Fotografia realistica, stile reportage, di un gruppo diversificato di operatori sanitari (infermieri, medici, assistenti) in una sala riunioni moderna negli Stati Uniti, che discutono davanti a grafici economici proiettati su uno schermo. Obiettivo zoom 24-70mm, luce ambientale da ufficio, espressioni concentrate.

Personale Sanitario USA: E Se la Vera Crisi Fosse Legata all’Economia?

Ok, parliamoci chiaro. Tutti abbiamo sentito parlare della crisi del personale sanitario negli Stati Uniti, specialmente dopo il caos del COVID-19. Ospedali in affanno, infermieri e medici stremati, posti vacanti ovunque… un quadro preoccupante, non c’è dubbio. Ma se vi dicessi che la pandemia, per quanto devastante, è solo una parte del puzzle? Se la vera ragione per cui facciamo fatica a trovare e trattenere questi professionisti cruciali fosse legata a qualcosa di più grande, come l’andamento generale dell’economia? Affascinante, vero? Beh, è proprio quello che ho cercato di capire analizzando un po’ di dati storici.

La Pandemia: Catalizzatore, Non Unica Causa

Certo, il COVID-19 ha messo a dura prova il sistema sanitario come mai prima d’ora. Ha acceso i riflettori su problemi che covavano da tempo e ha sicuramente spinto molti lavoratori al limite, portandoli a lasciare il settore. Abbiamo visto tutti le notizie, le testimonianze, la fatica. L’American Hospital Association parlava di emergenza nazionale già a inizio 2022. Ma la cosa strana è che, anche quando la pressione della pandemia si è allentata, gli ospedali hanno continuato a segnalare enormi difficoltà nel reclutare e trattenere personale. Questo mi ha fatto pensare: non può essere *solo* colpa del virus. Deve esserci dell’altro.

La Danza Segreta tra Lavoro ed Economia

Ed è qui che entra in gioco l’economia. Studiando i dati dal 2003 al 2022, usando informazioni rappresentative a livello nazionale (grazie al Current Population Survey!), ho notato una tendenza davvero interessante. Esiste una relazione inversa, quasi una danza controcorrente, tra il tasso di disoccupazione nazionale e il numero di operatori sanitari che decidono di cambiare settore. In parole povere:

  • Quando l’economia generale va male e la disoccupazione aumenta (come durante la Grande Recessione del 2007-2009), meno persone lasciano il settore sanitario per andare a lavorare altrove. Anzi, la sanità sembra quasi diventare un rifugio, un settore che continua ad assumere quando gli altri licenziano. Pensate che durante quella crisi, mentre l’occupazione nazionale crollava, quella sanitaria cresceva!
  • Quando l’economia va bene e la disoccupazione è bassa (come negli anni precedenti la pandemia e, in parte, anche ora), più operatori sanitari lasciano il settore. Perché? Probabilmente perché trovano opportunità migliori, stipendi più alti o condizioni di lavoro meno stressanti in altri campi come i servizi professionali o il commercio al dettaglio.

Questa relazione è definita “contro-ciclica” ed è piuttosto marcata (la correlazione statistica è moderata, r=-0.58, il che non è affatto male!). Quindi, l’idea che la carenza attuale sia solo un’eredità del COVID inizia a scricchiolare. Potrebbe essere, in buona parte, un “effetto collaterale” di un mercato del lavoro generale forte, dove la sanità fatica a competere.

Fotografia realistica di un'infermiera o un tecnico sanitario che guarda pensieroso fuori da una finestra dell'ospedale, con sullo sfondo sfocato simboli di altri settori lavorativi come un negozio o un ufficio. Obiettivo prime 35mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco la persona, illuminazione naturale morbida.

Chi Lascia di Più e Quando?

Analizzando più a fondo, emergono altri dettagli interessanti. Non tutti gli operatori sanitari reagiscono allo stesso modo. La tendenza a lasciare il settore quando l’economia tira è particolarmente forte tra i lavoratori con un livello di istruzione più basso (pensiamo ad assistenti sanitari, ausiliari, ecc., che costituiscono comunque una fetta importante della forza lavoro, quasi un terzo!). Per loro, la correlazione con la disoccupazione nazionale è ancora più negativa (r=-0.60). Questo suggerisce che, avendo magari meno vincoli legati a specializzazioni o titoli specifici, sono più propensi a cogliere opportunità in altri settori quando queste si presentano. Per i lavoratori con istruzione media (come infermieri laureati o tecnici) e alta (medici, dentisti), la relazione esiste ma è un po’ meno forte.

E la competizione? Beh, i dati mostrano che quando la disoccupazione nei settori dei servizi professionali e del commercio al dettaglio è bassa, più gente lascia la sanità. Questo conferma l’idea che questi settori “rubino” lavoratori alla sanità quando l’economia è in salute. Curiosamente, la correlazione è più debole con settori come l’ospitalità e l’istruzione.

Un’altra cosa che mi ha colpito: non ho trovato differenze significative tra uomini e donne in questa tendenza a cambiare settore in base all’economia. Questo è interessante, perché sappiamo che le donne (che sono la stragrande maggioranza nella sanità) spesso lasciano il *mercato del lavoro* per motivi familiari, ma sembra che la scelta di *cambiare settore* sia guidata più dalle condizioni economiche generali, in modo simile agli uomini. Anche per i gruppi razziali minoritari (URM), pur avendo tassi di abbandono mediamente più alti, il *pattern* legato alla disoccupazione sembra simile a quello degli altri lavoratori.

Oltre il COVID: Una Visione Ciclica

Quindi, cosa ci dice tutto questo? Che la “crisi” del personale sanitario potrebbe non essere un evento eccezionale legato alla pandemia, ma piuttosto una fase di un ciclo economico più ampio. Quando la disoccupazione è bassa, la sanità fatica a trattenere i lavoratori perché la competizione è alta. Quando l’economia rallenta, la sanità diventa più attrattiva o semplicemente l’unica opzione per molti.

Questo non significa minimizzare lo stress e il burnout causati dal COVID, assolutamente no! Ma ci aiuta a contestualizzare il problema. Forse, quello che stiamo vedendo non è una “grande fuga” post-pandemica senza precedenti, ma un ritorno a dinamiche pre-esistenti, esacerbate certo dalla pandemia, ma fondamentalmente legate al ciclo economico.

Immagine macro, obiettivo 100mm, di una mano che disegna un grafico ciclico (alti e bassi) su un foglio di carta, con simboli medici (stetoscopio, croce) e simboli economici (grafico a barre, simbolo del dollaro) integrati nel disegno. Illuminazione controllata da studio, alta definizione per mostrare la texture della carta e l'inchiostro.

Cosa Possono Fare Ospedali e Cliniche?

Questa prospettiva cambia le carte in tavola per chi gestisce ospedali, cliniche e strutture sanitarie. Invece di reagire solo all’emergenza del momento, dovrebbero adottare una visione a lungo raggio e ciclica. Le strategie di reclutamento e fidelizzazione del personale non possono essere sempre le stesse, ma devono adattarsi alle condizioni economiche attuali, anticipando già il ciclo successivo.

Ad esempio:

  • In periodi di bassa disoccupazione (come ora): Bisogna investire di più per rendere il lavoro in sanità competitivo. Non solo stipendi, ma anche migliori condizioni di lavoro, flessibilità, supporto contro il burnout, percorsi di carriera chiari. Bisogna capire cosa offrono gli altri settori e cercare di pareggiare o superare l’offerta, soprattutto per le figure professionali più “contese”.
  • In periodi di alta disoccupazione: La sanità può essere vista come un’ancora di salvezza. È il momento di attrarre talenti magari provenienti da altri settori in crisi, offrire formazione e riqualificazione, e consolidare la forza lavoro in vista della successiva ripresa economica, quando la competizione tornerà a farsi sentire.

La morale della favola? Per capire davvero la carenza di personale sanitario e trovare soluzioni durature, dobbiamo alzare lo sguardo oltre le mura dell’ospedale e guardare all’intera economia. La pandemia è stata una tempesta, ma le maree economiche continuano a influenzare chi sceglie di restare, chi se ne va e chi arriva nel mondo della cura. E solo capendo queste maree possiamo navigare meglio le sfide future.

Fonte: Springer

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