Indicatori di Qualità in Sanità: La Parola ai Medici Israeliani, Dieci Anni Dopo
Ciao a tutti! Oggi voglio portarvi con me in un viaggio un po’ particolare, nel cuore del sistema sanitario israeliano. No, non parleremo di geopolitica, ma di qualcosa che tocca da vicino la vita di medici e pazienti: il monitoraggio della qualità delle cure primarie. Mi sono imbattuto in uno studio affascinante che confronta le percezioni dei medici di base israeliani su un programma nazionale di indicatori di qualità, mettendo a confronto il 2010 e il 2020. E, credetemi, i risultati fanno riflettere.
Ma cosa sono questi “Indicatori di Qualità”?
Prima di tuffarci nei risultati, facciamo un passo indietro. Molti paesi, Italia inclusa in diverse forme, usano degli “indicatori di qualità” per misurare e, si spera, migliorare le prestazioni sanitarie. In Israele, dal 2000 esiste il “National Program for Quality Indicators in Community Healthcare”. Immaginatelo come una sorta di pagella per il sistema sanitario territoriale, basata su dati raccolti dalle quattro principali mutue pubbliche (le HMOs, Health Maintenance Organizations).
Questo programma monitora ben 73 indicatori in aree cruciali come:
- Promozione della salute
- Screening oncologici
- Salute materno-infantile
- Cura degli anziani (over 65)
- Malattie respiratorie
- Salute cardiovascolare
- Diabete
- Uso appropriato di antibiotici
- Salute mentale
L’idea è nobile: usare dati, spesso estratti dalle cartelle cliniche elettroniche, per capire dove si sta facendo bene e dove si può migliorare, fornendo informazioni utili ai decisori politici e anche ai cittadini. E i risultati, in alcuni campi, si sono visti: studi passati hanno mostrato miglioramenti nei tassi di vaccinazione antinfluenzale negli anziani, un aumento dell’uso dei servizi sanitari territoriali e un incremento significativo degli screening per il cancro al seno e al colon-retto. Addirittura, seguire bene gli indicatori per il diabete sembra ridurre il rischio di problemi cardiaci. Niente male, no?
Il Termometro dei Medici: La Situazione nel 2010
Però, come in tutte le cose, c’è sempre un “ma”. Un programma del genere, per funzionare davvero, ha bisogno del supporto di chi sta in prima linea: i medici. Già nel 2010, una prima indagine (condotta in parte dagli stessi ricercatori di questo nuovo studio) aveva sondato gli animi dei medici di base israeliani. Il quadro era agrodolce:
- La stragrande maggioranza (87%) riteneva importante monitorare la qualità.
- Molti (72%) erano a favore della continuazione del programma.
- Però… il 60% lamentava pressioni eccessive da parte del management.
- Il 65% segnalava un aumento del carico di lavoro.
- Il 40% criticava l’eccessiva competitività generata dal programma.
Insomma, un programma utile, sì, ma con effetti collaterali non trascurabili sulla vita professionale dei medici.
Dieci Anni Dopo: Cosa è Cambiato (Spoiler: Non Abbastanza?)
Ed eccoci al cuore dello studio: cosa è successo nel decennio successivo? Nel 2020, i ricercatori hanno ripetuto l’indagine su un nuovo campione rappresentativo di medici di base (605 nel 2010, 450 nel 2020). Cosa è emerso?
Il supporto generale al programma rimane alto, questo va detto. Ma… c’è stato un calo, piccolo ma statisticamente significativo, in diverse aree chiave:
- La percentuale di medici che ritiene “molto o moltissimo importante” misurare le performance cliniche è scesa dall’88% all’81%.
- Chi pensa che il monitoraggio contribuisca “molto o moltissimo” a migliorare la qualità è passato dal 66% al 60% (differenza non statisticamente significativa, ma indicativa).
- Il supporto esplicito alla continuazione del programma è calato dal 73% al 65%.
E gli effetti collaterali? Qui la situazione è quasi stagnante:
- La percezione di un aumento del carico di lavoro è leggermente diminuita (dal 63% al 58% di chi lo percepisce “molto o moltissimo”), ma rimane una preoccupazione per oltre la metà dei medici.
- La sensazione di eccessiva competitività è rimasta praticamente invariata (47% nel 2010, 48% nel 2020).
- Lo stesso vale per la percezione di pressioni manageriali eccessive (58% nel 2010, 60% nel 2020).
Un dato particolarmente interessante riguarda la soddisfazione lavorativa legata specificamente al programma: nel 2010, il 48% dei medici diceva che il programma l’aveva aumentata “molto o moltissimo”, nel 2020 questa percentuale è crollata al 37%. Attenzione, non parliamo della soddisfazione generale per il lavoro (che anzi è leggermente aumentata), ma proprio dell’impatto percepito del programma sul proprio benessere professionale.
Perché questo Scetticismo Crescente?
Lo studio suggerisce che i tentativi fatti nel corso del decennio per alleggerire il peso sui medici (come ridurre alcuni indicatori nazionali legati alla performance individuale) potrebbero non essere stati sufficienti o essere stati vanificati da altri fattori. Ad esempio, dal 2012 è iniziata la pubblicazione dei dati comparativi tra le diverse mutue, cosa che potrebbe aver aumentato la pressione percepita, anche se i dati sulla competizione non mostrano un aumento significativo. Forse le azioni delle mutue hanno bilanciato questo effetto? Difficile dirlo con certezza.
Un altro aspetto emerso è la differenza di percezione tra gruppi di medici. I medici di famiglia specialisti (quelli con una formazione specifica post-laurea in medicina generale) sembrano essere diventati i più critici, con cali significativi nel supporto, nella percezione di importanza e nella soddisfazione legata al programma. Al contrario, medici non specialisti, medici non ebrei e dottoresse sembravano leggermente più favorevoli. L’ipotesi? Forse gli specialisti vedono questi indicatori standardizzati come una minaccia alla loro autonomia clinica, faticosamente conquistata con la specializzazione. È un tema caldo anche in altri paesi: la standardizzazione richiesta dai programmi di qualità può scontrarsi con la necessità di personalizzare la cura e con la libertà decisionale del medico.
Anche l’Associazione Medica Israeliana (IMA) nel 2018 aveva sollevato dubbi, parlando di difficoltà metodologiche, rischio di “giocare” con i dati per apparire migliori (il cosiddetto “teaching to the test” applicato alla medicina), e un’eccessiva focalizzazione su ciò che è misurabile a scapito di aspetti altrettanto importanti ma difficili da quantificare (come la comunicazione medico-paziente).
Cosa Chiedono i Medici per Migliorare?
Quando è stato chiesto ai medici cosa cambierebbero, le risposte sono state chiare e concrete:
- Spostare il focus dagli indicatori di processo (es. “hai fatto lo screening?”) agli indicatori di esito (es. “il paziente sta meglio?”).
- Ridurre il numero totale di indicatori.
- Fornire più formazione e strumenti di misurazione automatici.
- Smettere di pubblicare i confronti tra mutue e tra medici all’interno delle mutue (per ridurre la competizione).
- Ridurre le pressioni organizzative.
- Allocare tempo specifico (e risorse!) per occuparsi della misurazione della qualità.
- Più personale sanitario (medici, infermieri, segretari), più tempo per visita, accesso più facile a esami e specialisti, e… sì, anche stipendi migliori.
Richieste che suonano familiari, vero? Molte di queste criticità e proposte potrebbero tranquillamente applicarsi anche al contesto italiano.
Riflessioni Finali: Un Equilibrio Delicato
Cosa ci portiamo a casa da questo studio? Che misurare la qualità in sanità è importante, e i medici israeliani lo riconoscono. Tuttavia, dopo vent’anni di programma, le criticità emerse già nel 2010 (carico di lavoro, pressione, competizione) sono ancora lì, quasi immutate. Anzi, il supporto, pur rimanendo maggioritario, mostra qualche crepa.
La sfida, quindi, è trovare un equilibrio: come mantenere i benefici del monitoraggio della qualità minimizzandone gli effetti collaterali indesiderati sul lavoro e sul benessere dei medici? La risposta, probabilmente, sta nel dialogo. Ascoltare attivamente le preoccupazioni e i suggerimenti di chi lavora sul campo è fondamentale per rendere questi programmi non solo efficaci sulla carta, ma anche sostenibili e realmente utili nella pratica quotidiana. Il sistema israeliano, con la sua stretta collaborazione tra mutue e medici, potrebbe avere una buona base per avviare questa discussione costruttiva. Speriamo che i risultati di questo studio vengano presi sul serio. E chissà, magari potrebbero offrire spunti interessanti anche per noi in Italia.
Fonte: Springer