Immagine fotorealistica di un medico specialista in cardiologia che illustra con un sorriso rassicurante il percorso di cura ABC a un paziente cinese molto anziano (oltre 85 anni) e a un suo familiare, in uno studio medico moderno e accogliente. Sul tavolo, un modello anatomico del cuore. Obiettivo 50mm, profondità di campo ridotta per mettere a fuoco i volti, illuminazione morbida da studio.

Fibrillazione Atriale negli Over 85: Il Percorso ABC Funziona Davvero? Scopriamolo Insieme!

Ciao a tutti! Oggi voglio parlarvi di qualcosa che tocca da vicino molti di noi, direttamente o indirettamente: la fibrillazione atriale (FA), soprattutto quando colpisce i nostri cari più anziani, quelli che chiamiamo “molto anziani”, ovvero gli over 85. Sapete, la FA è l’aritmia più comune al mondo e, con l’invecchiamento della popolazione, è un problema sempre più diffuso. Non è solo un battito cardiaco irregolare, ma porta con sé un rischio aumentato di ictus, problemi cardiaci e, purtroppo, una mortalità più alta. Pesa tantissimo sui pazienti, sulle famiglie e sui sistemi sanitari.

Ma c’è una strategia, un approccio che sta guadagnando terreno e che promette di migliorare le cose: il percorso “Atrial fibrillation Better Care” (ABC). Sembra quasi l’alfabeto, vero? E in un certo senso lo è, per una gestione migliore della FA. Vediamo cosa significa:

  • A = Avoid stroke (Evitare l’ictus): usare la terapia anticoagulante giusta per prevenire la formazione di coaguli pericolosi.
  • B = Better symptom control (Miglior controllo dei sintomi): gestire i sintomi della FA per migliorare la qualità della vita del paziente.
  • C = Cardiovascular risk factor and Comorbidity management (Gestione dei fattori di rischio cardiovascolare e delle comorbidità): affrontare tutti gli altri problemi di salute che spesso accompagnano la FA, come ipertensione, diabete, insufficienza cardiaca, ecc.

Questo approccio integrato, olistico, ha già dimostrato in molti studi di portare a risultati clinici migliori. Le linee guida più recenti, come quelle della Società Europea di Cardiologia del 2024, raccomandano percorsi simili (hanno introdotto l’acronimo AF-CARE, ma la base è quella dell’ABC). Insomma, sembra la strada giusta.

Ma funziona anche nei “grandi anziani”? Lo studio ChiOTEAF

Qui arriva il punto cruciale. Abbiamo tante prove sull’efficacia dell’ABC, ma quando si parla di persone molto anziane, diciamo dagli 85 anni in su, i dati sono sempre stati un po’ scarsi. E sappiamo bene che curare un ottantacinquenne non è come curare un sessantenne: ci sono più fragilità, più malattie concomitanti, un rischio di sanguinamento più alto con gli anticoagulanti… insomma, è una sfida.

Per capirci di più, mi sono imbattuto in uno studio affascinante, parte del registro ChiOTEAF (Optimal Thromboprophylaxis in Elderly Chinese Patients with Atrial Fibrillation). Si tratta di uno studio prospettico, multicentrico, condotto in Cina tra il 2014 e il 2018, che ha seguito per un anno un gruppo di pazienti con FA di età pari o superiore a 85 anni. L’obiettivo? Valutare l’impatto del percorso ABC sui loro esiti clinici.

Hanno analizzato un bel gruppo: 1215 persone con un’età media di 88,5 anni (wow!). Di questi, però, solo per 492 avevano dati completi per valutare l’aderenza al percorso ABC. E qui la prima sorpresa, forse non così piacevole: solo 142 pazienti (circa il 29% di quelli valutabili) erano effettivamente gestiti secondo tutti e tre i criteri dell’ABC. Gli altri 350 (il 71%) no. Questo ci dice già che applicare questo approccio “da manuale” nella vita reale, soprattutto in questa fascia d’età, non è scontato.

Fotografia di un medico che discute amichevolmente con un paziente cinese molto anziano seduto in uno studio medico luminoso e moderno. Il medico indica un grafico sul tablet. Obiettivo 35mm, profondità di campo per mantenere entrambi a fuoco, luce naturale dalla finestra, toni caldi e rassicuranti.

I risultati: luci…

Ma veniamo al sodo: seguire il percorso ABC ha fatto la differenza per questi pazienti over 85? La risposta, ragazzi, è un forte e chiaro, almeno per alcuni aspetti fondamentali.
Guardate un po’:

  • Meno eventi gravi combinati: I pazienti nel gruppo “ABC compliant” (quelli che seguivano il percorso) hanno avuto un rischio significativamente più basso dell’outcome composito (morte per qualsiasi causa + qualsiasi evento tromboembolico come ictus o embolia periferica). Parliamo di un’incidenza del 2.8% contro il 12.0% nel gruppo non-compliant. L’analisi statistica (odds ratio aggiustato) conferma: rischio ridotto di circa il 77%!
  • Mortalità ridotta: Anche considerando solo la mortalità per qualsiasi causa, il gruppo ABC ha fatto molto meglio: 2.1% contro 9.7%. Rischio ridotto di circa il 78%!
  • Migliore qualità della vita: Non solo si vive di più, ma si vive meglio! I pazienti gestiti con l’ABC hanno riportato punteggi significativamente più alti nei questionari sulla qualità della vita (EQ score 0.83 vs 0.78).
  • Nessun aumento dei sanguinamenti maggiori: Questo è un punto importantissimo. Una delle paure principali nel dare anticoagulanti agli anziani è il rischio di emorragie gravi. Bene, in questo studio, non c’è stata una differenza significativa nell’incidenza di sanguinamenti maggiori tra i due gruppi. Questo suggerisce che, se ben gestito, il percorso ABC (inclusa l’anticoagulazione appropriata) è sicuro anche in questa popolazione ad alto rischio.

Insomma, seguire un approccio integrato paga, e paga tanto, anche a 88 anni suonati! Migliora la sopravvivenza e la qualità della vita, senza apparentemente aumentare i rischi più temuti.

…e ombre: perché così pochi seguono il percorso ABC?

Ok, i benefici sono chiari. Ma allora perché solo il 29% dei pazienti valutabili seguiva il percorso ABC? Lo studio ha cercato di capirlo, identificando alcuni fattori associati alla non aderenza:

  • Precedente sanguinamento maggiore: Chi aveva già avuto un’emorragia importante in passato era molto meno propenso a seguire il percorso ABC (probabilmente per paura di un nuovo sanguinamento con gli anticoagulanti, il punto ‘A’).
  • Malattia renale cronica: Anche questa condizione rendeva meno probabile l’aderenza all’ABC.
  • Demenza: La presenza di demenza era un altro fattore predittivo indipendente di non aderenza.

Questi sono ostacoli reali, comprensibili. La paura di un sanguinamento in un paziente fragile che magari ha già sanguinato, o che ha problemi renali, o che ha difficoltà cognitive, è un deterrente forte per i medici (e a volte per i pazienti stessi o i familiari).

Macro fotografia di pillole anticoagulanti di diverso colore sparse su un tavolo di legno scuro, accanto a una cartella clinica. Obiettivo macro 100mm, messa a fuoco selettiva su una pillola, illuminazione laterale per creare ombre e texture, alta definizione.

Un altro dato che salta all’occhio è che nel gruppo non-compliant, ben il 66.3% dei pazienti prendeva un antiaggregante (tipo aspirina) invece dell’anticoagulante. Sappiamo da tempo che l’aspirina non è efficace quanto gli anticoagulanti per prevenire l’ictus nella FA, e non è nemmeno priva di rischi emorragici. Eppure, questa pratica è ancora diffusa, soprattutto negli anziani. Lo studio cita varie ragioni: a volte è il medico che ritiene il paziente non idoneo all’anticoagulante, altre volte è il paziente che non vuole prenderlo, altre volte ancora si usa l’antiaggregante come “alternativa”. Addirittura, per un 17% dei non anticoagulati non c’era una spiegazione chiara!

Superare le barriere: si può fare!

Certo, le preoccupazioni su sanguinamenti, reni e demenza sono legittime. Ma la ricerca va avanti e ci offre nuove prospettive. Diversi studi osservazionali, anche su popolazioni asiatiche e molto anziane (over 90!), hanno mostrato un beneficio clinico netto (cioè i vantaggi superano i rischi) con l’anticoagulazione, soprattutto con i nuovi anticoagulanti orali (NAO o DOAC) rispetto al vecchio warfarin. Questi farmaci sembrano avere un profilo di sicurezza migliore, specie per le emorragie intracraniche.

Anche per la demenza, il discorso è complesso. La FA stessa raddoppia il rischio di demenza, non solo per gli ictus veri e propri, ma anche per micro-eventi che danneggiano il cervello. Gli studi suggeriscono che gli anticoagulanti, riducendo il rischio di ictus ischemico, potrebbero addirittura ridurre il rischio di sviluppare demenza o deterioramento cognitivo. Quindi, paradossalmente, non dare l’anticoagulante per paura legata alla demenza potrebbe peggiorare la situazione a lungo termine.

E per i pazienti ad altissimo rischio emorragico? Recentemente, uno studio randomizzato (ELDERCARE-AF) ha testato una dose molto bassa di un NAO (edoxaban 15 mg) contro placebo in pazienti over 80 non idonei alle dosi standard. Risultato? Riduzione significativa dell’ictus senza aumento significativo dei sanguinamenti maggiori. Questo apre la porta a opzioni terapeutiche anche per i pazienti più fragili.

Fotografia grandangolare di un paesaggio sereno all'alba, con una coppia di anziani che cammina mano nella mano su un sentiero. Obiettivo grandangolare 16mm, lunga esposizione per nuvole soffici, colori pastello del cielo, messa a fuoco nitida su tutto il paesaggio per simboleggiare la qualità della vita e il futuro.

Cosa portiamo a casa?

Questo studio cinese sul registro ChiOTEAF, pur con i suoi limiti (è osservazionale, ha perso alcuni pazienti al follow-up, i numeri per alcuni eventi come ictus e sanguinamenti sono piccoli), ci manda un messaggio importante:
Il percorso ABC per la gestione della fibrillazione atriale è fattibile e vantaggioso anche nei pazienti molto anziani (over 85). Porta a una migliore sopravvivenza e qualità della vita, senza un apparente aumento dei sanguinamenti maggiori.

Certo, l’aderenza nella pratica clinica è ancora bassa. Bisogna lavorare per superare le barriere, come la paura dei sanguinamenti, la gestione dei pazienti con malattia renale o demenza. È fondamentale una valutazione attenta e personalizzata del paziente, considerando tutti i rischi e i benefici, e utilizzando le opzioni terapeutiche più recenti e appropriate, magari anche a dosaggi ridotti quando necessario.

La strada è quella di un approccio sempre più integrato e personalizzato. L’ABC ci offre una bussola preziosa, anche per navigare le acque complesse della cura dei nostri “grandi anziani” con fibrillazione atriale. E i risultati, come abbiamo visto, possono fare davvero la differenza per la loro vita.

Fonte: Springer

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