Pesci Erbivori Tropicali: Perché l’Indo-Pacifico Batte l’Atlantico (Ma C’è un Problema!)
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio affascinante sotto la superficie degli oceani tropicali, per parlare di pesci. Ma non pesci qualsiasi: parliamo dei pesci erbivori, quei guardiani colorati delle barriere coralline che svolgono un ruolo cruciale sia per l’ecosistema che per la nostra sicurezza alimentare. Mi sono immerso nello studio delle loro catture in diverse parti del mondo e ho scoperto qualcosa di davvero interessante, quasi un mistero marino che lega ecologia, pesca e società umane.
L’Intrigo: Due Oceani, Storie Diverse
Avete mai pensato a quanto possano essere diverse le popolazioni di pesci tra l’Indo-Pacifico (quell’area vastissima che va dal Mar Rosso alle isole del Pacifico centrale) e l’Atlantico Occidentale (i Caraibi e dintorni)? Beh, quando si tratta di pesci erbivori come i pesci pappagallo, i pesci chirurgo e, soprattutto, i pesci coniglio, le differenze sono enormi, specialmente in termini di quanto ne peschiamo.
Studiando i dati di cattura, sia quelli ufficiali che quelli ricostruiti (perché, ammettiamolo, la pesca artigianale e di sussistenza spesso sfugge alle statistiche!), relativi a ben 69 Zone Economiche Esclusive (ZEE), sono emerse due cose principali che influenzano quanto pesce erbivoro finisce nelle reti:
- L’estensione delle barriere coralline poco profonde: più habitat c’è, più pesce potenzialmente si trova. Sembra ovvio, no? Ma quantificarlo su larga scala è fondamentale.
- La densità della popolazione costiera: dove vivono più persone vicino alla costa, generalmente si pesca di più.
Fin qui, tutto abbastanza logico. Ma la vera sorpresa è arrivata confrontando i due “regni” marini.
Il Fattore “Coniglio”: L’Asso nella Manica dell’Indo-Pacifico
Qui la faccenda si fa intrigante. Mentre pesci pappagallo e chirurgo si trovano in entrambi gli oceani, i pesci coniglio (della famiglia Siganidae) sono presenti solo nell’Indo-Pacifico. E sapete una cosa? Fanno una differenza pazzesca! Questi pesci contribuiscono in modo sproporzionato alle catture totali di erbivori in quella regione.
Pensateci: prendendo come esempio una ZEE con 1000 km² di barriera corallina, nell’Atlantico si potrebbero pescare circa 343 tonnellate all’anno di erbivori (principalmente pappagalli e chirurghi). Nello stesso scenario, ma nell’Indo-Pacifico, le catture schizzano a circa 4150 tonnellate all’anno! Di queste, ben 3572 tonnellate (cioè l’86%!) sono pesci coniglio. Una differenza abissale, parliamo di oltre 11 volte tanto!
Questo significa che le comunità costiere dell’Indo-Pacifico hanno accesso a una risorsa ittica erbivora molto più abbondante, principalmente grazie ai pesci coniglio. Ma perché proprio loro? Sembra che abbiano caratteristiche biologiche particolari, come una crescita più rapida rispetto agli altri erbivori, che potrebbero renderli più “produttivi” e resistenti alla pressione di pesca.

Il Campanello d’Allarme: Il Calo del CPUE
Ok, l’Indo-Pacifico sembra avere un vantaggio grazie ai pesci coniglio. Ma c’è un “ma”, ed è preoccupante. Nonostante le catture totali di erbivori siano generalmente aumentate dal 1950 (in parte per l’aumento dello sforzo di pesca, specialmente per i pesci coniglio), un altro indicatore ci racconta una storia diversa: il CPUE (Catch Per Unit Effort), ovvero la cattura per unità di sforzo. In parole povere, misura quanto pesce si riesce a prendere rispetto allo sforzo impiegato (ad esempio, ore di pesca o potenza delle barche). È un indicatore indiretto dell’abbondanza del pesce in mare.
Ebbene, analizzando i dati fino al 2010 (gli ultimi disponibili per lo sforzo di pesca su larga scala), il CPUE per tutti e tre i gruppi di pesci erbivori mostra un calo significativo rispetto ai picchi storici.
- Nell’Indo-Pacifico: il CPUE dei pesci coniglio è sceso del 60% dal picco del 1977; quello dei chirurghi del 25% (dal 1973) e quello dei pappagalli del 47% (dal 1991).
- Nell’Atlantico Occidentale: la situazione è ancora più drastica. Il CPUE dei chirurghi è crollato del 91% tra il 1950 e il 2010, e quello dei pappagalli del 94% nello stesso periodo!
Questo calo generalizzato, seppur con intensità diverse tra i due regni, suggerisce che la capacità di questi gruppi di pesci di sostenere le catture (la loro “potenzialità produttiva”) potrebbe essere in diminuzione a livello globale. E questo è un problema serio, sia per gli ecosistemi marini che per le persone che dipendono da questa risorsa.

Più Gente, Meno Pesce (per Sforzo)?
Analizzando la relazione tra CPUE e fattori socio-economici, emerge un altro dato interessante: il CPUE medio degli erbivori tende ad essere più basso dove la densità di popolazione costiera è più alta. Questo rafforza l’idea che una maggiore pressione umana, probabilmente attraverso un maggiore sforzo di pesca, riduca l’abbondanza relativa di questi pesci, anche se le catture totali possono rimanere alte o addirittura aumentare (pescando di più, magari pesci più piccoli o impiegando più tempo).
Inoltre, nell’Atlantico Occidentale, il CPUE era positivamente correlato all’area della barriera corallina, suggerendo che aree più grandi potrebbero offrire una sorta di rifugio o maggiore resilienza, cosa non osservata nell’Indo-Pacifico per il periodo analizzato (2005-2010).
Perché i Pesci Coniglio, Nonostante Tutto, Calano?
Abbiamo detto che i pesci coniglio sembrano avere una marcia in più grazie alla loro biologia (crescita rapida, capacità di vivere in habitat diversi, dai reef cristallini alle torbide foreste di mangrovie). Allora perché anche il loro CPUE è in calo?
Potrebbero esserci diverse ragioni:
- Biologia riproduttiva: Depongono uova sul fondo e formano grandi aggregazioni per riprodursi, diventando bersagli facili per la pesca in quei momenti.
- Sovrasfruttamento: Anche se crescono in fretta, pescarli prima che raggiungano la maturità sessuale o prendere troppi adulti e giovani può portare al sovrasfruttamento (sia della crescita che del reclutamento).
- Vulnerabilità agli attrezzi: Sembrano particolarmente suscettibili a reti e nasse, che rappresentano una grossa fetta delle catture artigianali di questo gruppo.
Insomma, anche le specie apparentemente più resilienti non sono invincibili di fronte a una pressione di pesca elevata e non gestita.

Cosa Ci Dice Tutto Questo?
Questo studio ci lascia con alcuni messaggi chiave. Primo, l’estensione dell’habitat costiero (come le barriere coralline) e la densità della popolazione umana sono fattori cruciali che modellano le catture di pesci erbivori su larga scala. Secondo, esistono differenze biogeografiche enormi, con i pesci coniglio che danno un contributo fondamentale alle pesche dell’Indo-Pacifico, creando scenari socio-ecologici molto diversi rispetto all’Atlantico.
Terzo, e più preoccupante, il calo diffuso del CPUE suggerisce che stiamo potenzialmente erodendo la capacità produttiva di questi importanti gruppi di pesci. Questo ha implicazioni doppie: mette a rischio la salute delle barriere coralline (gli erbivori sono essenziali per controllare le alghe) e minaccia la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza di milioni di persone nelle comunità costiere tropicali.
C’è un potenziale crescente divario tra l’aumento della popolazione umana che necessita di risorse e la produttività delle zone di pesca, limitata dall’estensione dell’habitat. Questo è particolarmente critico per le piccole nazioni insulari con aree costiere limitate.
La sfida per il futuro è chiara: dobbiamo capire meglio le dinamiche di queste pesche, specialmente quelle artigianali e di sussistenza, e implementare strategie di gestione efficaci. Questo potrebbe includere misure come chiusure stagionali (magari durante la riproduzione), modifiche agli attrezzi da pesca per renderli più selettivi, e la protezione di aree chiave. Solo così potremo sperare di mantenere in salute sia gli ecosistemi marini che le comunità umane che da essi dipendono, in un mondo che cambia rapidamente. È una sfida complessa, ma assolutamente necessaria.
Fonte: Springer
