Personalità “Scomoda” e Notti Insonni: C’è un Legame? Scopriamolo Insieme!
Quante volte ci siamo girati e rigirati nel letto, contando le pecorelle o fissando il soffitto, chiedendoci perché Morfeo sembri averci abbandonato? Beh, da un po’ di tempo mi interrogo su quanto la nostra personalità, quel mix unico di pensieri, emozioni e comportamenti che ci definisce, possa giocare un ruolo in tutto questo. E non parlo solo delle classiche “abitudini da gufo” o “da allodola”, ma di qualcosa di più profondo, legato a certi tratti che, diciamo così, possono renderci la vita (e il sonno) un po’ più complicata.
Recentemente, mi sono imbattuto in una ricerca affascinante che ha provato a mettere insieme i pezzi di questo puzzle. Gli scienziati si sono chiesti: i tratti di personalità disadattivi, quelli descritti nel modello alternativo del DSM-5 (il manuale di riferimento per i disturbi mentali, per intenderci), possono influenzare le nostre abitudini legate al sonno e quante ore riusciamo effettivamente a dormire? Parliamo di tendenze come l’affettività negativa (essere un po’ troppo inclini al pessimismo e all’ansia), il distacco (evitare le relazioni intime), l’antagonismo (essere un po’ ostili o egoisti), la disinibizione (agire d’impulso senza pensare troppo alle conseguenze) e lo psicoticismo (avere pensieri un po’ bizzarri o percezioni distorte). Sembra un bel caratterino, eh?
Cosa Volevamo Capire Esattamente?
L’idea di base di questo studio, condotto su un gruppo di studenti universitari iraniani (età media circa 28 anni, con una prevalenza femminile), era duplice. Primo: provare a classificare questi ragazzi in base a come si comportavano prima di andare a letto – tipo, a che ora spegnevano la luce, se smanettavano col cellulare fino a un attimo prima, e quante ore dormivano. Secondo: una volta identificati questi “profili di dormitori”, vedere se c’erano differenze significative nei loro tratti di personalità disadattivi.
Insomma, la scommessa era che chi aveva abitudini di sonno peggiori potesse anche mostrare punteggi più alti in alcuni di questi tratti “scomodi”. E, spoiler alert, le cose sono andate più o meno così!
Come Abbiamo Fatto a Scovare Questi Legami?
Per raccogliere i dati, abbiamo usato dei questionari. Uno, chiamato PID-5-BF, serviva proprio a misurare i cinque grandi domini di personalità disadattiva che vi ho elencato prima. Poi, con domande dirette, abbiamo indagato sull’uso del cellulare prima di dormire (“Lo usi tutte le sere, qualche volta o mai?”), sull’orario in cui andavano a nanna e sulla durata effettiva del loro sonno. Niente di troppo invasivo, ma abbastanza per farci un’idea.
Una volta raccolte tutte le risposte (ben 481!), è entrata in gioco un’analisi statistica un po’ complessa, chiamata “analisi dei cluster gerarchica”. Immaginatela come un sistema che cerca di raggruppare le persone in base a quanto sono simili tra loro rispetto alle variabili del sonno. L’obiettivo era vedere se emergevano dei gruppi distinti con abitudini di sonno sane o meno sane.
I Risultati: Tre Tipi di “Dormitori” e le Loro Personalità
Ebbene sì, l’analisi ha fatto emergere tre gruppi principali. Li abbiamo chiamati:
- Il gruppo dei “vulnerabili”: questi ragazzi avevano abitudini di sonno non proprio esemplari (tipo, cellulare fisso prima di dormire e orari un po’ ballerini), ma, sorprendentemente, riuscivano comunque a dormire un numero sufficiente di ore (circa 7.9 ore in media). Diciamo che se la cavavano, ma erano un po’ sul filo del rasoio.
- Il gruppo degli “insalubri”: qui la situazione era decisamente peggiore. Cattive abitudini di sonno (anche loro con il cellulare sempre acceso prima di coricarsi e orari tardi) più un sonno insufficiente (solo 5.2 ore in media). Un mix decisamente poco salutare.
- Il gruppo dei “sani”: finalmente una buona notizia! Questi studenti avevano buone abitudini (il cellulare lo usavano solo qualche volta prima di dormire e andavano a letto prima) e dormivano a sufficienza (circa 7.5 ore). Bravi loro!
La cosa interessante è che solo il 26% del campione rientrava nel gruppo dei “sani”. Questo ci dice che i problemi di sonno e le cattive abitudini sono parecchio diffusi tra gli studenti, un dato che, ahimè, non mi sorprende più di tanto e che altri studi confermano.
Ma veniamo al dunque: la personalità. Quando abbiamo confrontato i punteggi dei tratti disadattivi tra i tre gruppi, le differenze sono emerse chiare e tonde, soprattutto per il gruppo degli “insalubri”. Questi ultimi mostravano punteggi mediamente più alti in quasi tutti i domini di personalità disadattiva, ad eccezione del “distacco”. In particolare, l’affettività negativa e lo psicoticismo sembravano giocare un ruolo un po’ più marcato nel predire queste abitudini di sonno poco sane. Anche la disinibizione era più alta nel gruppo “vulnerabile” rispetto a quello “sano”.
Cosa Ci Dice Tutto Questo, in Soldoni?
Beh, per me è una conferma: la nostra personalità ha un impatto significativo su come ci prendiamo cura del nostro sonno e, di conseguenza, su quanto riusciamo a riposare. Non è solo una questione di “forza di volontà” nello spegnere il telefono o andare a letto presto. Ci sono dei meccanismi psicologici più profondi all’opera.
Pensiamoci un attimo: chi ha un’alta affettività negativa tende a rimuginare, ad essere ansioso, e questo di certo non aiuta ad addormentarsi serenamente. Magari il cellulare diventa una sorta di “coperta di Linus” per distrarsi dai pensieri negativi, peggiorando però la situazione. Questo tratto è un po’ il cugino della “nevrosi” di cui si parlava di più in passato, e sappiamo che la nevrosi è fortemente legata a una scarsa qualità del sonno.
E l’antagonismo e la disinibizione? Questi tratti sono associati a comportamenti più impulsivi, a una minore responsabilità. Chi ne ha livelli alti potrebbe fregarsene degli orari regolari, tirare tardi senza pensarci due volte, o magari indulgere in sostanze (come alcol o stimolanti) che disturbano il sonno. Per queste persone, potrebbe essere utile lavorare sul rafforzamento dell’autocontrollo e sulla riduzione dell’impulsività legata alle abitudini serali.
Per quanto riguarda lo psicoticismo, questo può portare a pensieri insoliti o a un’ansia intensa quando si cerca di dormire, rendendo difficile il rilassamento e riducendo la durata del sonno.
Quindi, se gli interventi educativi sull’igiene del sonno a volte non funzionano per tutti, forse è perché non tengono abbastanza in conto questi aspetti della personalità. Non basta dire “spegni il telefono”, se quel telefono per qualcuno è un modo per gestire (male) ansie profonde.
Un Appello alla Medicina Preventiva e Qualche Cautela
Questi risultati, secondo me, sono un campanello d’allarme importante. La medicina preventiva potrebbe fare molto identificando precocemente, magari già durante l’adolescenza o la prima età adulta, le persone con tratti di personalità che le mettono a rischio di sviluppare problemi di sonno. Intervenire presto potrebbe fare una grande differenza.
Certo, come ogni studio, anche questo ha i suoi limiti. È uno spaccato di un momento preciso (cross-sectional), quindi non possiamo stabilire rapporti di causa-effetto certi. I dati si basano su quanto riferito dai partecipanti (autovalutazioni), che potrebbero non essere sempre precisissimi. E il campione era di studenti iraniani, quindi bisogna essere cauti nel generalizzare i risultati a tutti. Inoltre, non abbiamo indagato altri fattori che pure influenzano il sonno, come lo stile di vita generale o la salute fisica.
Nonostante ciò, credo che questa ricerca aggiunga un tassello importante alla nostra comprensione di quanto la mente e il corpo siano interconnessi, soprattutto quando si parla di sonno. Forse, la prossima volta che non riusciamo a dormire, oltre a rivedere le nostre abitudini, potremmo chiederci se c’è qualche aspetto della nostra personalità che merita un po’ più di attenzione e cura.
Guardando al Futuro
Cosa ci aspetta? Sicuramente servono studi longitudinali, che seguano le persone nel tempo, per capire meglio come questi tratti di personalità influenzino il sonno e viceversa. Sarebbe bello anche usare strumenti di misurazione più oggettivi per il sonno, e coinvolgere campioni di popolazione più vari. E, soprattutto, capire quali percorsi psicoterapeutici mirati potrebbero aiutare chi ha questi tratti “scomodi” a migliorare la qualità del proprio riposo.
In conclusione, sembra proprio che i nostri tratti di personalità disadattivi possano metterci lo zampino nelle nostre notti. Riconoscerlo è il primo passo per poter, forse, dormire sonni un po’ più tranquilli. E voi, vi ritrovate in qualcuna di queste descrizioni? Chissà, magari parlarne è già un modo per iniziare a stare meglio!
Fonte: Springer