Pentasina-3 e Proteina C Reattiva: I Nostri Nuovi Alleati per Capire la Longevità (Anche con la Sindrome Metabolica!)
Amici, parliamoci chiaro: invecchiare è un’arte, ma anche una scienza!
E se vi dicessi che nel nostro sangue ci sono delle “spie” silenziose che potrebbero raccontarci molto sulla nostra aspettativa di vita? Oggi voglio parlarvi di una scoperta affascinante che arriva da uno studio chiamato PolSenior2, e che riguarda due proteine un po’ speciali: la Pentasina-3 (PTX-3) e la ben più nota Proteina C Reattiva (PCR).
Da tempo noi scienziati cerchiamo di capire quali fattori influenzino di più la nostra salute con il passare degli anni. La sindrome metabolica (quel mix di pancetta, pressione alta, zuccheri e grassi sballati) è da sempre una grande osservata speciale, perché sappiamo che può aumentare il rischio di un sacco di guai, soprattutto cardiovascolari. Ma cosa succede se aggiungiamo all’equazione questi marcatori di infiammazione vascolare? La risposta potrebbe sorprendervi!
Ma cosa sono queste PTX-3 e PCR?
Immaginatele come dei termometri dell’infiammazione nel nostro corpo. La PCR la conosciamo un po’ tutti, è quel valore che spesso si controlla nelle analisi del sangue per vedere se c’è un’infiammazione generale, prodotta principalmente dal fegato. La PTX-3, invece, è un po’ più “sofisticata”: è prodotta direttamente nei nostri vasi sanguigni e nel cuore quando c’è un’infiammazione più localizzata, specialmente a livello vascolare. Pensatela come una sentinella più specifica per la salute delle nostre arterie. È stato suggerito che la PTX-3 sia un marcatore più specifico dell’infiammazione vascolare rispetto ad altri membri della famiglia delle pentraxine, inclusa la PCR. Mentre la PCR è prodotta principalmente dal fegato in risposta all’aumento dei livelli di interleuchina-6, la PTX-3 è prodotta dalla vascolatura e dal cuore in risposta a stimoli infiammatori primari. È stato anche dimostrato che macrofagi, cellule endoteliali e muscolari lisce nelle lesioni aterosclerotiche umane producono PTX-3. A sua volta, la PTX-3 stimola la sintesi di citochine proinfiammatorie da parte dei macrofagi, il che può ulteriormente esacerbare la disfunzione endoteliale e influenzare la stabilità della placca aterosclerotica.
Lo studio PolSenior2: uno sguardo da vicino sulla salute degli over 60
Noi ricercatori (sì, mi ci metto in mezzo anche se vi racconto la storia da “appassionato”!) abbiamo voluto vederci chiaro. Nello specifico, in questo substudio del progetto PolSenior2, un grande progetto nazionale polacco basato sulla popolazione, abbiamo coinvolto ben 3534 persone con più di 60 anni, tutte caucasiche, per capire se i livelli di PTX-3 e PCR nel sangue potessero predire la loro sopravvivenza, e se la presenza o meno della sindrome metabolica (SM) cambiasse le carte in tavola. Questo studio è stato condotto tra gennaio 2018 e dicembre 2019, utilizzando un disegno di campionamento multistadio, stratificato e a grappoli per ottenere un campione rappresentativo dei cittadini polacchi anziani e molto anziani.
Cos’è la sindrome metabolica, vi chiederete? È un “pacchetto” di condizioni che aumentano il rischio di malattie cardiache, ictus e diabete. Include cose come:
- Obesità viscerale (la famosa “pancetta”, definita con circonferenza vita ≥ 94 cm per gli uomini e ≥ 80 cm per le donne europee)
- Livello di trigliceridi sierici ≥ 150 mg/dL o trattamento per ipertrigliceridemia
- Bassa concentrazione di colesterolo HDL sierico (< 40 mg/dL negli uomini e < 50 mg/dL nelle donne) o trattamento per questa condizione
- Pressione sanguigna sistolica ≥ 130 mm Hg o/e pressione sanguigna diastolica ≥ 85 mm Hg o ipertensione trattata
- Glucosio plasmatico a digiuno ≥ 100 mg/dL o uso di farmaci antidiabetici
La presenza di tre qualsiasi di questi componenti garantiva la diagnosi di SM.
Cosa abbiamo scoperto? I marcatori infiammatori parlano chiaro!
Abbiamo seguito i nostri partecipanti per un periodo medio di 4,19 anni. Durante questo tempo, purtroppo, 678 persone (il 19,2% del gruppo) sono decedute. Per prima cosa, abbiamo stabilito dei valori “soglia” per la PTX-3 che fossero associati a un maggior rischio di morte: 2,07 ng/mL per gli uomini e 2,23 ng/mL per le donne.
Poi abbiamo diviso i partecipanti in tre gruppi, sia quelli con sindrome metabolica sia quelli senza:
- Doppio-negativi: persone con bassi livelli sia di PCR (≤ 3 mg/dL) che di PTX-3 (sotto la soglia specifica per sesso).
- Singolo-positivi: persone con livelli elevati o di PCR o di PTX-3.
- Doppio-positivi: persone con livelli elevati di entrambi i marcatori.
E qui arriva il bello (o il meno bello, a seconda dei punti di vista): i tassi di mortalità aumentavano progressivamente passando dal gruppo doppio-negativo a quello singolo-positivo, fino a raggiungere il picco nel gruppo doppio-positivo. Questo valeva sia per gli uomini che per le donne. Ma la vera sorpresa è stata che lo stato infiammatorio, così definito, sembrava avere un impatto sulla mortalità indipendentemente dalla presenza della sindrome metabolica! L’analisi di Kaplan-Meier, che è un modo per visualizzare la sopravvivenza nel tempo, non ha mostrato alcun effetto modificatore della SM sulla sopravvivenza negli uomini e nelle donne all’interno dei sottogruppi stratificati per categorie infiammatorie.
In pratica, avere entrambi i marcatori infiammatori alti era associato a un rischio di morte più che doppio per gli uomini e quasi triplo per le donne, rispetto a chi li aveva entrambi bassi, che avessero o meno la sindrome metabolica. Anche avere un solo marcatore alto comportava già un aumento del rischio significativo (34% per gli uomini e 44% per le donne).
Chi erano i più a rischio?
Abbiamo notato che le persone nel gruppo “doppio-positivo” (quelli con infiammazione più alta) tendevano ad essere:
- Più anziane (spesso sopra gli 80 anni)
- Più dipendenti nelle attività quotidiane
- Con uno stato nutrizionale peggiore e bassi livelli di albumina
- Con una funzione renale ridotta
Interessante notare che, tra i componenti della sindrome metabolica, solo il diabete era più comune nel sottogruppo con l’infiammazione più severa. Questo ci suggerisce qualcosa di importante: con l’avanzare dell’età, forse l’importanza dei singoli componenti della sindrome metabolica come fattori diretti che influenzano la mortalità potrebbe diminuire, mentre potrebbero aumentare di peso le conseguenze di questi componenti, come ad esempio la malattia renale cronica.
Abbiamo anche osservato una correlazione molto debole tra i livelli plasmatici di PTX-3 e hs-CRP (ρ = 0,11, p < 0,001) nell'intero gruppo di studio, leggermente più alta nei soggetti malnutriti con hs-CRP > 3 mg/dL (ρ = 0,28, p < 0,001). Questo suggerisce che i due marcatori, pur essendo entrambi legati all'infiammazione, potrebbero riflettere aspetti leggermente diversi dei processi infiammatori.
Cosa significa tutto questo per noi?
Beh, per prima cosa, questo studio ci dice che, nella popolazione anziana caucasica, lo stato infiammatorio, misurato attraverso PTX-3 e PCR, è un potente predittore di mortalità per tutte le cause, e questo sembra essere vero a prescindere dalla sindrome metabolica. È come se l’infiammazione cronica di basso grado, soprattutto quella che coinvolge i vasi sanguigni (indicata dalla PTX-3) e quella sistemica (indicata dalla PCR), avesse un peso specifico notevole sulla nostra longevità, quasi “bypassando” l’effetto della sindrome metabolica in questa fascia d’età.
Questo non vuol dire che la sindrome metabolica non sia importante, anzi! Ma forse, negli anziani, i suoi effetti a lungo termine, come il danno renale o uno stato nutrizionale compromesso (spesso legato all’infiammazione stessa), diventano attori ancora più cruciali nel determinare l’esito. L’associazione tra infiammazione sistemica e malnutrizione sembra essere bidirezionale. L’aumento dell’infiammazione sistemica, l’inadeguato apporto dietetico e il catabolismo indotto dalla sottonutrizione sono fattori chiave della malnutrizione correlata alla malattia. D’altra parte, un apporto dietetico insufficiente legato all'”anoressia dell’invecchiamento” è di per sé una causa di disfunzione del sistema immunitario e di danno alla mucosa intestinale.
Un altro dato interessante è che, contrariamente a studi precedenti su persone di mezza età, nel nostro gruppo di anziani non abbiamo trovato un’associazione tra la presenza di sindrome metabolica e i livelli plasmatici di PTX-3. Questo rafforza l’idea che, con l’età, le dinamiche potrebbero cambiare.
Fattori che riducevano la sopravvivenza nell’analisi univariata includevano: età avanzata, disabilità IADL, cattivo stato nutrizionale, categorie infiammatorie positive, diabete mellito, malattia coronarica, ictus pregresso, insufficienza cardiaca e funzione renale compromessa. D’altra parte, gli elementi che hanno un’influenza protettiva sulla sopravvivenza erano: obesità viscerale, livello di albumina ≥ 40 g/L, ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia e prediabete (ma solo negli uomini). Nell’analisi multivariata, i fattori di rischio indipendenti erano: età molto avanzata, disabilità, cattivo stato nutrizionale, categorie infiammatorie singolo-positive e doppio-positive, funzione renale compromessa e insufficienza cardiaca (solo nelle donne). Contrariamente, i fattori protettivi per la sopravvivenza in questa analisi erano l’obesità viscerale per entrambi i sessi e livelli di albumina ≥ 40 g/L solo negli uomini.
Limiti e prospettive future
Certo, ogni studio ha i suoi limiti. Il nostro è retrospettivo, il che significa che abbiamo analizzato dati già raccolti, e non avevamo informazioni sulle cause specifiche di morte. Sarebbe fantastico poter confermare questi risultati con studi prospettici, seguendo le persone nel tempo e analizzando più a fondo le cause di decesso. Inoltre, non abbiamo osservato un’associazione tra i livelli plasmatici di PTX-3 e il trattamento con statine, a differenza di altri studi.
Nonostante ciò, la forza del nostro studio risiede nel suo disegno basato sulla popolazione, che ci permette di generalizzare i risultati alla popolazione anziana caucasica. Dal punto di vista clinico, un’implicazione importante del nostro studio è la determinazione di punti di cut-off specifici per sesso per la PTX-3 associati a un aumentato rischio di morte (2,07 ng/mL per gli uomini e 2,23 ng/mL per le donne). Questi valori sono significativamente più alti del punto di cut-off calcolato per differenziare tra SM lieve e severa nella popolazione di mezza età (0,107 ng/mL).
Tuttavia, nonostante questi cut-off siano stati determinati e siano disponibili test affidabili e relativamente economici, l’introduzione del test della PTX-3 nella pratica clinica quotidiana per la stratificazione del rischio di mortalità richiede ulteriori studi prospettici per confermare i nostri risultati. Inoltre, è necessario selezionare i gruppi di pazienti in cui l’esecuzione di tali test sarebbe di particolare importanza, qualora fossero disponibili terapie mirate a modulare la secrezione di PTX-3 o a inibirne l’azione.
In conclusione: l’infiammazione conta, e molto!
Quindi, cosa ci portiamo a casa da questa chiacchierata? Che nella popolazione anziana, tenere d’occhio lo stato infiammatorio, magari combinando la misurazione di PTX-3 e PCR, potrebbe darci informazioni preziose sulla prognosi, indipendentemente dalla sindrome metabolica. È un altro tassello che si aggiunge al complesso puzzle della longevità e della salute in età avanzata. Per ora, il nostro studio è un contributo alla conoscenza esistente e indica direzioni per future ricerche, ma non può essere trattato come una raccomandazione per implementare il test della PTX-3 nella pratica clinica quotidiana. Ma chissà, forse un giorno questi marcatori diventeranno strumenti di routine per aiutarci a vivere meglio e più a lungo!
Fonte: Springer