interiore.

Certo, lo studio ha i suoi limiti: un campione piccolo, solo donne, l’assenza di un gruppo di controllo. Ma i suoi risultati sono preziosi. Ci dicono che l’uso di parole astratte e i tentativi di riflettere e organizzare l’esperienza sono strettamente correlati alla gravità dei sintomi. L’uso intellettualizzato dell’esperienza è un modo difensivo di affrontare la vita. Le difficoltà a entrare in contatto con l’esperienza emotiva, dati gli alti livelli di alessitimia e disregolazione emotiva, si associano a uno stile narrativo focalizzato sul corpo, sulla percezione somatica e sulla descrizione dei sintomi.

Oltre i Numeri: L’Importanza dell’Ascolto Narrativo

Cosa ci portiamo a casa da tutto questo? Che l’analisi linguistica può fornire strumenti innovativi per affinare la nostra comprensione clinica delle pazienti e accedere a processi simbolici e riflessivi che ci aiutano a capire elementi chiave del funzionamento emotivo. Per chi lavora con questa popolazione, i risultati suggeriscono l’importanza di considerare come le pazienti con AN narrano le loro esperienze. Questo stile narrativo può servire come un indicatore per valutare il corso della malattia, segnalando potenzialmente una traiettoria verso il recupero o, al contrario, una ricaduta verso una maggiore gravità.

Le parole, quindi, non sono solo suoni o segni su un foglio. Sono finestre, a volte opache, a volte sorprendentemente trasparenti, sull’anima. E imparare ad ascoltarle, a coglierne le sfumature, il “peso”, può fare davvero la differenza nel cammino verso la guarigione.

Fonte: Springer

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